Data di pubbl.: 2024
Pagine: 183
Prezzo: € 12,00
Scritto a metà degli anni ‘70 in quarantacinque giorni e pubblicato quasi subito dalla Einaudi dove al tempo lavorava Italo Calvino – amico del fratello dell’autore, il regista Armando Pugliese – che subito si era incantato di fronte a quest’opera singolare per linguaggio e ambientazione climatica, lontanissima dalla Napoli solare, banale e trita immaginata da troppi, Malacqua scomparve presto dalle librerie dopo aver suscitato pochi echi di critica. Si narra che, vista la rarità dell’opera, i suoi lettori se la passassero in fotocopia. Dopo non molto scomparve – nel senso che lasciò Napoli – anche l’autore, Nicola Pugliese, per anni cronista al quotidiano Roma e quando il libro tornò in auge e avrebbe potuto godere di una seconda vita, si rifiutò di vederlo nelle librerie forse per la malinconia che si prova di fronte allo svanire della giusta stagione della propria opera.
Malacqua è ora ripubblicato da Bompiani, di nuovo disponibile a chi abbia voglia di tuffarsi nella Napoli proteiforme descritta in modo struggente, adorante, profondamente critico, carico di malinconia e disincanto di Pugliese. Per questo libro si è parlato di ‘realismo magico’, lo si è paragonato agli scritti di Gabriel Garcia Marquez e di James Joyce. Credo sia piuttosto il frutto maturo di quella straordinaria capacità molto napoletana di trasfigurare gli eventi – persino i più tragici – in poesia, in una narrazione ‘alta’. Qui Napoli subisce quattro giorni di pioggia battente, quattro come le giornate combattute durante l’ultima guerra mondiale. Ma non c’è nulla di eroico in questa città prostrata, luttuosa di lutti veri e di cose irrisolte e che mai si risolveranno. Resta immutata la speranza, un desiderio che la pioggia, implacabile, continua, snervante, ottenuto il suo tributo di sangue – sette morti fra il crollo della palazzina in Via Tasso e la voragine che si apre poco più su in Via Aniello Falcone – purifichi la città preparandola all’accadimento straordinario. Perché qualcosa deve cambiare, impossibile che non succeda. Eccola l’eterna maledizione – o benedizione – di Napoli: questo perenne ondeggiare fra attesa, speranza, rassegnazione e infine indifferenza.
“E questo restava, della città impagabile, questo soltanto, e l’ombra d’un passato scolorito e la retorica che pretendeva di essere poesia, e nulla, e nulla, e quale città diversa avrebbe vissuto un giorno?, quale città?…” (pag. 157)
E fra bambole urlanti, monetine da cinque lire che suonano solo per le orecchie delle bimbe di dieci anni, assi di spade che annunciano la morte, Volti Santi ai quali raccomandarsi, cosa farne di questa metropoli dolente che condivide con i suoi abitanti la sensazione di un tempo che fugge per non tornate mai più, di perdita, di scialo? Benché non ami l’abusato termine di capolavoro, questo libro ci si avvicina più di qualunque altro.