L’ElzeMìro – Idillio fiorentino

a L.L.M.

Seit ich des Suchens müde ward, /Erlernte ich das Finden./Seit mir ein Wind hielt Widerpart, /Segl’ ich mit allen Winden.

Da che il cercare mi venne a noia,/fu nel trovare  la mia gioia/Da quando un vento mi s’oppose/a tutti i venti vele ho distese./

Friedrich Nietzsche. – 2. La mia felicità ª

 

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                Firenze – La cupola del Brunelleschi dalla loggia degli Innocenti – 2016

 

Un nonnulla. Due ragazzini, spilungoni per la loro età, un maggiore robusto, la mirata sorniona d’inveterato fiorentino, magnifici capelli adatti al vento, minore il secondo, rasato a zero, un fil di ferro con l’àndo di chi sia timorato, ma non di dio, di una sorta bensì d’incertezza nell’attribuirsi una patria, e degli uomini, che in guardia evita con occhi da spia. Scendono insieme giù per l’erta di via de’ Cioli, sole, cicale, ulivi, coccole aulenti e cicale, fino alla piazza di Settignano; incrociandone il passo lento ma deciso di chi abituato a entrare in scena ne sa uscire, salutano Odoardo Spadaro, artista d’antiche riviste, panama sghimbescio da diseur, giacchetta e cravattino. Poi saltando sul 10 filovia dell’Atac, Associazione trabiccoli arrugginiti firenze, dice fiero di questa rivelazione il maggiore al minore dei due hidalghetti fioriti, entrambi sul predellino a farsi forare il biglietto, avanti il tempo in cui qualcuno sottrasse obliterare alla letteratura per consegnarlo alla burocrazia. Sicché il trabiccolo numero dieci chiude le porte e parte con un che di malingamba, e scivola sui freni seguendo i suoi fili aerei giù per le curve che portano in città, a Firenze; sfiora la villa del di cui si dice e si racconta dei suoi cavalli, dell’amata Duse, capponcina lei, porziùncola lui il Gabriello poeta D’Annunzio. Spunta perciò un’ala dorata al pensiero del filovia che corre, passa l’Affrico nella sua tomba di stoppie e cemento, fino al Ponte del Pino dove un pino c’è, ombrello grande a consolare dal sole, e un banchetto di zinco con stesi in tranci sugosi tra enormi stecche di ghiaccio, i cocomeri al gelo che, con la città, dividono il colore della polpa, rossa questa e quella dei muri avvampanti nell’appassir del giorno. Vuota di suoni borghesi dietro le antiche persiane verdi, dietro le tapparelle verdi, la città è bellissima; non visto vi transita un Pan mentre tutti sono al mare a mostrar le chiappe chiare, il sordido orrore dei corpi a sé disavvezzi. I due ragazzini vanno e vengono in quel paradiso abbandonato da baci e frizioni, che per lor fortuna ignorano ancora, sì che che tutto a loro d’intorno sembra costruito per far il niente e inseguire bomboloni selvaggi e ruvide dolcezze fiorentine. Spariscono alla vista in un cinema i due. Ne usciranno quanto dopo chi lo sa. Mutati da quel minimo tempo che ad altro li sta addomesticando. Un nonnulla.

 

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                                         Firenze – Mancorrente in ferro battuto – 2016

Edoardo Spadaro, Carlo Buti- La porti un bacione a Firenze – 1937

https://www.youtube.com/watch?v=oT9Pv_Fu2nQ

Gabriele D’Annunzio – Canto novo, O falce di luna calante X, 53 –

http://www.intratext.com/IXT/ITA3506/_P2L.HTM

Giuseppe Verdi-Temistocle Solera – Riccardo Muti – Nabucco, Va’ pensiero, coro A3/11 -1842

https://www.youtube.com/watch?v=Y-TYFerq6yc

Valerio Zurlini – Le ragazze di San Frediano – 1955

https://www.youtube.com/watch?v=5yd7RCek6Ow

Vasco Pratolini – Lo scialo – BUR

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ªtraduzione dell’autore, v.o. in La gaya scienza – Die fröhliche Wissenschaft – https://germanenherz.files.wordpress.com/2013/08/nietzschediefrohlichewissenschaft.pdf

 

 

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Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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  • Biuso

    Ho goduto di questo fremente attimo adolescenziale.
    Dove ragazzino è lo spazio e non soltanto gli umani.

  • D’Ascola

    Dove ragazzino è lo spazio.
    La cupola la cupola.
    Grazie Alberto Biuso.

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