Per compiacere i babbini-cari devoti a ognissanti – intendi bene : a ogni tipo di santo – Olgina del 16°piano con terrazza, detta vulpina dai compagni di scuola perché alla ricreazione arraffava merende col metodo carcerario del baratto – per un kinder tre forcine colorate… poi ci torniamo – e per via del fatto che si rapiva le due maestre, come galline la volpe, parlando sempre molto di dio, quel con la dì per Domodossola : Dio come se fosse più che padre generico suo personale Zio ; Un zio, diceva con le prime certezze delle sue imperizie grammaticali , e con la zeta sonora di pranzo e zafferano, un(o) zio ricco e ammanicato con i poteri forti… poi ci torniamo… che corrispondeva all’immagine e somiglianza che del suddetto avevano anche le sue maestre sebbene in tono minore ; per compiacerli ne riempiva le orecchie a tutti di dio e di sé stessa la bocca Olgina, unica a mensa tra i bambini che ringraziasse il, Signore per il cibo che stiamo per prendere e fa che non manchi a nessun bambino del mondo, e che subito dopo se la riempiva di spaghetti, la bocca, a forchettate grosse quanto un maialino per un pitone e tanto che le occorreva restituirne al piatto mordendoli coi denti davanti, gli spaghetti, un po’ alla volta per districarne la matassa. Nella sua fantasia del resto, ancora più che a uno zio dio le somigliava molto : uno o unduetré che fosse era tale da comprendere tutto, questo le piaceva assai tra gli attributi di quel signore che lei concepiva di infinita capacità digestiva, come lei, di tutto di un tutto da masticare tutto in un gran boccone, gnam ; poi, quel che dio con la dì di Domodossola si tratteneva del Tutto nel suo imperscrutabile stomaco lo restituiva con un rutto o con della cacca, o una galassia o un pianeta quindi, alla stregua di copròlito dello scarabeo (geotrupes stercocorarius). La sua fama di onnipoderoso era per conseguenza pari alla fame di Olgina, che famelica era nata ; nata con la bocca grande del lupo in Capuccetto Rosso e le labbra come ventose di una piovra, rubava il biberon alla cuginetta Lisina, nata con la lussazione congenita dell’anca e bisognosa di calcio, e tutte le pizzette e le cocacole alle feste dei bambini bisognosi di niente perché privilegiati di suo. Poi vomitava ma l’atto, se la stordiva, non la lasciava disappetente così che ricominciava a sbafare. Forse chissà per sfidare lo stomaco ad attenersi ai suoi doveri. Fin da subito aveva manifestato questa sua propensione divina, appunto, per l’eccesso : faceva pipì molto spesso e lunga e sovrabbondante e per un po’, dopo lo svezzamento dal pannolino, se l’era fatta addosso ; un’alluvione, ma mica che le spiacessero quelle ondate tiepide tra le gambe tuttavia e insomma delle somme poi le era passata. Il suo potente furore pei maccheroni si mascherava del resto benissimo con un non si sa come furioso metabolismo. Magnava e restò un filo d’erba almeno fino all’età ingrata, mentre al contrario la cuginetta Lisina, rimediata la lussazione, tenderà col tempo a mettere su una pancina rotonda che non la abbandonerà mai. Ma questa è come si dice un’altra storia.
A un certo punto della crescita qualcosa aveva smesso di funzionare a dovere o, al contrario a cambiare finalità e Olgina aveva preso a capitalizzare ; questo più o meno all’età in cui, dio a parte, si era incapricciata dei Manoscritti economico-filosofici di Marx, capendone sì e no ma quel poco che contava per carpire al capitalismo il suo funzionamento, questo la catturò : il meccanismo perverso del Monopoli, gioco cui fu iniziata e viziata a una festa di compleanno, consisteva ai suoi occhi non tanto nel rubare ai poveri per dare ai ricchi quanto nell’arraffare, agglutinare, mangiare per possedere, per incamerare, per comprendere tutto in sé : per (farsi)valere e valore. Olgina era brillante a scuola per via di un’intelligenza capace sempre di volgere a proprio vantaggio ogni situazione imbarazzante ; interrogata poteva fornire tre o quattro o più risposte diverse in rapida sequenza alla stessa domanda così che per eliminazione una di esse finiva sempre per essere la replica plausibile. Così come la sua mammina-cara ricamava senza posa… poi ci torniamo… Olgina ricamava dilazioni e giustificazioni, dimostrazioni contrarie di ciò che sbagliato avesse detto in modo da farlo sembrare corretto. Abilissima come un gesuita – niente di strano dal momento che viveva in una famiglia orientata a Saragozza – o come un grande delinquente, di quelli roboanti che ripetono a ufo la stessa menzogna, se ne nutrono, e per conseguenza ne ingrassano, nella sua bianca cameretta guardava al cielo di santi appesi alle pareti… poi ci torniamo… e che costellavano tutto l’appartamento familiare ; tra quelli aveva aggiunto, vai a capire perché, due foto di Al Capone – il gangster sì, Olgina fece sempre fatica a formarsi una visione critica dei fatti – una da giovinetto quasi allampanato e una da capo nella sua forma migliore cioè sferica, cioè di cùpolo : come Capone del resto, Olgina aveva preso ad essere a periodi stitica e questo pare accada spesso ai conquistatori, dicono, come se costoro si zavorrassero di eternità in terra per sfuggire alla tentazione di una magra quanto incerta eternità altrove. I mascalzoni sono longevi. Stentava a restituire Olgina e, con l’infallibile intelligenza dell’inconscio, anche lo scarto, lo andava a scrivere nella colonna dei profitti. Chi le avesse chiesto se soffriva di stitichezza avrebbe ottenuto per replica, Ma nemmeno per sogno.
Ma di sicuro ti stai domandando com’erano e chi erano i genitori di Olgina. Bè a vederli, due umbratili cucù o due ombrelli : babbino-caro, il signor Defendente (martire della chiesa †278 d.c.) professore di filosofia e vicedirettore di un istituto omnicomprensivo dell’Opus Dei, lungo di scheletro, il professore non l’opusdei, calvetto, nasuto, sbarbato sempre a sangue e occhiali in acetato di cellulosa marròn ; mammina-cara dirigente alle sede delle poste nazionali, donna telegrafica ma raccomandata e nei dì di festa, dopo la messa, confezionista indefessa di centrini a punto croce, bavaglini all’uncinetto, fermagli pei capelli, scarpini di lana pei neonati, tutine a maglia da vendere poi alle riffe parrocchiali. Quando Olgina prese a ingrassare dapprima la divisero per due, cioè in un’anima dagli indefinibili desideri e in un corpo che li esaudiva ; non si allarmarono subito ma dopo un po’ presero a trarre da perpetue e camaradas dell’opus e parenti vicini nonché lontani ogni tipo di ricetta per un dimagramento assicurato, ogni dieta, ora severa, ora condiscendente, ogni farmaco da banco o erogato dal servizio sanitario, ogni rimedio mediato da internet ; ma alla fine non seppero a quale votarsi dei numerosi santi domiciliati alle pareti del loro appartamento ; benché, tenendosi per mano ginocchioni accanto al lettone matrimoniale, pregassero devoti ogni sera quelle immaginette, implorando ora una ora l’altra santa – quale fosse preposta al dimagramento non lo sapevano mica perché le sante non sono di norma aggiornate alle esigenze del mondo moderno – implorandone la grazia di far sgonfiare quella loro figliola golosa – questo lo capivano, verso chissà quale precipizio e oltre sarebbe rotolata – ecco, nonostante tutti i benché e questo fervore e abbandono alla fede, il risultato era e fu che Olgina di poco ingrassava ogni poco. All’orizzonte degli eventi planò la questione del che cosa avrebbe potuto fare Olgina da grande, dal momento che da grossa si era risposta da sé.
I poveri cucù chiesero infine aiuto a un loro padre dell’opus che li rimandò a un esorcista dell’opus e così Olgina fu assegnata al vaderatrosatàn ; nella bianca e per l’occasione infiocchettata cameretta di Olgina, e quindi in un clima di fede e di preghiera umile e fiduciosa, fu dato inizio al rito, furono invocati i santi angeli di dio, i santi patriarchi e apostoli ed evangelisti, i discepoli di Gesù e i Martiri e in più trentuno santi specifici tra i quali Ignazio di Loyola ; il prete non ne trascurò alcuno, men che meno Josemaría Escrivá, soffiò in capo a Olgina, che nonostante la mole da tutto quell’ambaradàn si sentiva proiettata alle stelle – nemmeno potesse mangiarsele tutte – e infine senza mezze misure e con buonissime ragioni e conforti disciplinari l’esorcista si impose, Ti ordino Satana vattene da questa creatura, ovvero Olgina ; non glielo disse una ma tre volte in modi diversi ma alla fine l’immondo, di irsene non ebbe non si sa se la voglia o la buona creanza, sicché dopo quella seduta e in men che non si dica, Olgina scappò in pasticceria a gustarsi fino a leccarsene le dita, certi cannoli al cioccolato, dodici per l’esattezza, frabbicati nella ben nota e succulenta pasticceria-caffè-tavola calda Trinacria. Dopo essersi succhiata la crema di cioccolato residua dalle dita, Olgina andò al bagno e davanti allo specchio si leccò via dal viso gli sbaffi ancora umidi della gustosissima farcia. Se in quell’atto il prete esorcista l’avesse colta avrebbe concluso che Satana non se n’era andato e pace ma che oltretutto era pasticcere. Poi con l’acqua corrente della cannella si rinfrescò. Olgina non l’esorcista.
Ora avvenne che Olgina, avanzando nel tempo e nel peso, scoprisse invece alcune cose fondamentali per il suo futuro: dopo gli anni del Monopoli, prima la dama, gioco di scarsa soddisfazione dove il gusto, tutto il gusto per Olgina stava nel confondere l’avversario guardandolo dritto negli occhi, saltare oltre la sua dama e impadronirsene con la stessa forza necessaria a brancare un cioccolatino. Era sempre mangiare ma poco d’astuzia. Poi fu la volta degli scacchi. Olgina diede un’occhiata al manuale, sì sì qualcosa, ma bisogna capire che Olgina cercava risposte sempre su tutto tra le righe non sulle righe di un suo pentagramma esistenziale , scorse dunque ABC degli scacchi ma lo trovò noioso e, Cerebrellotico, disse alla compagna che glielo aveva prestato ; lesse invece con trasporto il romanzo La regina degli scacchi, si immedesimò nella protagonista e così, fidandosi di questo, sfidò la compagna a una prima tenzone. L’attaccò con un unico progetto in testa , sconfiggerla. Le toccarono i bianchi e istintivamente attaccò senza preavvisi di simulate ponderazioni ; costrinse l’armata dei neri prima su un’ala tenendo ferma la cavalleria sull’altra e poi, un po’ come Alessandro a Gaugamela, puntò in forze al cuore nemico, là intorno a Re e Regina fermi immobili guardati da due fanti residui, una torre e un cavaliere ; niente, Olgina con i due alfieri su una linea di attacco a punta di freccia, con un cavaliere uccise la Regina a tradimento, e mentre l’avversaria cercava di capire com’è come non è, si ritrovò il Re nelle braghe di Macbeth alla battaglia di Dunsinane – leggilo in Shakespeare all’atto V scena VII – ; Olgina sibilò con eleganza, Checkmate … scacco matto. Tra una pizza e un kebab infatti lei aveva imparato un agile inglese e anzi si era fatta mandare in Irlanda per due mesi a rodarlo. In quello scontro sul campo degli scacchi inaugurò il vezzo di usarlo, l’inglese – lingua in cui i compagni cantavano le canzoni a pappagallo – per intimidirli li regazzini, quando ossia sempre, l’ischerzavano per la sua mole. Infine di tutti i conti arrivò la passione per la danza e la musica. Obbligò i babbini-cari a iscriverla a un corso di contemporanea e a una scuola di musica privata : scelse percussioni per la seconda e per la prima dei pantajazz tre volte ixelle che dovette tuttavia far allargare. Nonostante la dubitabilità morale della contact dance i babbini-cari pensarono che sudare molto in entrambe le attività avrebbe ridotto la mole di Olgina e infatti per un certo periodo ci furono mutamenti in tal senso, non fosse stato che ciò che la ragazza perdeva in sudore lo guadagnava subito dopo mangiando di gusto ogni cosa si trovasse nei distributori di merendine all’ingresso delle due distinte scuole. Ogni giorno Olgina costava un piccolo patrimonio in stuzzichini.
Senza potere vedere l’alba di un giorno smagrito, a un certo prematuro punto i babbini-cari morirono. Ma lasciarono in eredità a Olgina due discrete pensioncine, la postale della mammina-cara e la di dirigente scolastico del babbino. Insieme e al netto di tasse e accorpamenti, i due importi costituirono la piccola fortuna con cui Olgina seppe costruirne un’altra ben più grande ; come, si vedrà tra poco. Olgina era cresciutella ormai, non solo in circonferenza ma anche in lunghezza così che in ascensore su e giù dal 16° piano, per prenderlo agli altri inquilini occorreva attendere che fosse salita o scesa per prima lei. Abile giocatrice e forte di una psicologia del proprio irresistibile personaggio, Olgina si rese conto del proprio potenziale distruttivo : come a Monopoli ebbe l’idea di comprare case. Con che soldi, penserai tu a buon diritto. Ebbene, il gioco fu allo stesso tempo semplice e oscuro. Tanto per farsi le ossa, prese a manipolare con mille attenzioni le menti tentennanti dei vecchi soli o delle coppie tra le più anziane del condominio ; camminare ormai camminava fatica anche per via dell’attrito tra le cosce ma era diventata una diteggiatrice selvaggia del computer e non c’era in pratica attività che non riuscisse a sostituire con alcuni passaggi di browser e quattro nozioni elementari di hackeraggio : dal pagamento delle bollette, alla prenotazione del fisioterapista saltando le liste d’attesa, alla spesa a domicilio di cui occultava loro il costo provvedendo al bisogno lei stessa, non c’era cosa in cui non fosse capace per render la vita più serena e tranquilla ai vecchi e a sé. Olgina pensava e provvedeva a tutto persino a simulare affetto. A questo punto erano cotti : provò il suo metodo con la coppia più anziana e lamentosa del condominio, e tanto fece da convincerla con qualche fatica e molta seduzione a venderle due appartamenti, uno in cui abitavano in nuda proprietà cioè come dire a babbo morto, e l’altro sfitto; i capitali per l’acquisto iniziò col farseli prestare da una banca cui offrì come garanzia non il proprio ma uno dei due appartamenti – la scacchista giocava sui tempi, non domandarti come perché capire il metodo non si può, occorrerebbe essere Olgina – ; dopo un po’ la banca non vide i soldi indietro e allora si rivalse sul bene a garanzia, di cui Olgina era già intestataria e in cui però abitavano i due vecchini; di difendersi non furono in grado anche perché tutto era regolare, loro avevano venduto e furono sfrattati ma a Olgina restava il gruzzolo prestato per l’altro appartamento, quello in affitto. Con il trucco delle dilazioni, riuscì a vendere quell’appartamento a un prezzo conveniente, rese il dovuto, cioè il suo alla banca ma capitalizzò la cospicua differenza. Non ne fece tanti come questo, sapeva che non avrebbe potuto durare ma, colpo su colpo, col capitale costruito aprì una agenzia di rappresentanza artistica. A farsi rappresentare da lei convinse alcuni dei suoi compagni dei corsi di musica e di danza ; quelli che la deridevano ieri oggi stavano attenti a lodarla e allisciarla abbastanza da far sì che lei a questo e quella garantisse tanto lavoro per tirare a campare. Gli artisti sono spesso dei mendicanti di lusso.
L’ascesa di Olgina fu rapida e breve. In un attimo si trovò a dirigere un’impresa con cento impiegate, sceglieva solo donne e magrissime per collaboratrici; se le accaparrava nemmeno dirlo tra le più bisognose di lavoro, ti chiederai se con la spietata sicumera che aveva appreso all’opus o dal Marx letto alla rovescia o dalle genuflessioni dei genitori o dalla frequentazione delle messe – anche due se un sabato festivo precedeva la domenica canonica – non si sa la risposta più probabile : è che era fatta così e tutti i fattori elencati l’avevano aiutata a perfezionarsi ; accumulava il capitale umano come aveva imparato a fare con quello monetario. Invece della divisione Olgina stava realizzando la sovrapposizione e non tra anima e corpo ma tra corpo e capitale. L’agenzia prosperava sotto il suo inflessibile bastone nell’incassare, e tanto sommava quanto più sottraeva agli artisti ; però sotto la sua tutela i meschinelli non se ne accorgevano, quasi nessuno ; benché li facesse lavorare in una sintesi aggiornata della schiavitù, certo, il lavoro però era tanto tantissimo soverchio e con gli alti guadagni derivati era lei a incantare i violinisti : la carota del proverbio o il diavolo della fiaba. Camminare appunto non camminava quasi per niente, giusto per andare al bagno, aveva abbandonato l’appartamento al 16° piano nel condominio e aveva allestito un loft lussuoso con terrazza panoramica al piano di sopra nell’edificio dell’agenzia. Vestiva con chilometri di stoffa messi a misura dal suo stilista, oltre che stilita personale tanto era costretto a girale per ore intorno onde riuscire a farle stare addosso qualsiasi abito. Si bagnava con litri di profumi carissimi ; in modo da coprire l’odore che emanava perché lavarsi le era diventato difficile. Assunse una domestica – Olgina la chiamò sorella oblata del Giordano – con l’obbligo, l’incarico e l’autorizzazione ad esplorare con spazzole, spugne e doccette i minimi anfratti della sua carne ; gli attriti naturali tra le parti del corpo a contatto producevano ristagni di umori e questi di odori. Il profumo succedeva al tanfo che in estate era quasi quello delle patate o delle cipolle al principio della loro decomposizione, solo il principio ma insomma bastava. La res oltre ogni limite extensa dominava e ormai coincideva con la sua res cogitans. Un successo si direbbe. Ovverosia se non ti va Cartesio, si può dire che l’anima di Olgina era il pisellino posto da una mano fatata sotto quella coltre inviolabile di materassi e coltroni in uno dei primi foschi e variopinti disegni di Edmund Dulac. Chi lo sa, lo sa.
Per fortuna e in assenza di una provvidenza che ‘un la c’è e se ppe’ caso la ci fosse ‘un la si vedrebbe, una fata birichina prese un giorno per l’appunto le sembianze della sorella oblata del Giordano. Così una notte mentre Olgina dormiva sodo dopo un pasto più copioso del solito, la fata ne punzecchiò il pancione con la punta della sua bacchetta magica. Olgina scoppiò. Come schegge di una granata moccolóna, mille brandelli di ciccia volarono tutt’intorno e si schiantarono contro le pareti e dappertutto sui volti dei santi che Olgina aveva conservato dal vecchio appartamento dei genitori ; un pezzo di fegato anzi volò incontro al viso della fata che tuttavia si scansò fermandosi a rimirare quello sfascio da una posizione di intatta prospettiva. Immaginati come Merlino al governo del suo bagaglio in La spada nella roccia. La fata, in quanto sorella oblata del Giordano, assunse poi il controllo dell’agenzia. Per quanto se ne sa è una delle più famose del mondo. E la più asso pigliatutto.
In apertura Nieces di Zoey Frank