
Autore: Cash Johnny
Data di pubbl.: 2012
Casa Editrice: Baldini e Gastoldi
Genere: Autobiografia
Pagine: 352
Prezzo: 20
Quello che Johnny Cash ha da raccontare è tanto, e non riguarda soltanto se stesso, la sua musica e la sua carriera. Nella migliore tradizione delle biografie (anche autografe), nelle righe che raccontano esperienze personali, aneddoti e una marea di nomi tra cui è difficile districarsi, si trovano le linee di un periodo storico e culturale, le motivazioni che hanno fatto nascere, e affermare, un genere musicale, l’umanizzazione degli artisti che ne hanno fatto parte. Personaggi come Roy Orbison e Elvis si trovano tra queste pagine nei ricordi di qualcuno che li ha conosciuti di persona, che ha diviso con loro il palco e la sala di registrazione, ma che, soprattutto, li ha guardati negli occhi dividendo un hamburger.
Ovviamente la presenza di Cash è sempre molto pesante: lui è la figura attorno a cui girano tutte le storie, le ombre, la musica e non cede mai realmente il passo a nessuno. Il libro, dopotutto, è un’autobiografia, e si sente. Cash con se stesso non è particolarmente indulgente, non si tira indietro quando si tratta di parlare delle sua dipendenza da anfetamine, ma è incredibilmente fiero. Chi scrive è un uomo che è soddisfatto della sua vita e delle esperienze che lo hanno condotto lì.
La mia vita lavorativa è facile da riassumere: da ragazzo ho lavorato nei campi di cotone, da adulto nella musica. Nel periodo di mezzo ho fatto l’operaio in una fabbrica di automobili del Michigan, il radio intercettatore per l’aviazione americana in Germania, e il venditore porta a porta per l’Home Equipment Company di Memphis, in Tennessee. […]
Ho avuto l’onore di essere introdotto nella Country Hall of Fame e nella Rock ‘n’ Roll Hall of Fame. Ho sviluppato una dipendenza da antidolorifici, ho intrapreso un percorso di riabilitazione nella clinica di Betty Ford, mi sono ripulito, ci sono ricascato e ne sono uscito nuovamente. Ho sfiorato la morte per un soffio, mi sono salvato grazie a un bypass, e poi ho rischiato di morire ancora. Mi sono esibito in centinaia di concerti. Mi sono tenuto in forma, in attesa che la ruota della fortuna girasse nuovamente a mio favore.
E questo è successo nel 1994, quando […] ho pubblicato l’album American Recordings. Secondo i media, quell’album ha consacrato il mio passaggio da “cantante country in declino” a “icona cool”. Qualunque cosa voglia dire, gliene sono grato.
L’importanza della figura dell’autore si ritrova nell’impianto tematico e non cronologico, che permette di volta in volta di mettere in luce, e delineare, un aspetto particolare di sé, di costruire la propria immagine. Per questo e per altri motivi L’autobiografia di Johnny Cash non è Saint Morrissey, c’è da dirlo, ma Johnny Cash non è Simpson Mark, e non bisogna fargliene una colpa. E probabilmente, la semplicità che Cash ha indossato per tutta la vita non regala le tante soddisfazioni dello sbrogliare i diversi livelli dei testi e della vita di Morrissey.