Traduttore: Alberto Bacci Testasecca
Pagine: 204
Prezzo: € 18,00
“Israele conserva la memoria delle proprie disgrazie e in certe sere particolarmente tristi arrivo a pensare che, se non avesse la fede, forse non sarebbe altro che la memoria di quelle disgrazie.” (pag. 17)
Nella prima parte del libro, Jeshua, primo della numerosa figliolanza di un falegname di Nazareth e di sua moglie Myriam, si racconta con stupore e una certa ironia. Non è particolarmente bravo a lavorare il legno e non sa bene cosa farà da grande però è bravo con le parole, capace di ascoltare e consolare gli altri, capace di amare. Già, perché fra l’egoistica felicità e l’amore, lui preferisce di gran lunga l’amore. Intorno ai trent’anni eccolo giungere sulle rive del Giordano dove Yohanan sta battezzando nel fiume chi si presenta – e la folla è immensa – ma quando lo vede lo proclama sul campo Re dei Re, figlio di Dio, l’atteso Messia. Jeshua è sconvolto e fugge nel deserto. Sprofonda in se stesso e riemerge da quel gorgo con le idee chiare: girerà Israele predicando l’amore, sostenendo che rispondere alle aggressioni con l’amore è violentare la violenza, aiutando gli umili e soprattutto le donne perché ha capito che la virtù dell’amore è totalmente femminile, appartiene a quelle guerriere della pazienza e della sopportazione che sono le donne. E alla fine entrerà in Gerusalemme perché il suo destino si compia nel modo che ben conosciamo. Al suo fianco gli apostoli e Jehuda, l’unico ad aver capito come stanno davvero le cose e ciò che attende Jeshua; l’unico che, lungi dal tradirlo, ne asseconderà la volontà di martirio vendendolo al Sinedrio. E dopo tre giorni dalla sua morte sulla croce, Jeshua risorgerà dalla tomba.
E qui entra in campo il governatore della Galilea, Ponzio Pilato, seconda voce narrante. A Gerusalemme, che detesta, insieme alla moglie Clodia di ricca e potente progenie romana, tocca a lui giudicare Jeshua:
“Gli zeloti lo odiavano da quando aveva avallato le tasse romane dicendo “date a Cesare quel che è di Cesare”, i farisei l’avevano colto in flagrante delitto di trasgressione della Legge perché non rispettava il sabato; quanto ai sadducei, conservatori e grandi sacerdoti del Tempio, oltre a non tollerare l’audacia di quel rabbi, che preferiva parlare con buonsenso anziché ripetere assurdamente sempre gli stessi testi sacri, temevano per il proprio potere, tanto da ottenere nei giorni scorsi, e proprio da me, la condanna a morte del mago.” (pag. 72)
Sarà la resurrezione di Jeshua a scatenare l’indagine di Pilato incredulo di fronte alla possibilità che un morto resusciti e se ne vada in giro apparendo a questo e a quel fedele e continuando la sua predicazione.
Scritto con umorismo dolce e sottile, ricco di storia e carico di una profonda conoscenza di vangeli e filosofia, l’opera di Schmitt è un romanzo venato di giallo di piacevolissima lettura, perché tutto è un enigma in questa vicenda oltremodo nota. Ma forse i veri enigmi sono due: quello della fede, o meglio della scelta di credere al di là della logica, e quello dell’amore, un amore assoluto e senza confini, salvifico e ultraterreno.