Le conseguenze di un periodo di crisi economica sono diverse. Coinvolgono la società in ogni suo aspetto, persino l’umore letterario. E così che dopo una lunga recessione, anche le pagine dei libri si fanno più tristi, riempiendosi di parole come “miseria” o “infelicità” e dimenticandosi dei toni più allegri, appartenuti ad altre epoche.
Un team di scienziati di Bristol e Londra, attraverso uno studio approfondito pubblicato su “Plos One”, ha potuto verificare che l’umore letterario riflette quello economico. “Quando abbiamo cercato nei milioni di libri pubblicati ogni anno in inglese – spiega Alex Bentley dell’university of Bristol – una categoria di parole che denotano infelicità, abbiamo scoperto che riflettevano l’esperienza economica degli autori nel decennio precedente”. Mediante la ricerca è stata misurata la frequenza con cui le parole che esprimono l’umore, divise in 6 categorie (rabbia, disgusto, paura, gioia, tristezza, sorpresa) sono state usate nel tempo in un database di oltre 5 milioni di libri in versione digitale fornito da Google. In questo modo è stato creato l’indice di ‘miseria letteraria’, dato dalla differenza fra l’abbondanza di parole tristi e quella di parole felici. Alcuni periodi – come gli anni ’80 – erano chiaramente segnati dalla miseria letteraria, altri da una gioia relativa. “Prima guerra mondiale (1918), era post Grande depressione (1935), crisi energetica (1975) sono fasi caratterizzate da miseria economica – prosegue il coautore dello studio Alberto Acerbi – la risposta della letteratura è in ritardo di un decennio”. Probabilmente – aggiunge Bentley – questo “riflette la distanza fra l’infanzia quando si formano i ricordi più forti e la prima età adulta quando gli autori in genere cominciano a scrivere libri. Per esempio il picco di miseria letteraria degli anni ’80 segue alla stagflazione degli anni ’70″.
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