Raccontare storie vere che danno speranza, incontri che nascono dal dialogo e dalla condivisione: è questo uno degli obiettivi che si sono posti gli autori del libro E’ possibile, edito da Priuli & Verlucca sulla vita del Sermig di Torino. In questo testo il piacere della lettura è accompagnato dalla scoperta di una realtà che si apre all’uomo oltre le differenze e le difficoltà. Abbiamo incontrato il giornalista Rai Matteo Spicuglia, autore del libro insieme a Gian Mario Ricciardi e autore anche del docufilm “Shlomo. La Terra perduta” sugli Aramei realizzato con il collega Stefano Rogliatti. Dall’intervista emerge la volontà di comunicare la possibilità di cambiare la propria vita perché nulla è impossibile a chi si apre agli altri.
Il libro si propone come una raccolta di fatti e aneddoti che ruotano attorno all’Arsenale della Pace di Torino, il Sermig, che offre ospitalità a senzatetto e stranieri in difficoltà e occasioni di confronto e riflessione per i giovani. Come è nato questo progetto editoriale e come è avvenuta la raccolta del materiale?
Il progetto è nato dalla proposta di un collega, Gian Mario Ricciardi, attuale caporedattore centrale della redazione della Rai di Torino. Aveva in mente di raccontare una delle esperienze più particolari della città, non con discorsi, ragionamenti o tappe cronologiche, ma attraverso delle storie. È quello che abbiamo cercato di fare. Ci siamo avvicinati con estrema delicatezza a vite difficili, in cui la speranza si è fatta spazio. Non le abbiamo volute condire di troppe parole, ma presentarle così come le abbiamo conosciute. Al lettore, ogni altra valutazione.
Colpisce l’immediatezza del titolo che suggerisce speranza, E’ possibile. Ma, che cosa è possibile?
Tutto è possibile. Chi ha il dono, il desiderio, la voglia di immergersi nella vita dell’Arsenale della Pace di Torino, lentamente ma decisamente si renderà conto che l’impossibile non esiste. Non è stato impossibile trasformare una fabbrica di armi in casa di pace. Così, far rinascere vite date per perse. Sono centinaia le storie di cambiamento di banditi, prostitute, giovani e persone in difficoltà che all’Arsenale hanno rimesso insieme i pezzi. Alcune storie estreme, ma anche percorsi più ordinari. In fondo, tutti abbiamo bisogno di cambiare, tutti sbagliamo, tutti ci portiamo dentro ferite inimmaginabili. Non serve giudicare. Piuttosto, dirsi: da oggi voglio essere una persona nuova. Al netto di difficoltà, condizionamenti e ostacoli esterni, è lì che inizia un cammino. E, come dice un proverbio brasiliano, la strada si apre solo camminando.
Quali sono le storie del Sermig che più ti hanno colpito e perché?
Sono tante. Ognuna si porta dietro briciole di speranza. Nel libro, per esempio, raccontiamo la conversione di Pietro Cavallero, uno dei banditi più feroci del dopoguerra. Arrivato all’Arsenale in semilibertà, ha cominciato ad osservare, a farsi delle domande. E non è stato più lo stesso. Una notte, piomba nella stanza di Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, con le lacrime agli occhi. “Ernesto, ho capito che qui, tutto quello che sembra è vero. Dite che accogliete tutti ed è così. Dite che pregate e in chiesa c’è sempre qualcuno. Dite che non giudicate e avete una parola per tutti. Ma allora Dio esiste. Mi voglio convertire”. Quando Cavallero disse quella frase, tutto cambiò: “Ma io ho ucciso cinque persone, ne ho ferite tante altre. C’è gente che ancora piange. Devo chiedere perdono”. È quello che fece negli ultimi anni della sua vita. Quando morì lo fece da uomo riconciliato, da uomo nuovo. Ecco, storie così allargano il cuore.
Nel libro sono citati personaggi come Norberto Bobbio e Madre Teresa di Calcutta, Sandro Pertini e Chiara Lubich, che hanno varcato le porte del Sermig o incontrato il fondatore Ernesto Olivero e sono stati colpiti dallo spirito che lo anima. Cosa significa leggere e scrivere di tali testimonianze?
Significa rendersi conto concretamente che ergere muri non ha senso. Olivero dice spesso che il mondo non è diviso in credenti e non credenti, ma in persone di buona volontà e di non buona volontà. Le prime sono quelle che per motivi religiosi, filosofici, filantropici si fanno gli affari degli altri. Le seconde sono quelle che per gli stessi motivi si fanno gli affari propri. È un concetto molto convincente. L’Arsenale ha incrociato davvero persone di ogni orientamento, uomini di Dio e uomini di pensiero, ladri e santi, giovani e anziani, credenti e non credenti, sempre in uno spirito di dialogo. Sulla bontà, sull’apertura al mondo, sulle opere di giustizia, tutti possono incontrarsi. La speranza nasce da qui.
A chi consiglieresti di leggere questo libro, che si rivela sempre attuale?
Il libro è per tutti. Lo possono leggere i bambini per capire un po’ di più il mondo così com’è. Lo possono leggere i giovani per desiderare grandi ideali e capire che mettendosi in gioco è possibile cambiare il corso della propria città, in definitiva del mondo. Lo possono leggere gli adulti per rendersi conto che l’unica modo per essere felici è fare felici gli altri.
Quale augurio ti senti di lasciare a tutti gli Amanti dei Libri?
Con E’ possibile abbiamo voluto dare un segnale di speranza. Ce n’è bisogno. Quindi l’augurio forse banale è proprio quello di tenersi stretta la speranza, legandola all’attimo presente. Quando la speranza si guarda indietro diventa disincanto. E con il disincanto si costruisce davvero poco.
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