È da poco in libreria il nuovo romanzo di Chiara Gamberale, si intitola “Adesso” (Feltrinelli) e arriva a poco più di due anni di distanza dal grande successo di “Per dieci minuti”. Ancora una volta la scrittrice affronta il tema “Amore” anche se “Adesso” più che il racconto di una storia d’amore è il racconto di un innamoramento, di quel momento in cui un uomo e una donna devono imparare a lasciarsi alle spalle il passato e andare incontro all’opportunità che il destino ancora offre loro di cambiare e di essere felici. Lontano dagli stereotipi dell’intreccio amoroso, “Adesso” ci invita a riflettere sul “qui e adesso”, su quell’attimo in cui ci innamoriamo non per caso ma perché abbiamo maggiore consapevolezza di noi stessi e siamo pronti ad aprirci alla vita e agli altri.
“Esiste un momento, nella vita di ognuno di noi, dopo il quale niente sarà più come prima: quel momento è adesso. Arriva quando ci innamoriamo, come si innamorano Lidia e Pietro. Sempre in cerca di emozioni forti lei, introverso e prigioniero del passato lui: si incontrano. Rinunciando a ogni certezza, si fermano, anche se affidarsi alla vita ha già tradito entrambi, ma chissà, forse proprio per questo, finalmente, adesso… E allora Lidia che ne farà della sua ansia di fuga? E di Lorenzo, il suo “amoreterno”, a cui la lega ancora qualcosa di ostinato? Pietro come potrà accedere allo stupore, se non affronterà un trauma che, anno dopo anno, si è abituato a dimenticare? Chiara Gamberale stavolta raccoglie la scommessa più alta: raccontare l’innamoramento dall’interno. Cercare parole per l’attrazione, per il sesso, per la battaglia continua tra le nostre ferite e le nostre speranze, fino a interrogarsi sul mistero a cui tutto questo ci chiama. Grazie a una voce a tratti sognante e a tratti chirurgica, ci troviamo a tu per tu con gli slanci, le resistenze, gli errori di Lidia e Pietro e con i nostri, per poi calarci in quel punto “sotto le costole, all’altezza della pancia” dove è possibile accada quello a cui tutti aspiriamo, ma che tutti spaventa: cambiare. Mentre attorno ai due protagonisti una giostra di personaggi tragicomici mette in scena l’affanno di chi invece, anziché fermarsi, continua a rincorrere gli altri per fuggire da sé stesso”.
Abbiamo incontrato Chiara Gamberale per una chiacchierata informale in occasione della sua presentazione milanese di “Adesso“.
In questo libro ritorna il gioco delle cose nuove di “Per dieci minuti”: lo fa fare a Lidia e Pietro, i protagonisti del suo nuovo romanzo. Come mai, è una cosa che fa anche lei o è solo un richiamo al suo libro precedente che ha voluto regalare ai suoi lettori?
È entrambe le cose. Ho fatto anch’io questo esercizio terapeutico ogni giorno per un mese. Ho giocato a fare ogni giorno per 10 minuti una cosa nuova, è un modo non di cambiare ma di sperimentare cose nuove. In 10 minuti raccontavo come dopo essersi fatti male si può sopravvivere, in “Adesso” racconto che si può tornare a vivere e ricominciare. In un certo senso tutti i miei romanzi sono un grande romanzo, non mi fido degli scrittori che cambiano genere perché non sento in loro un’urgenza di esprimere qualcosa. Il mio scrittore preferito è Philip Roth. Da un libro all’altro, il suo personaggio non cambia.
Anche Lidia, come la protagonista di “Per dieci minuti”, vive con un gruppo di amici che definisce un’“Arca senza Noè”. Sono persone confuse, indecise, irrisolte, sono come adolescenti che non crescono mai: non è forse dovuto a questo loro modo di vivere il fatto che non riescano ad avere un normale rapporto di coppia?
A me interessano molto i personaggi che fanno fatica, che hanno necessità di sentire col cuore e pensare con la loro testa, e che ci provano continuamente. Forse il fare famiglia alternativo ci porta, anziché a condividere paure, a crearne di nuove? Non so se siamo tutti chiamati a storie non convenzionali, oppure se capiti solo ad alcuni. Io provengo da una famiglia convenzionale, ma le mie amicizie hanno sempre formato un nucleo creativo e originale.
Come si fa a parlare d’amore senza essere banali e senza rischiare di essere troppo autobiografici?
Quando si scrive lo si fa per un’urgenza di dire e di capire. Io questa storia avevo l’urgenza di scriverla. Non so più cosa sia autobiografico e cosa non lo sia quando scrivo, mi faccio poche domande. Ero concentrata piuttosto sul linguaggio che avrei dovuto usare per raccontarla. In “Adesso ” è più complicato rispetto a “Per 10 minuti” perché anche la psicologia dei personaggi è più complicata.
C’è una evoluzione nei suoi romanzi. Ha iniziato con romanzi che parlavano dell’io, con protagonisti che dovevano conoscere se stessi, poi è passata a personaggi che dovevano risolvere i propri rapporti con la famiglia ed ora invece parla di coppia. Questo percorso riflette una sua evoluzione personale?
Credo rifletta un’evoluzione di tutti. Noi tutti prima ci chiediamo chi sono i genitori, poi ci concentriamo su di noi come figli, poi scopriamo che gli esseri chiamati mamma e papà non si esauriscono in quel ruolo ma sono un uomo e una donna con altri bisogni, infine andiamo incontro a noi stessi e a una nuova persona e se siamo fortunati avremo anche un figlio con cui instaurare un nuovo conflitto.
In cosa le somigliano Lidia e Pietro?
Lidia assomiglia alla parte più superficiale di me, io amo le emozioni forti, per un lungo periodo della mia vita ho preferito le emozioni forti alla noia. In Pietro ho messo in scena qualcosa che mi ha sempre attratta fin da bambina, l’introspezione. I personaggi sono interscambiabili, sono due temperamenti più che persone.
È stato difficile calarsi nei panni maschili?
Nei panni di un padre sì, ma è il bello della scrittura quello di potersi mettere nei panni di qualcun altro. Sono cresciuta con un fratello e un padre importanti, oltre che con genitori curiosi di capire dove andavano i figli, ho potuto esplorare la mia identità. Mi immedesimo molto per dimenticare i miei problemi: per me diventa quasi una perversione.
Quando e come scrive?
I miei genitori mi hanno trasmesso un grande senso del dovere e insegnato la disciplina. Sono una mattiniera, scrivo molto la mattina, e faccio molto sport, ho bisogno di muovermi. Di solito quando scrivo un romanzo parto, stacco, vado in posti sperduti e mi concentro solo sulla scrittura.
Quanto prende dai suoi lettori che sono sempre molto coinvolti e molto attivi?
Io imparo da tutti. Faccio tante domande ai miei lettori e non nego a nessuno la patente di essere umano. Penso che si possa imparare da ogni persona, sia che rivesta un ruolo nella nostra vita oppure no. Alle presentazioni credo di essere l’unica scrittrice a cui i lettori raccontano le proprie storie, oltre che farmi domande.
Qual è il significato della frase di apertura del suo romano: “È che ci sono sette miliardi di persone, al mondo. Ma fondamentalmente si dividono in due categorie. Ci sono quelli che amiamo. E poi ci sono tutte le altre”.
La spiego alla fine del romanzo. È uno dei grandi insegnamenti che mi ha lasciato il libro, l’avevo scritta in chiusura ma poi ho deciso di metterla anche al principio. Volevo dire che se a tutte le altre persone possiamo non perdonare nulla, a quelle che amiamo, invece, perdoniamo tutto. Tante persone entrano nella cronaca della nostra vita, sono poche quelle che fanno la nostra storia. Se le giudichiamo, anziché provare a comprenderle, danneggiamo soprattutto noi stessi, perché abbiamo perso un’occasione, anche se a volte ci feriscono. Le persone che amiamo di più sono i nostri peggiori potenziali nemici, in grado di devastarci.
Cosa chiede lei all’amore?
Ognuno ha la sua scala di priorità. La mia è “stare bene, stare male, stare tranquilla”, anche se può sembrare paradossale scegliere di stare male. Però c’è chi mette la tranquillità al primo posto, come Pietro, ed è per questo che per me è stato faticoso entrare nella psicologia del personaggio e restarci per tutto il libro, perché è davvero molto diverso da me.