Incontrando Andrea Canobbio al Salone del Libro di Torino gli abbiamo posto qualche domanda in merito al suo romanzo “Tre anni luce” edito da Feltrinelli.
La sua attività di editor ha in qualche modo influito con il mestiere di editor di Silvia, sorella della protagonista?
Sì, avevo bisogno di creare un contrasto tra le figure delle due sorelle, e mentre Cecilia ha un lavoro “serio”, la precarietà del mondo editoriale si adattava bene al carattere di Silvia. Io stesso sono stato un collaboratore esterno per molti anni.
Perché i due protagonisti sono due medici?
Mi piace raccontare di ambienti che conosco, mia moglie è un medico e ho molti amici medici. Conosco le dinamiche interne a un reparto ospedaliero e ho sentito molte volte raccontare storie di medici e di malati. C’è poi un tipo di personaggio che mi interessava raccontare, ed è il cosiddetto “guaritore ferito”, colui che sa curare gli altri perché lui stesso è malato.
Qual è il ruolo dell’infanzia nella vita dei personaggi?
L’infanzia è il passato, e il passato ritorna, anche quando facciamo di tutto per dimenticarlo. Siamo determinati dal nostro passato, e dovremmo prendercene cura, esattamente come si cura un bambino.
Il romanzo non presenta una morale ma forse semplicemente un inno alla vita per uscire dalla fissità dei personaggi, è così o aveva altri intenti?
No, non ho mai desiderato trasmettere una morale, né positiva, né negativa, desideravo raccontare una storia. E lasciare aperto il finale, lasciare al lettore la libertà di riempire i vuoti. I libri che spiegano tutto non mi sono mai piaciuti.