A tu per tu con…Alfredo Stoppa

large-ALFREDO_STOPPAAlfredo Stoppa è un autore eclettico, che per anni ha rappresentato un punto di riferimento nel campo della  letteratura per ragazzi. Nel suo lavoro spazia attraverso tematiche e generi ed è difficile da catalogare perché, da osservatore attento della realtà, racconta ciò che lo affascina e lo colpisce.  Facciamo due chiacchiere con lui in occasione della sua partecipazione a Pordenonelegge in rappresentanza della casa editrice Euno, con cui ha appena pubblicato “Basta una luna tonda”.

 

Hai svolto diversi mestieri , direi che hai attraversato tutta la filiera del libro, partendo come libraio, poi  fondando una casa editrice di primo livello nella letteratura per ragazzi. Come è nata questa tua passione per la scrittura ?

La prima attività a cui sono riconoscente, che mi ha fatto diventare scrittore nel tempo e per cui mi ritengo fortunato,  è quella di aver  giocato tantissimo da piccolo.  Tutto nasce dal poter frequentare i cortili e con i compagni di scorribande inventarsi finte battaglie e avventure: questa è già narrazione. Poi se parliamo della mia carriera, ho conosciuto il libro per così dire da  una parte all’altra del banco.  Avevo una libreria rivolta a un pubblico di adulti, però vi era riservato  grandissimo spazio per la letteratura per ragazzi, che mi ha sempre affascinato.  Nel 1988 do vita alle edizioni “C’era una volta” con cui parto pubblicando e facendo conoscere  in Italia  tre grandissimi illustratori: Roberto Innocenti, che fino a quel momento lavorava solo all’estero, l’austriaca  Lisbeth Zwerger ,acquarellista molto raffinata e poi Kveta Pakovska della Repubblica Ceca.  Proseguo con altri autori, ma credo che il merito sia stato soprattutto quello di aver lanciato giovani illustratori italiani. Una piccola casa editrice che si prende questo rischio fa qualcosa di importante, forse persino un po’ “folle”.  Abbiamo pubblicato molti classici: I fratelli Grimm, Andersen, Oscar Wilde , ma anche inserito autori contemporanei, sia italiani che non, curando sempre la qualità della scrittura.  Pur essendo riconosciuti fra le case editrici più importanti del dopoguerra nel campo delle illustrazioni eravamo microscopici dal punto di vista strutturale, ma avevamo un obiettivo fondamentale: far sì  che testi e immagini potessero lavorare costantemente assieme per raggiungere il lettore.

 

La vostra casa editrice ha ricevuto sette premi Andersen e un super premio Andersen, oltre a  numerosi altri riconoscimenti . Qual è l’importanza dei premi per far conoscere le attività editoriali e gli autori?

Credo che fino agli anni Novanta avessero un’importanza maggiore, per esempio la Fiera del Libro di Bologna era un appuntamento imperdibile. In questo momento ho un rapporto con l’editoria per ragazzi un po’ conflittuale. La concezione del bambino nella realtà contemporanea  è completamente diversa e ritengo che  essere bambini e ragazzini oggi è più faticoso del passato.  Noi eravamo più selvaggi e liberi, non avevamo i genitori sempre addosso , non c’era questo stretto controllo familiare e sociale.  Mi piace inserire sempre un bambino nei miei libri in una corsa, un respiro, una battuta non perché io abbia un mito del l’infanzia, ma perché rappresentano chi eravamo.  Molti adulti se ne dimenticano, io invece fortunatamente ho moltissimi ricordi.

 

Negli ultimi anni ti sei dedicato alla scrittura per adulti ed emerge un forte attaccamento all’esperienza di un mondo della gioventù che è rapidamente scomparso e la ricerca continua di un aggancio alla contemporaneità …

La memoria può essere un rifugio feroce oppure dolce e malinconico, a seconda di come te lo giochi.

Per me è vitale. Da piccolo abitavo in campagna , un luogo di cicale, fossi,  rospi, sole che bruciava e quel silenzio degli orti che oggi non senti praticamente più. Spesso però camminando nei boschi o guardano fuori dalla finestra sento qualcosa che mi rimanda indietro a quel mondo.  Non faccio fatica a proiettarmi indietro perché riesco a raccontare meglio quello che vedo giorno dopo giorno.

 

Nell’ultimo libro “Basta una luna tonda” hai fatto incontrare il tema della memoria e quello della guerra attraverso un viaggio in parte reale e in parte immaginario. Come è nato questo libro?

Già  “I passi del padre” e “Una bugia” raccontavano queste tematiche,  ma questa storia nasce occasionalmente da una ricerca su Internet durante la quale mi sono imbattuto nella vicenda di una squadra di calcio, la Lucchese della metà degli anni Trenta, che annoverava tra le sue file cinque giocatori antifascisti: due comunisti, due anarchici e un portiere ebreo che finì tragicamente sul colle di Superga.

Non ci sono tante notizie su di loro, ma ho cominciato a vederne  i volti  e sono andato a cercare un po’ quello che esisteva provando a dargli uno spessore che mi sembrava giusto venisse fuori . Uno di loro, il più colto, lasciò le scarpette, prese il fucile e andò in montagna, dove morì da partigiano.

 

Mi aveva incuriosito soprattutto perché Lucca in quel periodo era una delle città più fasciste d’Italia e la squadra era arrivata settima nel campionato di calcio. Il protagonista li incontra oniricamente in uno scompartimento del Frecciarossa su cui sta viaggiando che, nella sua mente, si trasforma in un trenino traballante degli anni Trenta,  simile ai “locali” contemporanei che “si fermano in tutte le stazioni del mondo”.  Il treno è occupato in gran parte da tifosi provenienti da una partita importante, che si lasciano andare a cori razzisti tipici dello stadio. In questo contesto lui immagina di incontrare questi uomini del passato, ribelli di un altro mondo ed epoca.

 

Come è  nata l’idea di usare il flusso di pensiero per raccontare questa storia?

 

Non mi è stato difficile perché appartiene a una mia esperienza frequente:  quando si viaggia in treno e il viaggio è lungo e faticoso il pensiero corre. Se qualcosa mi ha reso felice o malinconico lo attribuisco a un personaggio, a un oggetto o a qualcun che passa nelle pagine. In questo caso il processo è diventato evidente e immediato. La vita è fatta di noia, di bellezza, di scoperta, di attimi che ci colpiscono. Sono un conservatore, sono cose che ho dentro e non ho fatto nessuna fatica a mettere sulla pagina, perché sono nato così.

 

La storia della squadra di calcio non è però l’unica che inserisci. C’è posto anche per una donna partigiana.

Nella seconda parte del libro ho voluto agganciarmi a un’altra storia che non conoscevo, quella di una partigiana che ha vissuto a una cinquantina di km da casa mia e che finì bruciata dai nazisti a San Sabba. Per questo mi sono basato su di una ricerca che avevo fatto riguardante due donne combattenti  di questa zona dalle quali ho tratto un unico personaggio. Anche in questo caso ho fatto continuare la storia usando come mezzo i movimenti del treno.

 

Tieni anche laboratori di scrittura un po’ in tutta la penisola. Quali sono gli aspetti che ritieni più importanti da trasmettere in queste occasioni?

Per quanto riguarda i bambini trovo che sia fondamentale  che  aprano bene le orecchie e riconoscano la voce di chi sa narrare qualcosa e gli diano la possibilità di entrare dentro di loro.  Poi sì si possono dare delle indicazioni di massima , ma lo può fare benissimo l’insegnante di classe.

Per quanto riguarda gli adulti invece, oltre a un breve discorso sulle tecniche che tutti  devono conoscere, insisto soprattutto sul fatto che chi scrive deve  di cercare di raccontare la verità, di essere il più onesto possibile. Ormai tutti sappiamo che dobbiamo interessare e coinvolgere il lettore,  però ci sono diversi modi per farlo, non cercare per forza le frasi a effetto. Occorre saper rinunciare a una bella frase o una serie di parole che non sono vere e potrebbero “non starci dentro” . Faccio un grande lavoro sui testi, così si capiscono molto bene dove sono i pregi e i difetti dello scrivere. A mio parere  va recuperata l’autenticità. Ci sono molti libri costruiti sulle emozioni che il lettore deve provare ed è una caratteristica dell’attuale letteratura per ragazzi, motivo per cui me ne sono allontanato. La vita è fatta anche di sorrisi e silenzi, cicatrici e bruciature,  fughe e ritorni. Non si può contare su un passaparola basato sul “ leggilo anche tu perché mi è piaciuto”.

 

Da ultimo una domanda di rito: quali sono gli autori che ami leggere in questo periodo?

Ovviamente ne ho tanti, ma mi piace citarne uno in particolare: Francesco Biamonti. Nelle sue opere l’intreccio c’è e non c’è, è pura scrittura . Mi piace molto poggiare il libro sulle ginocchia e andare via verso percorsi miei . Poi un libro importante per me è Chiamalo Sonno di Henry Roth in cui è attribuito uno spazio importantissimo alla memoria.

 

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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