Data di pubbl.: 2016
Casa Editrice: Feltrinelli
Genere: Harper Lee
Traduttore: Vicenzo Mantovani
Pagine: 268
Prezzo: 18,00
La grande scrittrice statunitense Harper Lee, nata nel 1926 in Alabama e passata a miglior vita lo scorso 19 febbraio, ci ha lasciato in dono una delle opere letterarie più belle che sia mai stata scritta sul tema del razzismo e delle ingiustizie sociali: “Il buio oltre la siepe”. Per chiunque abbia letto quel capolavoro, è difficile metterne da parte il ricordo e poter apprezzare appieno “Va’, metti una sentinella”, il romanzo ‘ritrovato’ che, alla sua uscita negli USA qualche mese fa, ha suscitato numerose polemiche. Le compromettenti condizioni di salute di Harper Lee, infatti, secondo alcuni rendono praticamente impossibile affermare che la pubblicazione di questo libro sia avvenuta con l’espresso e lucido consenso dell’autrice, mentre sembra più plausibile si sia trattato di una mossa astuta di eredi e agenti letterari.
In ogni caso, “Va’, metti una sentinella”, uscito in Italia per Feltrinelli, è un romanzo interessante sotto diversi punti di vista. Per gli ammiratori di Harper Lee, è un modo di confrontarsi con il primo approccio di questa scrittrice alla storia che prenderà forma più compiuta ne “Il buio oltre la siepe”, successivo a questo libro (che pare sia stato scritto a metà degli anni Cinquanta). Per tutti, inoltre, è un tuffo nella dimensione degli Stati del Sud dominati dalle discriminazioni razziali, di cui aiuta a comprendere meglio i meccanismi. Lo stile della scrittura, dotato di limpidezza e vivacità, rispecchia il modo di essere della protagonista, che narra la storia in prima persona: la ventiseienne Jean Louis Finch.
Già, proprio lei: la stessa ragazzina, soprannominata “Scout”, de “Il buio oltre la siepe”, qui è una giovane donna, determinata e indipendente, che – di ritorno da New York a Maycomb, in Alabama – deve fare i conti con amare rivelazioni e verità sul luogo in cui è cresciuta e sulla sua famiglia. Si mettano il cuore in pace, a questo riguardo, gli affezionati lettori de “Il buio oltre la siepe”, in cui il personaggio di Atticus Finch – padre di Scout – si distingueva per il suo senso di giustizia e per la sua accanita difesa di un uomo di colore innocente a dispetto di tutto e di tutti. La dolorosa scoperta che sua figlia compie è, infatti, che anche lui, proprio come tutti i bianchi a Maycomb, è un convinto assertore dell’inferiorità dei neri e un difensore della segregazione razziale. L’intera cittadina è ritratta come un luogo fortemente limitato e limitante, in cui essere donna significa sposarsi e dedicarsi ai pettegolezzi ed essere uomo vuol dire prendere parte ad associazioni di impronta razzista e saper bere in compagnia.
La protagonista, divisa fra il proprio amore per la terra in cui è nata e il disprezzo che questa le suscita per via della sua mentalità ristretta e provinciale, trova un’effimera consolazione nei ricordi d’infanzia che persone e luoghi innescano dentro di lei. Sono proprio le descrizioni della sua vita da bambina (come quelle dei giochi con gli amici Jem e Dill, impegnati, ad esempio, a farsi beffe del predicatore in chiesa imitandolo in cortile) le più godibili del romanzo: possiedono un’energia e una capacità di coinvolgimento che, altrove, a volte si perdono. Forse, è proprio per questo che, dopo aver letto il manoscritto che Harper Lee gli aveva fatto leggere e da cui questo libro ha preso forma, il futuro editore de “Il buio oltre la siepe” consigliò alla scrittrice di ispirarsi all’infanzia di Scout per cominciare a scrivere un altro romanzo.
“Va’ metti una sentinella” si contraddistingue, comunque, per la capacità di descrivere il conflitto all’interno di una donna, divisa fra passato e presente, fra nostalgia delle proprie radici e voglia di libertà. Emergono anche i temi dello spaesamento e della ricerca di un senso di appartenenza: Louise, in fondo, non si sente rappresentata né da New York né da Maycomb. La prima città è, infatti, nonostante le mille opportunità in grado di offrire, un luogo competitivo in cui occorre adattarsi a stili di vita molto distanti da quelli cui era abituata. La seconda, per cui l’ormai cresciuta Scout sente una profonda nostalgia quando si trova nella Grande Mela, le mostra quasi esclusivamente, al suo ritorno, gli unici lati per cui meriterebbe di cadere nell’oblio. Se non altro, la protagonista è ora costretta a guardare in faccia la realtà, a riconoscere di essere sempre stata cieca. E, di conseguenza, a scegliere se essere chi è o cedere alle apparenze che, molto subdolamente, mascherano l’odio razziale dietro una facciata di apparente rispettabilità.
A fine lettura, sono proprio le parole di Louise, quelle che hanno ispirato il titolo di questo romanzo e che sono espressione di un anelito a un mondo migliore e a un risveglio delle coscienze, a lasciare il segno:
“Cieca, ecco quello che sono. Non ho mai aperto gli occhi. Non ho mai pensato di guardare nel cuore della gente, la guardavo solo in faccia. Cieca come una talpa… Ho bisogno di una sentinella che mi guidi e dica ciò che vede ora per ora. Ho bisogno di una sentinella che mi dica: questo è ciò che un uomo dice, ma questo è ciò che pensa, che tiri una riga nel mezzo e dica: qui c’è questa ingiustizia e là c’è quella giustizia, e mi faccia capire la differenza”.