Come si legge nel programma del festival Rendez- vous “ospite d’onore di questa edizione è la regista Fabienne Godet con Une place sur la terre, riflessione sulla solitudine del tempo presente, ma anche romantica storia di un grande incontro, interpretato con grande intensità da Benoît Poelvoorde e Ariane Labed”
Il film è uscito in Francia il 28 agosto 2013 e non ci poteva essere modo migliore per chiudere questo festival di cinema francese.
Une place sur la terre parla di dolore, di solitudini, passioni, talento.
Antoine è un fotografo disgustato dalle regole del mercato e per questo ha scelto di fotografare solo ciò che gli piace, ciò che lo ispira. Ha una profonda amicizia con Matéo, un bambino, figlio della vicina, cui dà un’educazione piuttosto insolita, con lui condivide momenti ricchi di affetto, cibo, discussioni sul senso della vita.
Durante la notte di Capodanno, che Antoine sceglie di passare con Matéo, una giovane musicista di pianoforte, Elena, si butta dal tetto della casa di fronte a quella del protagonista. Lui, che era intento a fotografarla mentre suonava con passione e determinazione Chopin, assiste alla scena. Grazie al suo intervento, Elena sopravvive all’accaduto. Comincia così, tra i due, un forte rapporto di amicizia durante il quale condividono passioni, interessi, imbarazzi e tentennamenti.
Tutto sembra andare per il meglio, fino a quando Antoine non invita Elena a cena a casa sua, decidendo di mostrarle le centinaia di sue fotografie appese alle pareti. La reazione di Elena è di orrore, ripudio, rabbia. Qui avviene l’irrimediabile distacco tra i due che la spingerà, dopo la discussione della tesi di laurea cui Antoine assiste di nascosto, a partire per l’Egitto per fare degli scavi archeologici in mare.
Durante una di queste immersioni Elena ha un incidente che la fa entrare in coma. Nel giro di pochi giorni Elena muore, ma è solo nella tragedia e nella disperazione che Antoine ha finalmente la forza di riconoscere un dolore fino ad allora taciuto, nascosto, ignorato.
In questo momento il protagonista cita Beckett nell’opera “Finale di partita” sostenendo l’importanza di urlare il proprio dolore. Il malessere che fino a quel momento sfogava solo attraverso il fumo, l’alcool, il silenzio e la scontrosità finalmente emerge in un bosco. In quel momento, con un urlo liberatorio, il protagonista si scuote e decide di portare a termine un progetto: realizzare una mostra fotografica dell’ultimo anno di vita di Elena.
Questa vicenda, drammatica ma molto profonda, ci racconta di piccole cose quotidiane che danno piacere. Racconta magistralmente il dolore e la solitudine umana.
Dalle inadeguatezze dei personaggi emerge l’amore per la vita, per la cultura, sempre presente, per i rapporti veri, sinceri e profondi. Un film da vedere per apprezzare la bellezza della propria quotidianità: forse non tutti potranno trovare il proprio posto sulla terra ma, come i personaggi dichiarano nel film, ognuno avrà lasciato un segno del proprio passaggio.