Autore: Dickens Charles
Data di pubbl.: 2011
Casa Editrice: Bur, Rizzoli
Genere: Racconto
Pagine: 100
Prezzo: 6.90
L’ho letto così tante volte da averne perso il conto. I personaggi sono ormai degli amici, forse addirittura dei parenti. E ci vediamo tutti i Natali perché questo racconto, un po’ magico lo è davvero. Non so cosa ti faccia, ma provate a leggerlo in questo periodo dell’anno e vedrete che diventerà un appuntamento fisso come il panettone, i regali e la S. Messa di Mezzanotte. E questo vale anche per la sua versione Disneyana che con il fumetto “Canto di Natale di Topolino” ha consacrato il mitico Paperon De Paperoni ad un’interpretazione da Oscar, quella dell’avarissimo Ebzner Scrooge.
“Marley era morto, tanto per incominciare, e su questo non c’è alcun dubbio…Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta”.
No, dimenticate gli ultimi gialli e thriller che avete letto, qui non abbiamo vivi che indagano sui morti, bensì morti che… indagano sui vivi. Nessuna spaccatura tra queste due dimensioni che noi tendiamo a vedere come contrapposte: la vita e la morte in una lontanissima notte di chissà quando si confusero in unico tempo, quello del Natale. E in unico luogo: quella Londra furente di nebbie e di freddo, tra poveri diavoli e diavoli e basta. La vita può imparare dalla morte, sembra volerci dire Dickens attraverso la vicenda dell’avido e infelice Ebenezer Scrooge che pensa solo a lavorare, anzi a guadagnare, congelato in un perpetuo freddo invernale. Per lui non esistono altre stagioni: né primavere di speranze, né autunni di ricordi. Chi era stato Scrooge? Anche lui pare averlo dimenticato. Chi potrebbe essere in un prossimo futuro? Non ci pensa, non gli importa.
Non ha relazioni con nessuno. Ignora il nipote Fred, maltratta il suo unico impiegato Bob Cratchit, padre di un bimbo gravemente malato, e naturalmente non fa beneficenza, convinto com’è che i poveri siano necessari, anzi indispensabili perfino per quegli enti assistenziali che se ne fanno carico: infondo se non ci fossero i miseri queste strutture caritatevoli non avrebbero più alcuna ragione d’essere.
Nella narrativa e nella filmografia spesso l’accedere ad altri mondi e tempi, avviene oltrepassando una soglia, una porta. Anche qui la banalissima porta dell’abitazione di Scrooge diventa l’ingresso per quella redenzione in tre tempi che sarà scandita dalla visita dei tre Spiriti del Natale. Il preludio è l’incontro di Scrooge col suo vecchio socio Marley, morto la Vigilia di Natale di sette anni prima.
“E allora, mi spieghi chi può come accadde che Scrooge, dopo aver introdotto la chiave nella toppa, scorse nel batacchio, senza che questo nel frattempo avesse subito alcun processo di alterazione , non più un batacchio, ma il volto di Marley”.
Un terrorizzato e incredulo Scrooge ascolta le parole dello spettro e soprattutto l’inquietante stridio delle catene che fa da sfondo, quasi da colonna sonora. E non catene qualsiasi, bensì quelle che lo stesso Marley si fabbricò da solo e senza saperlo grazie al suo egoismo. Perché, ed è qui che Dickens sembra voler andare a parare, molto spesso siamo noi che ci mettiamo d’impegno per crearci i nostri “pesi”, quelli che ci sotterreranno da vivi e che c’impediranno di volare da morti.
Dickens in quella che sembrerebbe una favola per bambini affronta un tema ardito, adulto, uno forse dei più difficili, su cui perfino i migliori filosofi si sono interrogati nei secoli: il rapporto tra libero arbitrio e destino. Le “ombre delle cose che saranno”- così viene definito il futuro-, osservate da Scrooge nella terza tappa del suo viaggio, potranno cambiare se anche lui finalmente cambierà?
“Io non sono l’uomo che ero prima e non sarò l’uomo che sarei stato se non ti avessi incontrato. Perché mi mostri tutto questo, se per me ogni speranza è perduta?”
Immagino sappiate come è andata a finire. E se per caso qualche alieno non lo sapesse… Buona lettura e naturalmente … BUON NATALE!!!