
Autore: Vasilij Grossman
Data di pubbl.: 2010
Casa Editrice: Adelphi
Genere: letteratura russa
Pagine: 229
Prezzo: 11 €
Scuote l’anima con parole dure e aspre. Racconta con lucidità la vita dei lager russi, toccata ai dissidenti del regime stalinista, ma anche a coloro che si sono adoperati per la rivoluzione. Queste pagine commuovono, fanno riflettere, ma soprattutto non lasciano spazio al revisionismo o al negazionismo.
Tutto ciò che è disumano è assurdo e inutile. Dice Ivan, il protagonista del libro. Lo sussurra mentre cammina per strada, in cerca di una nuova vita e di quel tempo trascorso nelle prigioni della Siberia. Ci spiega nei dettagli il male ordito da uomini che non sanno per chi combattono e in nome di quale causa. Certamente, in loro non è rimasto nulla degli ideali della gloriosa rivoluzione, che avrebbe dovuto ridare dignità agli oppressi. Anzi, prima Lenin e poi Stalin hanno costruito uno Stato che ha sottomesso l’uomo, issando la bandiera dell’odio.
Sono amare le conclusioni di Ivan, che crede nella libertà dell’uomo, nella sua autodeterminazione; mentre odia la rivoluzione dei piani quinquennali, dei lager, del terrore insensato nel nome dell’annientamento dei nemici del popolo.
Ma chi sono i servi del regime? Uomini che inventano dossier e accuse per far finire in carcere persone innocenti, prive di odio, fedeli solo a un ideale di fratellanza. Eppure, nella grande Madre Russia, anche i carnefici possono diventare vittime del sistema. Anche a loro possono toccare in sorte la gattabuia e la tortura.
Tutto ciò che è reale è razionale. Lo dice Hegel, ma Ivan non ci crede assolutamente. Come può la rivoluzione del proletariato aver reso gli uomini bestie emancipate, che mandano a morte, nei lager, donne, uomini, bambini ed ebrei? Che differenza c’è tra il gas nazista e il gelo siberiano riservato a chi ha detto “no” alle imposizioni del regime stalinista?
Viene chiesto ai contadini di lavorare di più, di non lamentarsi per il salario basso, di non riposarsi, di non scioperare, di non tenere per loro qualche spiga di grano. Tutto deve essere consegnato allo Stato, tutto dev’essere fatto in nome dello Stato. Non si possono piantare altre colture oltre al grano e chi disobbedisce viene fatto morire di fame.
E Stalin non si fa scrupoli, priva i contadini ucraini di tutto e i loro lamenti restano inascoltati. E mentre la fame li massacra, la stampa scrive che essi sono dei mistificatori, che con il grano che hanno nascosto potranno vivere per anni. Sono nemici del popolo. I Kulaki… chi si ricorderà di loro?