Eugen Chirovici è uno degli autori che ha più sorpreso noi Amanti dei Libri in questo 2017. “Il libro degli specchi” è un thriller coinvolgente, che ingenera nel lettore molteplici riflessioni sulla percezione del reale. Lo abbiamo incontrato in occasione di tempo di Libri a Milano e abbiamo conosciuto meglio qualche aspetto del suo lavoro di narratore.
I diritti per il suo libro sono stati venduti in 38 Paesi. Si aspettava un simile successo?
Non me l’aspettavo assolutamente; non ho mai scritto per diventare ricco o famoso se no avrei dovuto abbandonare tanto tempo fa: da vent’anni a questa parte scrivo per un pugno di quattrini. Allo stesso tempo oggi mi fa piacere sapere che il mio libro viene pubblicato in tanti paesi e letto da tante persone.
Il suo libro racconta una storia molto intrigante con tre voci diverse: è stato difficile gestire una simile tecnica narrativa?
Probabilmente è stata la cosa più difficile: trovare per ogni singolo narratore una voce autentica e diversificarlo. Richard Flynn è uno studente agli inizi degli anni Ottanta, quindi ho dovuto farlo parlare con la lingua del tempo poi quando scrive i suoi ricordi ha già 50 anni. Ho dovuto riorientarmi tra il gergo degli anni Ottanta e la lingua contemporanea ed è stato il compito più importante. Per chi scrive in inglese poi c’è il problema della lingua e della sua contaminazione con l’americano; l’inglese per sua natura è estremaente vivido . Vengono introdotti ogni anno migliaia di nuovi lemmi e ci sono almento sei o sette gruppi linguistici da tenere presenti. Per esempio il gergo di New York è assolutamente peculiare perchè si parla una lingua molto diversa a Brooklin piuttosto che nel Bronx o Long Island. Se si inserisce molto gergo per sembrare autentici si rischia che quel libro non sia apprezzato da un australiano, un sudafricano o anche un inglese. Il problema dell’opera originale in lingua inglese è quindi trovare un equilibrio tra autenticità e comprensibilità. Per rendere piacevole la lettura ci vuole il colore locale ma senza esagerare. Il modello da seguire è quello di Stephen King. Si sa che ambienta tutti i suoi libri nel New England o nel Maine e lo si capisce da certe particolarità linguistiche, però il suo stile è godibilissimo da americani e non.
È proprio a queste tre voci narranti che si ispira il titolo “Il libro degli specchi”? Come se oggi voce riflettesse solo una parte della verità?
Quando eravamo bambini non avevamo alcun interesse per la verità, ci immedesimavamo semplicemente nelle storie che ci venivano raccontate, perchè ogni bambino è carico di fantasia e di immagini e si trova in una condizione di genuinità. Il nostro cervello non è progettato per fare distinzione tra una fantasia e la realtà: basti pensare a quella che viene chiamata la “sindrome del prigioniero”: quando è da solo dopo un certo numero di ore cominica a farsi letteralmente dei film e ha delle allucinazioni. Vede scene complesse come in una pellicola cinematografica e pensa che siano reali. Penso quindi che la gente quando legge non cerchi la verità ma la storia: più è vicina alla nostra vita e più importante diventa. Un esempio molto semplice è Pinocchio: tutti sanno che un burattino di legno non può avere vita, ma non interessa a nessuno. Questo mi porta anche a fare considerazioni sulla nostra concezione dell’infanzia: fino a meno di un secolo fa a dodici anni venivi considerato un adulto a tutti gli effetti, magari solo un po’ più sciocco, e così è stato per migliaia di anni.La vita media non superava i 27 anni e bisogna stare molto attenti quando si traccia il confine tra l’infanzia e l’età adulta: questo è un concetto non assodato e molto recente, che è entrato nella mente da poco tempo. La tecnologia i computer esistono da pochissimo per essere entrati a far parte della nostra mentalità: siamo ancora quelli di 2000 anni fa dal punto vita della capacità del cervello.
In effetti dietro a questo romanzo c’è qualcosa in più di una bella storia che cerca di svelare una verità rimasta nascosta troppo a lungo: qual era il suo intento mentre scriveva questo libro?
Tutte le considerazioni che ho fatto prima sono alla base del libro, anche se non ho una tesi da provare come quando scrivo saggistica. In narrativa “the story is the boss”: la trama la fa da padrone, non lo scrittore.
A questo propostio quali sono gli autori che la hanno maggiormente influenzata?
Sono molti ma soprattutto Hemingway, Steinbeck, Camus, Durennmatt e Vargas Llosa.
Dopo “Il libro degli specchi” cosa dobbiamo aspettarci da lei?
Quando è esplosa la bomba di questo romanzo ne avevo già finito un altro che sotto certi di punti di vista è analogo e segue la stesa vena. E‘ ambientato tra New York e Parigi a metà degli anni settanta e ai giorni nostri.