Taccuini (1922 – 1939) – Marina Cvetaeva

Titolo: Taccuini (1922 - 1939)
Data di pubbl.: 2024
Traduttore: Pina Napolitano
Pagine: 308
Prezzo: € 20,00

Marina Ivanovna Cvetaeva è uno dei nomi più importanti della poesia russa. La sua opera non sfigura accanto a quella di Pasternak e Majakovskij.

Nel 1922 lasciò la Russia per avversione al nuovo regime e lei soffrì sempre per il distacco dalla patria.

Nel 1939 torna in Russia desiderosa di far parte della vita letteraria del suo paese. Ma qui la sua vita non fu facile: il marito e la figlia furono vittime dello stalinismo. Marina rimase sola e avvertiva su di sé il peso drammatico dell’indifferenza del suo ambiente.

Nella disperazione più totale a Elabuga, il 31 agosto 1941, si toglie la vita.

Marina Cvetaeva ha la poesia nel sangue e la sua scrittura con avidità ha sempre guardato alla bellezza e alla perfezione.

La poesia per Marina rappresenta un’ancora di salvezza, una forma di sopravvivenza per la propria voce dilaniata dal dramma storico e esistenziale.

La poesia è il mestiere della sua vita. Senza i versi la poetessa e la donna smetterebbero di vivere e di lottare.

Marina Cvetaeva che corre sempre sul filo della sua esistenza, affidandosi sempre alla poesia e alle sue intuizioni senza le quali ogni cosa non avrebbe vita e non avrebbe senso.

Voland per la prima volta presenta al lettore italiano i taccuini che la scrittrice e poetessa russa scrisse negli anni dal 1922 al 1939, che sono gli anni dell’emigrazione.

Tradotti e curati da Pina Napolitano Taccuini è un’opera rivelatrice che permette al lettore di entrare nel dramma inqueto dell’esistenza di Marina Cvetaeva.

È un testo frammentario, si legge nella prefazione di Pina Napolitano. Non solo perché di alcuni taccuini sono sopravvissuti solo scampoli, singoli fogli. È proprio la struttura del testo a divenire a tutti i livelli un eterogeneo fragmentarium.

Entrare nella “scrittura dei giorni” di Marina Cvetaeva vuol dire prima di tutto subire il fascino della sua vita condannata alla poesia: «I miei versi sono sempre più giovani di me, non mi raggiungeranno mai. Mi scrivo all’indietro, non in avanti»; «Due parole messe una accanto all’altra hanno immancabilmente un significato»; «L’importante per il poeta è scoprire il luogo di associazione più lontano. È quello più vero».

Nei materiali eterogenei e frammentari dei taccuini dell’emigrazione troviamo e ritroviamo quella confidenza estrema con la parola che Cvetaeva non abbandonerà mai sia nella vita che nella poesia.

Con Taccuini arriviamo al centro dell’universo di Marina Cvetaeva. Nel suo vagabondare tra Berlino, Praga e Parigi la poetessa annota sul diario la difficolta dei suoi giorni («Mi aggrappo a delle inezie, desiderio di sentire la mia voce, di dire qualcosa. Mi aggrappo con tutto il mio essere al nulla, acuta attenzione per quello che mi circonda»).

Per Marina il poeta è sempre un emigrante dell’immortalità del tempo. Questa è anche la condizione che si trova nei Taccuini, un testo ipermoderno, in cui la letteratura e la vita si incontrano sempre.

«Sono stata poeta prima di essere donna – e lo sarò dopo… Allora -*».

Marina Cvetaeva anche nei Taccuini esercita il suo Mestiere di poeta e come donna non smette mai di arrendersi alle prove della sua tragica esistenza.

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