Solo il tempo di morire – Paolo Roversi

Titolo: Solo il tempo di morire
Casa Editrice: Marsilio editore
Genere: Giallo & Thriller, Narrativa
Pagine: 461
Prezzo: 19,00

“Solo il tempo di morire” è la seconda parte del “dittico della città rossa” e degna continuazione di “Milano criminale”, il libro con cui Paolo Roversi ha iniziato la sua personale indagine della storia della criminalità milanese. Non è certo il primo che se n’è occupato, Piero Colaprico ad esempio lo ha fatto prima di lui, in ogni caso i suoi romanzi hanno un taglio incalzante, che fa entrare il lettore nel vivo della storia in un approccio all’americana ben riuscito: impossibile non pensare alle atmosfere di certi film di Quentin Tarantino.

Non siamo più negli anni della Ligera, la mala romantica e disorganizzata descritta in canzoni come “Ma mi” e raccontata fino a qualche anno fa anche da uno dei suoi protagonisti, Luciano Lutring. Stavolta gli anni che vengono presi in considerazione sono quelli che vanno dal 1972 al 1984 definendo la parabola di una criminalità che in mano a Tarantino detto “Faccia d’angelo”, Ebale “Il catanese” e Vandelli “Il bandito dagli occhi di ghiaccio” finisce per essere sempre più violenta. I nomi celano i tre reali padroni della scena di quegli anni: Francis Turatello, Angelo Epaminonda e Renato Vallanzasca. Tre uomini, tre stili, tre modi di vedere la conquista della città, che li contrappone in modo spregiudicato e feroce. Il primo ambito di affari della mala sono le bische e la prostituzione, poi comincia il traffico lucrosissimo della droga, che viene tagliata per guadagnare di più e spacciata senza scrupoli. Proprio da qui si parte con un incipit accelerato che immette subito nella vicenda e nello stile dell’intero romanzo con un Agostino Ebale che per uscire da una vita misera e monotona fiuta l’affare della cocaina, di cui diventerà il più grande protagonista.

“Questa roba ti manda in paradiso! E il bello è che non devi nemmeno schiattare! No piccola, sto parlando da solo, non devi rispondere. Tu continua così, brava”.

Gli eventi raccontati sono reali, ma attorno ad essi la fiction costruisce un’idea del bandito dedito a sesso facile e brutale, lusso, cocaina che in parte può sembrare pericolosamente fascinosa, ma certo non è troppo lontana dalla realtà. Ad aumentare l’effetto di familiarità delle imprese efferate dei banditi il sottofondo della colonna sonora dei tormentoni dell’epoca, che accomunano i delinquenti alla gente comune. Così ci “riascoltiamo” mentalmente “Cuore matto” oppure “Anima mia” e ne scaturisce una sensazione stridente, ma al contempo gradevole, che ci riporta con immediatezza all’atmosfera di quegli anni.

In primo piano appare poi la città con i suoi luoghi oscuri, le sue periferie, i locali del lusso e del divertimento clandestino, il luogo dove si producono le gesta di questi personaggi.

Così la descrive l’editore Giovanni Frediani, salito su un traliccio per sabotarlo e rimasto fulminato: “Vista da così in alto sembra pulsare; la osserva affascinato: quell’agglomerato di vite e palazzi lo intriga e terrorizza al tempo stesso. E’ sfuggente la metropoli, inafferrabile. Crudele per gran parte del tempo” (pag.46).

Se l’episodio vi ricorda qualcosa avete ragione: in questo libro c’è anche la politica di quegli anni, ci sono le stragi impunite, che certo si mescolano in qualche modo alle attività criminali, ma la cui verità come sappiamo è lontana dall’essere riscostruita.

“La criminalità è cambiata, la politica è cambiata. Adesso ci sono le bombe e le stragi, si spara nell’utopia che ficcando le pallottole nei corpi delle persone si radichino le nuove idee. E magari pure con il tritolo sui tralicci ci si illude di cambiare il mondo” (pag. 98): a lottare contro tutto questo c’è Antonio Santi, alias Achille Serra, uomo integerrimo e deciso descritto in tutta la sua umanità, che con a fianco la moglie Carla attraversa quegli anni bui di austerity e paura da fedele servitore dello stato.

Il libro, vincitore del premio Selezione Bancarella, è uscito in terza edizione con un comento di Giancarlo de Cataldo: “Il romanzo si divora, tiene, ha un gran ritmo, come del resto Milano Criminale, di cui rappresenta il logico sviluppo”. Sarà molto apprezzato dai lettori che amano una ricostruzione fedele dei fatti unita all’immedesimazione nel mondo criminale.

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Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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