Al Salone del Libro seguiamo allo Spazio Piemonte l’incontro con Emma Schiavon, Marco Severini, Giuliana Manica, Presidente della Consulta delle Elette del Piemonte, Maria Agnese Vercellotti Moffa, Presidente della Consulta femminile regionale del Piemonte e Marco Brunazzi, che coopera ai lavori dell’Istituto studi storici Gaetano Salvemini.
Il tema che accomuna questi studiosi è l’interesse per la figura della donna, intesa come soggetto politico, culturale e storico, in continua tensione tra la rivendicazione dei propri diritti civili e politici e la poliedricità di ruoli che la società le impone, dalla cura casalinga all’affermazione nel lavoro.
Giuliana Manica, Presidente della Consulta delle Elette del Piemonte, descrive la situazione della donna nelle istituzioni: quando la situazione storico-politica prefigura un momento di crisi è quasi “permesso” alle donne entrare nell’arena. Inoltre la presenza di giovani donne spesso significa cambiamento e modifica degli attuali modelli di sviluppo: la primavera araba ne è l’esempio.
Emma Schiavon, attualmente impegnata nella costruzione e nell’ampliamento dell’Archivio delle Donne del Piemonte, in particolare si interessa del rapporto delle donne con il fluire storico dell’Italia contemporanea. E’ autrice di “Torino 1911. Il primo congresso pro suffragio femminile a cinquant’anni dall’unità”. Frutto di anni di ricerca, scritto in un linguaggio chiaro e comprensibile, si inserisce nel filone degli studi di genere. La Schiavon recupera l’ auto-definizione che le donne del congresso pro suffragio del 1911 si davano: già “femministe” in tutto e per tutto, non emancipazioniste o suffragette.
Il contesto storico in cui si situa questo evento è l’Italia della belle époque, anche se il 1911 rappresenta l’anno della prima frenata brusca della crescita e dell’entusiasmo di quegli anni. L’Italia infatti bombarda Tripoli e Giolitti promette ai socialisti il diritto di voto per tutti gli uomini, in cambio della non-opposizione all’entrata in guerra. Ma il movimento femminista trova motivi di disaccordo con le politiche comuniste e socialiste: Anna Kuliscioff pensa che le battaglie delle donne debbano inserirsi all’interno del movimento operaio, in modo da non creare un legame interclassista trasversale tra donne operaie e donne borghesi. Infatti le donne che poi si batteranno al di fuori del socialismo verranno etichettate come “femministe borghesi”. Nonostante la mancanza di documenti relativi a queste figure, sia per mancanza di cura delle stesse, sia per la mancanza di interesse delle famiglie, Emma Schiavon è riuscita comunque a studiare le figure delle donne più decisive di quegli anni, tra cui la leader Emilia Mariani, maestra di scuola elementare, che rischiò il carcere per aver scritto un articolo femminista.
Marco Severini, nel suo studio “Dieci donne. Storia delle prime elettrici italiane”, cerca di restituire la memoria dovuta alle prime 10 elettrici della storia italiana. Nel 1906, più di 40 anni prima dell’estensione del suffragio alla componente femminile della popolazione, 10 maestre di Senigallia, nelle Marche, ebbero per ben 10 mesi il titolo di elettrici. Questo grazie a un’omissione nell’allora carta costituzionale, lo Statuto Albertino, che non citava esplicitamente le donne nella categoria degli interdetti al voto. Il movimento femminista di allora, accortosi del vuoto legislativo, decise di avviare un’azione in tutto il paese, esortando le donne ad andare ad iscriversi nei seggi elettorali. Inizialmente vennero ammesse quasi tutte le richiedenti, ma in un secondo momento i procuratori regi fecero un ricorso che vinsero, tranne alla Corte d’Appello di Senigallia, presieduta dall’insigne giurista Ludovico Mortara, che per primo riconobbe il diritto di voto alle donne. Il suo pensiero si ispirava ad un’idea dinamica del diritto, che sapesse interpretare in modo organico ed elastico i bisogni e i cambiamenti della società, senza mai cadere nella facile trappola dell’appiattimento sulle singole leggi e dei codicilli. La sentenza Mortara del 1906 ebbe una grande risonanza e suscitò le ire e l’opposizione di tutto il mondo giuridico italiano e della stampa, ma il giudice nel 1919 si prese la sua piccola rivincita: una volta divenuto ministro di Grazia e Giustizia tra i suoi primi provvedimenti vi fu l’abolizione della potestà maritale (il diritto del marito di operare scelte in vece della moglie), inoltre aprì molte delle professioni, fino ad allora precluse, alle donne.
Grazie agli studi di Emma Schiavon sulle prime coraggiose elettrici, l’importanza del recupero memoriale e storicistico entra dalla porta principale nel discorso pubblico. La Schiavon, a tal fine, partecipa attivamente agli studi dell’Archivio delle Donne del Piemonte.
Infine Maria Agnese Vercelletti Moffa, Presidente della Consulta femminile regionale del Piemonte, illustra la mostra permanente al Museo del Carcere le Nuove, a Torino: “Con forza ed intelligenza” e “Dall’uguaglianza all’intelligenza”.
Il valore di questi lavori sta nel tentativo di diffondere la memoria della storia delle donne, soprattutto nelle nuove generazioni. Le donne, soprattutto quelle più istruite come le maestre, sono riuscite nel tempo a “strappare” quei diritti che ci stanno lentamente portando verso la parità.
Questo processo non si può definire concluso ed è un dovere morale della vecchia generazione far conoscere alle giovani donne chi ha conquistato i diritti per loro, con gli obiettivi espliciti sia di conservare quelli già acquisiti sia di portare avanti il processo di parificazione dei generi. Per giungere alla piena fruizione dei diritti di parità occorre un cambio culturale che può avvenire solo grazie alle giovani donne e ai giovani uomini.
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