
Data di pubbl.: 2022
Pagine: 64
Prezzo: € 10,00
Inizia con un omaggio a Rocco Scotellaro Piccole faville, il nuovo libro del poeta lucano Giovanni di Lena.
«Poco è rimasto del tuo cuore caldo / e del fuoco che lo ardeva: / delicati amici rievocano / il profumo della protesta, / piccole faville / inseguono l’agognata verità, / ma l’alba nuova / non si svela».
Di Lena è un poeta civile e in questo pugno di versi c’è un’amarezza sconfortante che condivido, una disillusione davanti alle macerie del tempo e ai propositi traditi.
È vero, del poeta socialista della libertà contadina è stato tradito il messaggio di lotta, ma Giovanni Di Lena continua a scrivere versi taglienti e civili, denuncia le ingiustizie sociali, per guardare in faccia il caos che morde il presente.
Quel disordine che ha visto tornare indietro anche il Cristo di Carlo Levi.
La poesia di Giovanni Di Lena cerca la sua lingua nella lotta quotidiana: il poeta e l’uomo non si arrendono al degrado e al conformismo.
In ogni poesia che scrive Di Lena davanti all’ «informe che prende quota» sente quando mette le parole sulla pagine che nelle sue venne scorre smaniosa una «voglia di rigenerazione».
In questa raccolta, come scrive nella postfazione Antonio Rondinelli, troviamo Giovanni, il lavoratore apprezzato e coccolato quando serviva, brutalmente rottamato appena non serviva più, troviamo il cittadino e disgustato dalle ingiustizie e dalle iniquità delle istituzioni, deluso dagli uomini, dai loro opportunismi e dalle loro ipocrisie.
Di Lena è un umanista indignato, un poeta che ha il coraggio di gridare dove la maggioranza silenziosa tace, comodamente nascosta nella sua codardia.
La sua poesia denuncia l’oltraggio degli uomini alla terra, ascolta la voce degli ultimi, gioca a carte scoperte, si schiera sempre dalla parte di chi deve subire le ingiustizie dei padroni e lottare per portare a casa un pezzo di pane.
«Operai, non illudiamoci / il mondo non cambierà! / Solo i tiranni avanzeranno / forti come sempre, / dell’avallo popolare» (Vertenza Sud), «Ora, che la festa è finita, / riemerge la precarietà, / la cassa integrazione / grava sulla pelle degli operai / e, sfinita dalle congiure, / la Ferrosud muore» (Ferrosud).
Giovanni Di Lena sta dalla parte del cuore straziato della sua terra. Nel fuoco della poesia trova il modo per non lasciare sola la sua Lucania, di combattere per il bene comune e per il suo riscatto, proprio come hanno fatto Rocco Scotellaro e Carlo Levi.