“Una piccola impresa meridionale”. Il titolo mette subito curiosità: quale potrà essere l’impresa di cui si parla? E poi, come fa un’impresa a essere piccola? Decisi a scoprirlo, noi Amanti dei Libri siamo andati in avanscoperta. Il film, atteso nelle sale il 17 ottobre, è di Rocco Papaleo – e tratto dal suo omonimo romanzo, edito da Mondadori – ha come casa produttrice niente meno che la Warner Bros e conta tra i propri attori nomi come quelli di Riccardo Scamarcio, Barbora Bobulova, lo stesso Papaleo e molti altri.
Arrivata all’Odeon per l’anteprima, diverse persone sedevano già in sala. Incapace di resistere, ho ingannato l’attesa immergendomi nelle pagine del libro da cui è stato tratto il film: il tono semplice e confidenziale con cui il protagonista si rivolge al suo lettore mi ha subito conquistata e confesso che è stato con un piccolo moto di disappunto che ho accolto il buio in sala. Ma non sarei rimasta delusa a lungo.
La storia comincia con un ex prete, don Costantino, confinato dalla madre in un vecchio faro dismesso, così che in paese non si sappia che si è spretato. Il vecchio faro però, invece di tenerlo isolato, attira a sé i personaggi più strani, tutti, chi più chi meno, senza più una luce da seguire. E’ così che la ‘piccola impresa’ di ristrutturare l’edificio pian piano si trasforma nella ‘grande impresa’ di ristrutturare sé stessi…
I personaggi sono caleidoscopici, ognuno di loro porta in sé un pezzo di mondo: Costantino è un uomo rassegnato, tradito dall’amore per cui ha rinunciato alla sua ‘fede da tifoso’ verso Gesù, ma si accorgerà che nessuno ha perso la fiducia nella sua capacità di guida; Magnolia è una splendida ex prostituta slovacca, solare e senza vergogna per il proprio mestiere, la cui praticità senza falsi pudori porta una ventata d’aria al clima afoso e conservatore del paesino; Arturo è un artista incompreso, capace di creare musica dal più sgangherato dei pianoforti, ma in conflitto col padre e indicato esclusivamente come ‘u’ curnutu’ (il cornuto); la madre Stella è il ritratto della matrona del Sud, rigida e attaccata alle tradizioni, ferita dai figli che con la loro condotta hanno disonorato la famiglia e il Signore; Rosa Maria, la figlia dello scandalo, è scappata dal marito con l’amante che si rivelerà essere nientemeno che una donna; i ristrutturatori sono due uomini che hanno saputo crescere una bambina, la sola (per paradosso) famiglia davvero felice della storia. C’è tanto universo in questo piccolo faro meridionale da sembrare troppo stretto, eppure, un pezzo alla volta, ogni vita si incastra, impara e insegna a un’altra fino a ricomporre un equilibrio che all’inizio sembrava un’impresa impossibile.
La storia è raccontata con leggerezza misurata, una commedia corale che lascia spazio a situazioni paradossali, a un umorismo sincero e semplice, che sa far ridere senza diventare banale. La trama si dipana seguendo fedelmente quella del libro, citando quasi alla lettera nei momenti di narrazione in terza persona: Papaleo ci accompagna nel suo mondo e ce lo descrive con ironia consapevole, capace al contempo di far ridere e riflettere. Il regista, con evidente orgoglio verso la sua splendida terra, non risparmia splendide vedute di spiagge e dell’assolato mare della Sicilia, quasi fosse anch’esso un protagonista dell’intera vicenda. La stessa musica parla come una voce a sé, alternando il jazz (con collaborazioni di alcuni tra i maggiori jazzisti italiani) alla musica d’autore della incantevole voce di Rita Marcotulli, tanto che lo stesso Papaleo, commentando la colonna sonora, si chiede «É la musica che commenta le immagini o sono le immagini che commentano la musica?» Così, quando le luci in sala si sono riaccese sulle note dell’ultima canzone, sono rimasta ad ascoltare fino alla fine, con quella sensazione di soddisfazione profonda che si prova quando assistiamo ad una bella storia. Ammetto, che per un attimo avevo quasi desiderato unirmi anch’io a quella piccola impresa meridionale.