Autore: Howard Owen
Data di pubbl.: 2020
Casa Editrice: NN editore
Genere: romanzo noir, romanzo psicologico
Traduttore: Chiara Baffa
Pagine: 288
Prezzo: 18 euro
Oregon Hill è un sobborgo della città di Richmond in Virginia, separato da una linea di demarcazione impermeabile dai quartieri del ceto medio. È luogo di abitazioni gemelle con portici in legno bisognosi di una manutenzione che non avverrà mai, dove si respirano povertà e disordine, basse aspirazioni, una resa alle circostanze.
I pochi che hanno i mezzi e il coraggio cercano di abbandonarlo, a volte con successo.
Willie Black è uno di questi: non abita più lì ma ci torna sempre, attratto da una forza centripeta che lo riporta nelle strade del quartiere popolare a bere un bicchiere con altri transfughi, a salutare con un cenno amici di infanzia e conoscenze tra i senzatetto, outsider fra altri outsider, a respirare l’aria di strade in cui dovesse anche succedere qualcosa di irreparabile trattandosi di Oregon Hill, pochissimi scapperebbero, preferendo allontanarsi abbastanza da ridurre la possibilità di beccarsi un proiettile vagante, ma rimanendo a godersi lo spettacolo.
Reporter per un piccolo quotidiano, Black è tutto fuorché un giornalista d’assalto: vicino alla cinquantina, reduce da tre matrimoni fallimentari, si sente estraneo all’arrivismo delle giovani generazioni rampanti e sgomitanti. La sera esagera con alcol e tabacco, al mattino, pur dichiarandosi privo delle più elementari attrattive, si risveglia spesso in un letto che non è il suo, tira bilanci fallimentari, poi corre in redazione a occuparsi di quel po’ di cronaca nera che può movimentare quell’angolo di America.
Tra le piccole faccende di minima malavita accade che un giorno succeda qualcosa di deflagrante, e sarà proprio ciò che apre il romanzo: l’omicidio efferato di una diciottenne, il cui corpo devastato viene ritrovato nelle acque di un fiume.
All’orrore del ritrovamento si aggiunge un’altra spietata crudeltà: la testa della ragazza verrà fatta recapitata al padre in un pacco postale.
L’omicidio e le sue modalità sconvolgono il quartiere e le indagini prendono rapidamente l’avvio. Da buon reporter e da padre di una ragazza più o meno della stessa età, Willie Black decide di seguirle con attenzione e il fiuto del giornalista di lunga esperienza in cerca finalmente di uno scoop.
Ma il lavoro della polizia arriva presto a una conclusione: in pochi giorni – e altrettante poche pagine – il fidanzato della giovane confessa la sua colpevolezza. Tuttavia Black non ne è convinto. All’origine della sua perplessità c’è una sua vecchia leggerezza, una ragione personale: un analogo caso precedente, l’omicidio Pilarski, ancora lo tormenta. In quell’occasione troppa fu la sua rapidità nello sbattere in prima pagina un mostro che si era rivelato poi innocente. Tuttora preso da sedimentati sensi di colpa, decide stavolta di muoversi con cautela. Si scoprirà questa sua essere la scelta giusta, perché dietro l’uccisione della diciottenne rivenuta nel fiume ci sono motivazioni che potrebbero scagionare il fidanzato: rancori vecchi di addirittura quarant’anni, legati a un altro caso locale da fili imperscrutabili in uno scenario di sangue che mescola corruzione e doppio gioco, apparenze e vendetta.
Oregon Hill è un noir ottimo e per ragioni che vanno ben oltre la trama, seppur tesa al punto giusto: Howard Owen – che per questo libro portato in Italia dalla lungimirante NN Editore e tradotto da Chiara Baffa ha vinto l’Hammett Prize dopo Margaret Atwood e Stephen King, fra gli altri – rende con grande maestria le atmosfere di un quartiere della provincia americana che si fa esso stesso personaggio imprescindibile e insostituibile.
Il suo stazzonato reporter in veste di investigatore vuole risposte: correrà dagli amici senzatetto ai vicini middle-class, senza trascurare qualche sospettato nell’alta borghesia. Muovendo i suoi protagonisti tra caseggiati e ville, Owen lima e piega i linguaggi, varia i registri linguistici che si adattano, rivelatori, a seconda del ceto. È nel sottotesto delle loro parole che l’autore ci fa cogliere accennate sfumature di razzismo verso chi è di diverso colore. Black ha occhio lungo per le diseguaglianze: soltanto dopo un’ottantina di pagine si rivela non bianco ma mezzosangue, secondo la sua cruda autodefinizione, e per giunta figlio di una ragazza madre tuttora perennemente stonata: è solo allora che riporta i crudeli attacchi di bullismo mascherato da scherzo che lo hanno perseguitato nell’infanzia. Una discriminazione che a Richmond si moltiplica, rifrangendosi nell’astio anche verso chi ha di meno, le famiglie irregolari, il loro vivere sulla soglia del bisogno.
Il noir si amplia allora a denuncia sociale, pur mantenendosi all’interno della forma di romanzo, un romanzo incalzante, di attento scavo psicologico, meravigliosamente costruito. Howard Owen non cade nella tentazione della retorica, alleggerisce il narrato anzi, con l’uso attento di una opportuna, calibrata ironia che nel personaggio principale non mai troppa, mai cinica, solo molto umana.
Il suo Willie Black merita di essere ritrovato. Cosi sarà: questo di Owen è un’opera bilanciata talmente ben riuscita che diventerà, è stato annunciato, la prima di una già attesa serie.