Qualche anno fa mi sono arresa a una certa evidenza personale e sono diventata cristiana. Protestante. Battista, per la precisione.
E’ stato un corteggiamento privo di schermaglie; sedermi in una chiesa e pensare “molto bene, Dio c’è, andiamo avanti” non ha cambiato il mio stile di vita, e al limite ha solo portato in superficie la mia (già latente) convinzione per cui la cosa importante è sforzarsi di essere persone un po’ meno sgradevoli quando si entra a contatto con il prossimo.
L’unico effetto collaterale degno di nota è stato la mia curiosità verso i prodotti commerciali che a quelli come me (in teoria) si rivolgono. Nello specifico, i film americani che arrivano sul mercato con il marchio “valori cristiani protestanti” in bella mostra. Pensavo: che c’è di male nel produrre dischi libri e film intrisi di tipici, sani valori cristiani? Ehi, io ho fede: se esiste una cultura che individua in me il consumatore-tipo, voglio gustarmi i frutti di quella cultura. Così mi posso fare un’opinione. (E poi: valori!!!. Non è fantastico?)
Perciò, nelle settimane prima di scrivere Il corpo non dimentica, mi sono messa davanti a una pila di film americani recenti, tutti di dichiarata impronta cristiana.
Ero partita senza preconcetti, sono tornata con un livello di alienazione molto superiore a quello provato svegliandomi in ospedale senza sapere chi mi ci aveva portato.
Caratteristiche principali dei film con “tipici valori cristiani”, che i non credenti (e a questo punto pure io) preferiscono chiamare Christploitation:
– i buoni sono buoni sin dall’inizio, tutti
– non succede niente
– una trama può venire presentata con frasi tipo “la fede dello studente universitario Josh Wheaton viene messa in crisi dal suo professore di Filosofia, che non crede all’esistenza di Dio”, ma la vera trama è “Josh è un ragazzo cristiano, poi a un certo punto il film finisce”: nessuna sfida, nessun conflitto
– nonostante ciò, i film durano due ore, anche due ore e mezza
– le formule-base dello storytelling vanno tutte all’aria; la parola “redenzione” non entra mai in gioco, e neppure “dubbio”, “crisi”, “cambiamento”, “crescita personale”
– Gesù ama l’umanità al completo, ma se tu non recepisci il Suo messaggio entro 30” lui si annoia e va con altri/e
– gli unici film che durano meno di due ore sono i thriller cristiani, e quelli pare abbiano incassato pochino, quindi hanno smesso di produrli (li giravano tutti in Polonia, tra l’altro)
– i cattivi dei thriller cristiani sono manifestazioni del Diavolo, o persone possedute dal Diavolo: se ti trovi davanti a una famiglia di assassini matti che rapisce i viandanti per sottoporli a varie torture psico-fisiche, in realtà i viandanti sono tutti finiti in coma, e i torturatori sono demoni che cercano di trascinarli all’Inferno
– il coma è la Las Vegas cristiana; what happens in a coma (usually) stays in a coma
– nessuno vede mai la luce, quindi o sei “un vincente” oppure quando viene l’Apocalisse fai una finaccia
– no, sul serio: quando arriva la fine del mondo, i Buoni volano dritti in cielo, mentre tante brave persone di fede non cristiana restano a dimenarsi sulla Terra per una manciata di anni, poi vanno all’Inferno
– che tu ti muova o che tu stia fermo, la fine del mondo arriva comunque
– il Male non è “un simbolo”, no, il Male è il Diavolo, nel senso di SATANA, e va preso terribilmente alla lettera
– Satana non apprezza le sfumature, e quando si manifesta a un essere umano sfodera due enormi occhi rosso fuoco, oppure sogghigna ripetendo «sono il Diavolo!». (Questa è la trama di Suing the Devil, di base un Avvocato del diavolo col finale diverso. Ho resistito fino alla fine per sfida personale.)
La lezione che ho tratto dal mio breve, tormentato viaggio nell’exploitation cristiana è stata tenermi i sani valori e buttare via i film in massa. Ora quando voglio passare una serata tranquilla guardo i film di Diana Ross.
VIOLETTA BELLOCCHIO (1977), ha scritto per «Rolling Stone», «IL», «Rivista Studio», «Wired», «E-Il mensile», «Link». Con Mondadori ha pubblicato il romanzo Sono io che me ne vado (2009) e il memoir Il corpo non dimentica (2014). Ha fondato la rivista online “Abbiamo le prove”, un contenitore di storie nonfiction scritte da donne italiane.