OLTRE LA PENNA di… Valentina D’Urbano

Un paio d’anni fa, prima che accanto al mio nome comparisse la targhetta di scrittrice, io facevo un altro lavoro.
Un lavoro che nonostante il poco tempo a disposizione ogni tanto cerco ancora di portare avanti.
Ebbene, io lavoro nella comunicazione. Faccio arti visive. Comunicazione per immagini.
Un nome fighissimo, pare una cosa importante.
Faccio l’illustratrice per l’infanzia.
Sì, quella lì che fa i disegni nei libri dei vostri bambini (se ancora qualcuno ne compra, perché in giro ho visto solo quattrenni col tablet – il tablet! Io ancora non ce l’ho il tablet! – che giocano a candy crush saga). Comunque. 

Faccio l’illustratrice per l’infanzia. Praticamente, in questo periodo storico di spending rewiev e di tiriamo la cinghia e teniamo solo lo stretto necessario, io sono il lavoratore più inutile dell’intero universo.
Dopo di me, giusto i parlamentari del pd.
Facendo un lavoro di difficile collocazione ed essendo una free-lance (che, nel mio campo ricco di offerta ma povero di domanda è un modo carino per dire semi-disoccupato) sono sempre alla ricerca di concorsi, pubblicazioni, nuovi lanci di collane, nuovi clienti e mi imbatto in tantissime persone che fanno la mia stessa vita lavorativa.
Dopo anni a sguazzare in questa specie di brodo primordiale, un’idea sul mondo del lavoro me la sono fatta anche io, e non è che sia proprio idilliaca.
Innanzitutto devi abituarti a sentirti dire che il tuo non è un lavoro. Quando qualcuno ti chiede che lavoro fai e tu rispondi l’illustratrice, la domanda seguente sarà inevitabilmente: “Sì, carino. Ma di lavoro vero che cosa fai?”
E poi, se hai meno di 35 anni e vuoi lavorare – parlo per il mio campo, ma non credo che da altre parti vada meglio – in molti casi vieni preso per il… ci siamo capiti.
In questo settore gli stage non esistono. O meglio esistono ma si chiamano Master o Workshop, di solito costano un sacco di soldi ed esci che sai tante belle cose in più, ma di lavoro manco l’ombra. Molte aziende vorrebbero pagarti in visibilità, forse convinte che per i grafici e gli illustratori viga un regime fiscale speciale che ci permetta di pagare l’affitto e le bollette con la visibilità.
Alcuni ti chiedono di lavorare gratis perché non possono permettersi di pagarti, e aggiungono anche qualcosa come “Tanto non ti costa nulla, col computer ci metti cinque minuti”. L’idea di lavorare gratuitamente ad un progetto che loro utilizzeranno per guadagnare, non so voi, ma a me fa venire le bolle.
Altri – i migliori – sono quelli che organizzano dei concorsi o delle selezioni per creare il logo/campagna/illustrazione per il loro prodotto. Può trattarsi di qualunque cosa, dal libro per l’infanzia al nuovo igienizzante per water, non importa. Per ottenere qualcosa di decente bisogna cercare degli illustratori, guardare i loro portfolio, contattarli e accordarsi sul prezzo della prestazione, commissionargli una prova, magari pagargliela pure.
Troppa fatica.
È meglio organizzare un contest. Arriveranno un sacco di proposte tutte diverse e tutte gratuite, tra cui sceglieranno la migliore, o la meno peggio, e la pagheranno, sì avete indovinato, con la moneta più diffusa tra i mestieranti: la visibilità.
In sostanza, questo è quello che devi aspettarti quando decidi di intraprendere una carriera “artistica” in Italia.

Nessuno ti prende sul serio.
Poi si stupiscono che io sia sempre, perennemente incazzata.

Però non sono tutti così. C’è una fetta di professionisti (editori, pubblicitari, art director) che credono nella dignità di questo mestiere e che di conseguenza lo prendono sul serio.
Sanno che anche questo è un lavoro. Che implica delle capacità, degli studi e dell’esperienza, come qualunque altro.
Ma sono pochi.
Ecco perché molti lavorano all’estero. È brutto dover dare retta ai soliti luoghi comuni, ma è così.
Fuori dalla penisola noi siamo lavoratori come tutti gli altri.
Ho pensato che forse, vi sembrerà strano, è un po’ colpa anche delle fiabe, quelle che noi illustriamo, quelle che ci fanno studiare, quelle che ci raccontano da bambini. Pensate alle fiabe degli altri paesi, e pensate alle nostre.
Noi siamo il paese di Carlo Collodi.
Siamo il paese di Pinocchio.
Penso di aver detto tutto.

Valentina D’Urbano (Roma, 1985) vive e lavora nella sua città natale, dove illustra per i piccoli e scrive per i grandi.
Vincitrice del torneo letterario IoScrittore indetto dal gruppo editoriale Mauri Spagnol, pubblica per Longanesi il suo primo romanzo Il rumore dei tuoi passi (2012).
Sempre per Longanesi è in uscita il 19 settembre 2013 il suo nuovo romanzo Acquanera.

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