OLTRE LA PENNA di… Stefano Trucco

Quando uno evita il più possibile di vivere guadagna un mucchio di tempo per leggere, figurarsi ai miei tempi, quando c’erano solo pochi canali tivù rispetto ad oggi e soprattutto non c’era la Rete con la sua infinita capacità di distrarre. Così, ho letto più o meno tutto quel che volevo, potevo e dovevo leggere. Anche oggi, malgrado la crescente esigenza di controllare la mia pagina Facebook ogni cinque minuti, continuo a leggere – e ho pure cominciato a scrivere.

Ho tutta una serie di minuscole nicchie d’interesse che continuo ad arare con pazienza – pugilato, attori di teatro ormai dimenticati, mobili antichi, fantascienza, Don Giovanni, diari della Seconda Guerra Mondiale, Lyndon B. Johnson, Mario Praz, neuroscienze, Francia del Settecento, cinema muto, grandi caricaturisti inglesi, treni, arte giapponese classica e manga, musical di Broadway, etc etc etc. Fra le nicchie più grosse, le comunicazioni. Anzi no, peggio, le TEORIE delle comunicazioni.

Durante le frequenti alluvioni locali, poche cose mi riscaldano il cuore come il mio angolo di lettura vicino alla finestra: la poltrona Ikea rossa e gialla (scelta dopo un intero pomeriggio passato a provarle tutte più volte), l’abat-jour, la vecchia radio, il tavolino-libreria completo dei 60 rossi volumetti della vecchia collana Elite, ‘le arti e gli stili di ogni tempo e paese’, su cui poggia una fumante tazza di latte e miele. Ascolto la pioggia torrenziale, con un orecchio all’erta per le eventuali frane (vivo giusto sotto una collina) e intanto rileggo il vecchio e ormai malridotto tascabile Gallimard del ‘Cours de médiologie génerale’ di Regis Debray oppure la copia rilegata di ‘Public Opinion’ di Walter Lippmann un tempo appartenuta alla biblioteca del Joliet Junior College di Joliet, Illinois.

Certo, l’essenziale l’aveva detto Altan un bel po’ di anni fa, ‘Comunico che sto comunicando’, però a me piacciono le idee sul perché e il percome comunichiamo, su come raccogliamo e classifichiamo le informazioni, sulle differenze fra i vari medium (altro che ‘un libro è un libro’!) e su quanto capiamo di quel che ci dicono.

Potrei parlare di come le teorie matematiche e cibernetiche sulle comunicazioni, insieme allo sfortunato accidente per cui in inglese ‘free’ vuol dire sia ‘libero’ che ‘gratis’, abbiano radicalmente cambiato le nostre vite e in particolare abbiano sostanzialmente reso impossibile vivere scrivendo ma è meglio di no perché quando mi scaldo sull’argomento divento terribilmente lamentoso e non è il caso. Devo cercare di sembrare simpatico e positivo, mi dice l’editore (chissà se ci sto riuscendo…).

Potrei parlare della grande Elizabeth Noelle-Neumann (1916-2010), la decana dei sondaggisti tedeschi. Aveva cominciato al Ministero della Propaganda con Goebbels e poi era stata amica e confidente di tutti i leader democristiani da Adenauer alla Merkel. Negli anni Settanta elaborò una sua teoria dell’opinione pubblica basata sulla paura, in particolare la paura di rimanere isolati, che porta alla creazione di ‘spirali del silenzio’ dove precipitano le idee di minoranza. Come direbbero nei commenti ai video di incidenti stradali su Youtube, ‘the coolest ever’. Nella sua teoria non c’è posto per il dialogo razionale sui grandi temi pubblici; nessuno cambia idea in base a un ragionamento o a fatti nuovi; domina un incessante bisogno di guardarsi attorno per capire cosa pensano gli altri, ovviamente dando l’impressione di non ascoltarli nemmeno. La Noelle-Neumann inventò una serie di strumenti fantastici per misurare questa paura. Uno è il sondaggio post-elettorale: il giorno dopo le elezioni, quando ormai sono noti i risultati, si chiede al campione statistico per chi ha votato, col risultato che il partito vincente può contare subito su un buon 5-10% di voti in più rispetto a quelli effettivamente raccolti. Un altro che mi piace tantissimo è quello della gomma tagliata: ‘Vedete un’automobile cui è stata squarciata una gomma. Posteriormente è attaccato l’adesivo di un partito ma non si legge più di che partito sia: secondo lei con l’adesivo di quale partito è più facile ritrovarsi con una gomma squarciata?’ – e insomma, non era il Venezuela, era la Repubblica Federale Tedesca.

Però tutto sommato preferisco raccontarvi una storiella basata sull’esperienza personale e perciò priva di qualsiasi valore scientifico. Affermazioni apodittiche senza uno straccio di dati a sostegno, questo è il mio metodo. Del resto, con un minimo di sforzo, potrei trovare online tutti i numeri necessari a sostenere qualsiasi tesi, la mia compresa. Questo è il bello di Internet: ci sono dati e argomenti e testimonianze a sostegno di TUTTO.

Comunque. Quando ero piccolo, diciamo intorno al 1970, la Cina era governata da un uomo chiamato Mao Zedong (all’epoca però si scriveva Mao Tze Tung). Lo sapevano tutti, letteralmente tutti, anche quelli che non leggevano i giornali o guardavano la tivù, anche i bambini come me. Ne parlava perfino il mio diario di Jacovitti. Era una delle persone più famose della Terra. C’era questo miliardo di cinesi armati di un piccolo libretto rosso che un giorno ci avrebbero invaso. Nei film e nei romanzi americani i cattivi cinesi avevano preso il posto dei russi.

Passano gli anni, Mao muore e al suo posto c’è Deng Xiaoping. Malgrado ci siano più fonti d’informazione (più canali tivù, più telegiornali, la CNN) Deng non era nemmeno lontanamente famoso come Mao. Ma tutti quelli che si interessavano di politica e seguivano le notizie sapevano benissimo chi era e avevano (o ci si aspettava che avessero) opinioni su di lui e sulle sue riforme. Una persona informata non poteva non sapere chi fosse Deng Xiaoping anche se l’influenza della Cina sulle nostre vite era minima. All’epoca leggevo religiosamente l’Espresso tutte le settimane dalla prima all’ultima pagina e sicuramente potevo pontificare a lungo su Deng anche se al momento non ricordo cosa ne pensassi. Bene, credo.

Oggi siamo sommersi dalle notizie. Grazie alla Rete le fonti di informazioni si sono moltiplicate esponenzialmente. La Cina è diventata una gigantesca potenza economica e sta cambiando la struttura del potere mondiale e anche le nostre vite. In compenso il nome del leader cinese non lo so quasi nessuno. E’ un po’ d’anni che, quando qualcuno mi costringe a parlare di politica, porto il discorso sulla Cina e chiedo al mio interlocutore, una persona ovviamente più interessata alla politica di quanto lo sia io, come si chiama l’attuale Presidente cinese. Niente, non lo sa nessuno, a meno che io non mi assenti un attimo così da permettere all’interlocutore di connettersi di nascosto (‘Ah, sì, adesso me lo ricordo…’). Del resto, mi dicono con assoluta serietà, i cinesi si assomigliano tutti.

Xi Jinping, il Presidente in carica, è ignoto come i suoi predecessori, Hu Jintao e Jiang Zemin. E non certo perché la Cina non sia importante o non se ne parli. Ma si parla molto di più dell’insignificante Corea del Nord e del suo buffo leader Kim Jong-Un. Perché? L’ho detto, perché è buffo, mentre i leader cinesi non lo sono. C’è pure un film in cui la Corea del Nord invade gli Stati Uniti. La Corea del Nord è pop, la Cina no. C’è anche un termine pseudo tecnico per questa cosa: meme.

La teoria, in breve, è che all’aumento delle fonti d’informazione corrisponde una diminuzione delle informazioni recepite dal pubblico. Il giorno che ho tempo vi cerco anche qualche studio accademico che mi dia ragione. Per il momento fidatevi e ammettetelo: voi non lo sapevate, chi è l’attuale Presidente della Repubblica Popolare Cinese e ve lo dimenticherete di nuovo nel giro di 5 minuti.

stefano trucco

Stefano Trucco è uno scrittore genovese che ha partecipato al talent show per scrittori Masterpiece, aggiudicandosi il terzo posto. Il suo romanzo d’esordio Fight Night è stato pubblicato da Bompiani lo scorso 19 novembre.

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