Vorrei esordire con un “Come stai?” ma è una formula un po’ scontata, di circostanza, e poi alla maggior parte della gente la risposta vera non interessa. A me però sì. Ti ricordi quando ero l’unica persona a cui importava veramente di come stavi? Me lo dicevi sempre. E a me importava davvero. Mi importa ancora. Quindi te lo chiedo: “Come stai?”
Io ti scrivo, ma probabilmente tu non mi risponderai mai. Anzi sono abbastanza sicura che non ti farebbe neanche piacere ricevere questa lettera, quindi in realtà ti sto facendo una cattiveria. Ben ti sta! Te lo meriti proprio che ti arrivino mie notizie.
I nostri vecchi amici mi chiedono tue notizie, perché danno per scontato che io le debba sapere e mi vergogno un po’ a dire che non ti sento da mesi e non so dove sei finita o cosa stai facendo. Non so mai cosa rispondere.
Sai che non ho ricordi di te? Sono passati poco meno di due anni e già non ho ricordi. Cioè, non è vero che non ho ricordi, è che non ho un ricordo di un momento preciso. Mi ricordo solo la sensazione, quella ce l’ho bene in testa, di quando stavo male e tu venivi a casa mia e passavamo la giornata insieme, a fare…che? Boh! Niente. Non facevamo niente di speciale. Per me tu sei venuta a casa mia almeno un milione di volte, ma lo so che è un ricordo distorto. Cioè, è impossibile che tu sia venuta tanto spesso, però l’impressione è quella. È di averti avuta sempre lì. Credo che dovresti essere fiera della sensazione che mi hai lasciato. Sei stata brava.
Sto scrivendo un nuovo libro. Cioè in realtà ho un po’ di problemi. Del tipo che quando vedo la pagina bianca di Word con il cursore che lampeggia mi vengono gli attacchi di panico e mi devo attaccare al sacchetto di carta che di solito è sempre pieno di briciole che aspiro e finisce che mi strozzo un po’. Come vedi è complicato.
Vorrei raccontarti che in questo periodo paradossalmente sono contenta. Non credo felice perché ho sempre pensato che la felicità sia una cosa più totalizzante, diciamo quanto meno che sono in pace con me stessa ed è la prima volta da tantissimo tempo. Eravamo così abituate a prendere su dal mondo insieme, poi tu te ne sei andata e sei diventata felice e mi hai lasciato indietro. Ora ti ho raggiunta. Forse. Non so se tu sia ancora felice, però vedo le tue foto su Facebook e mi sembra di sì; forse ora potremmo essere felici insieme come eravamo tristi insieme. In due posti diversi però. Siamo cresciute e siamo cambiate insieme in questi anni, te lo ricordi? Di quando tu eri timidissima e io ero parecchio strana, te lo ricordi ancora? Ci siamo aiutate a cambiare, a diventare un po’ più accettabili. Tu ti sei aperta e io mi sono data una regolata.
Vorrei raccontarti com’è avere vent’anni. Lo so che anche tu hai vent’anni, ma hai dei vent’anni diversi dai miei.
Ho vent’anni e a volte penso di essere finita. Che forse sono arrivata al massimo e da qui in poi non c’è altro che una lenta discesa. Sono diventata così e così sarò d’ora in poi. Non potendoci fare niente, senza aver pilotato. Tutti questi anni a chiedermi come sarei stata da grande e ora lo sono. Sono grande. Faccio questo. Non l’archeologo, non l’astronauta. Non è come l’avevo immaginato. Non peggio, solo diverso. A te succede mai di sentirti persa o confusa? No, forse no. Tu hai trovato la tua strada e la percorri bell’e sicura. A me capita spesso invece. Forse avrei bisogno ancora di quei pomeriggi di chiacchiere inutili, di una guida per vedere bene le cose, perché lo diceva Montale, tu eri ciecatissima, ma di noi due le sole vere pupille erano le tue.
Ieri ero in treno e vedevo la campagna al tramonto filtrata attraverso lo sporco dei finestrini lerci del mio vagone. qualcosa di inspiegabile mi ha portato ad alzare lo sguardo e l’ho visto, un lago, oddio, più che altro uno stagno da pesca, tutto rosso in cui si specchiava il sole rosso e ho saputo che tutte le cose della vita sono opache.
Mi piacerebbe raccontarti tutti questi miei pensieri stupidi, come facevo una volta, quando ti tramortivo di chiacchiere. Però hai detto che non posso.
Vorrei raccontarti che ho finalmente dimenticato quel tizio là. Mi sono svegliata un giorno e puff, non era più niente. Strano come succedano queste cose. Ti chiedi come hai fatto dopo tanti tentativi a riuscirci l’unica volta che magari non stavi tentando. A volte mi torna in mente, ma mi sembra così lontano. Spero che tu sia fiera di me, anzi, sono sicura che lo sei.
Vorrei raccontarti che la magia esiste. A te piaceva tanto Harry Potter, chissà se ti piace ancora. Non trasformerà le persone in rospi, ma esiste. Quando sei a Bologna, in piazza Maggiore con una tua amica, è sotto sera, il cielo è bianco, ma tende già al blu della notte, non c’è quasi nessuno, i suoni sono ovattati e comincia a scendere lieve la prima neve in fiocchi giganti che ruotano e si posano intorno, non puoi non pensare che la magia esista. E non ti importa neanche tanto che ci sia il camioncino della CIR parcheggiato lì di fianco. Tu lo sai quanto mi piace la neve. Tu le sapevi bene tutte le cose che mi piacevano. A te invece non piaceva.
Vorrei raccontarti che è primavera e io adoro la primavera. Al di là di tutte le allergie, l’acne e le influenze. Mi piace perché il sole comincia a illuminare di più, finché un giorno sei fuori e finalmente senti che puoi toglierti la giacca. Quello è diventato il mio giorno preferito dell’anno. La primavera è così bella perché ogni anno ci scordiamo di com’è e ci stupisce. L’ho rivalutata molto, mi sto rammollendo.
Vorrei raccontarti che è appena uscito il mio primo libro e sono un po’ spaventata. La gente mi riempie di complimenti e io non so cosa rispondere. Ringrazio, mi fa piacere, è bello avere tante persone vicine che ti incoraggiano, anche chi credevi lontano. È una bella sorpresa. E divento rossa. Poi mi dicono che sono fortunata perché ho una sensibilità particolare. E io penso: accidenti, invidiano quello che mi ucciderà! C’è un sacco di gente, un sacco davvero. E tu non ci sei. Eri una delle mie migliori amiche e non ci sei. Non so se te la posso perdonare questa cosa, ti devo dire la verità.
Sei cambiata. Anche questo non so se te lo posso perdonare. So che le persone cambiano e non si può fargliene una colpa, ma tu mi andavi bene com’eri. Negli ultimi tempi, ogni volta che tornavi a casa eri sempre più strana,. È stata una cosa graduale. Ti allontanavi sempre di più. Era diverso lo sguardo, anche le espressioni del volto, facevo fatica a riconoscerti talvolta. Sei diventata così estrema e categorica su tutto. Eri buona, la persona più buona e generosa che conoscessi e ora ti batti per negare i diritti di altre persone. Consideri mostri alcuni tra i miei migliori amici. Io darei la vita perché avessero le stesse opportunità di tutti gli altri. Perché hai scelto di intraprendere questa battaglia? Chi ti ha influenzato? Perché contro l’amore, cosa di cui tu eri piena? In una guerra immaginaria, saremmo una di fronte all’altra. Noi che eravamo sempre dalla stessa parte e ci aiutavamo a vicenda a vincere la vita. Anche questo non posso perdonartelo: che tu ci abbia posizionato in due schieramenti opposti, in lotta, senza chiedermi il permesso. Io sono arrabbiata con te, sappilo. Perché mi hai lasciato andare come se fosse una cosa facile. Perché hai messo un veto, hai deciso che non ci possiamo più parlare, mentre io avrei lasciato correre tutto. Io ti voglio ancora bene, anche se sei diventata un po’ una persona non troppo bella, credo. È sempre stato quello il mio problema, il voler bene lo stesso. Come diceva il buon Catullo, io ti voglio bene, ma non so se mi piaci più.
Intanto ti ho trasformata in uno dei miei personaggi, come se anche tu fossi solo frutto della mia immaginazione. Spero che leggerai il mio libro; si chiama “Le anatre di Holden sanno dove andare”. È carino il titolo. Sai che lo dicevo che ero come il giovane Holden e che anch’io non sapevo dove andare, come le sue anatre. Be’, pare proprio che adesso lo sappiano.
Volevo solo dirti quello che ho capito: che una cosa, quando è cambiata, non è persa. È persa solo quando cominci a dimenticare com’era prima che cambiasse.
Io sto cominciando a dimenticare e, non so, te lo volevo dire, nel caso avessi intenzione di fare qualcosa a riguardo.
Emilia Garuti ha 20 anni. Vive dalla nascita in un piccolo paesino in provincia di Reggio Emilia al quale è molto legata. Diplomata al liceo classico, frequenta la facoltà di Lettere Moderne all’università di Bologna. Ama da sempre la letteratura, il cinema e l’arte. Per assecondare le sue passioni, scrive fin da quando era piccola e nel tempo libero ama dipingere, scattare foto e girare cortometraggi obbligando amici e parenti a prestarsi come attori. Nella vita vorrebbe poter fare di queste strade la sua professione. Le anatre di Holden sanno dove andare (Giunti Editore) è il titolo del libro con cui ha esordito.