Non è un paese per criminologi
«Ma lei di cosa si occupa?», chiede la signora sotto l’ombrellone accanto al mio. Ha voglia di parlare, ma io no. Sono le nove e fa già molto caldo. Alzo lentamente lo sguardo dal quotidiano in cui sono immerso e lancio un’occhiata avida al mare cobalto. Spero che capisca che non è giornata. Abbozzo un sorriso. Ho mangiato troppo a colazione, maledetto me. Medito di lanciarmi in acqua rischiando una congestione, ma desisto.
«Faccio il criminologo. Insegno all’Università», rispondo a voce bassa, sperando che non mi senta.
«Il criminologo? Ma allora conosce Bruno? E Roberta Bruzzone? E Picozzi? Che bravi. Senta, sono passati tanti anni, ma il caso Cogne se lo ricorda? Secondo lei la Franzoni è davvero colpevole o è in carcere per un terribile errore giudiziario? Io non credo che una madre possa arrivare a tanto. Sono certa sia stato un estraneo. Si sa cosa succede in questi casi con l’imperizia degli inquirenti che inquinano le prove… Io non mi perdo mai una puntata di Quarto Grado. Immagino lo veda anche lei, giusto?».
Oh mio dio, no! So come finirà. Seguirà una raffica di domande su chi e come ha ucciso Meredith. Su Sarah Scazzi e su Misseri e le sue donne di casa, sulla povera Melania Rei e il cinico Parolisi, su Rosa e Olido e il loro amore criminale, sul caso Garlasco e su Stasi e le tracce ematiche lungo le scale. Sul luminol e i plastici di Bruno Vespa. Ci sono passato troppe volte.
Ma io non ne so nulla. O meglio: non ne voglio sapere nulla. Certo sono tragedie che non mi lasciano insensibile dal lato umano. Ma fortunatamente sono eventi statisticamente rari. Rimbalzati e amplificati da un clamore mediatico che quasi ci fa reputare fortunati se i nostri giorni non finiranno in una pozza di sangue per mano di un serial killer.
Devo svicolare. Raccolgo le mie forze e rispondo: «Mi spiace, non riesco qui su due piedi, sulla sabbia, a stilare un profilo criminale. Né a dirle chi siano i veri colpevoli. Senza partecipare direttamente alle indagini ci vorrebbe un veggente. E poi io mi occupo di altro. Nel mondo i criminologi come me studiano l’andamento dei fenomeni criminali e ne comprendono le cause per aiutare governi e agenzie istituzionali a prevenirli e contrastarli. Definiscono strategie innovative contro la delinquenza. Si figuri che io da anni mi occupo di forme transazionali di criminalità organizzata, di analisi dei rischi criminali a livello urbano, di tecnologie dell’informazione e prevenzione della devianza». Mi alzo e infilo le mie infradito. «Mi scusi, ho bisogno di un caffè e di un cornetto. Non ho fatto colazione. Le porto qualcosa?». Lei ci rimane male. Glielo leggo in viso. Risponde frastornata: «No, grazie». Vorrebbe continuare la conversazione. Poi mi guarda e, un poco stizzita, dice: «Ecco perché non l’ho mai vista in tv. Eppure sembrava intelligente!».
Mi trascino sulla sabbia verso il bar del lido. «Hai visto che casino stanotte?» mi fa il barista, che conosco da anni. «È stato ucciso un uomo sul lungomare. Non si può andare avanti così! Viviamo in un paese sempre più violento! Sarà per tutti ‘sti immigrati».
Sto per replicare che non è vero che l’Italia è un paese violento. Che abbiamo un tasso di omicidi tra i più bassi d’Europa e del mondo. Che si commettono più omicidi in Svezia e nel Regno Unito. Che Roma è tra le capitali più sicure. Che la criminalità totale denunciata è stabile da anni. Che gli stranieri, quelli regolari, non sono più criminali degli italiani. Che la criminalità straniera è dovuta perlopiù alla componente irregolare e che i reati che commettono gli immigrati sono soprattutto furti, rapine e illeciti legati alla droga, non omicidi. E negli sporadici casi di omicidio gli stranieri si uccidono tra loro; si tratta di violenza infraetnica. Ma mi fermo. A che servirebbe?
«Va tutto a rotoli», commento senza troppo entusiasmo.
In silenzio mangio il cornetto e bevo il caffè sotto lo sguardo perplesso del barista. Pago, saluto e me ne vado veloce pensando tra me e me che questo non è un paese per criminologi. Pochi istanti dopo sono al largo che nuoto.
Andrea Di Nicola, criminologo. Dottore di ricerca e professore aggregato di Criminologia nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, dove insegna Criminologia e Criminologia applicata e coordina il gruppo di ricerca eCrime – ICT, law & criminology. Da più di quindici anni conduce ricerche su criminalità organizzata, migrazioni clandestine organizzate, tratta di persone a scopo di sfruttamento. Su questi temi ha partecipato o diretto più di quaranta studi internazionali e nazionali; è stato esperto delle Nazioni unite, della Commissione europea, del parlamento europeo, del Consiglio d’Europa, del parlamento spagnolo e dei ministeri della Giustizia e per le Pari opportunità italiani, ha pubblicato saggi e libri ed è stato relatore a numerose conferenze. Da una vita, appassionato delle vite criminali (degli altri). Con Giampaolo Musumeci ha scritto Confessioni di un trafficante di uomini (Chiarelettere), in libreria da poche settimane.