Novità in uscita dal 12 al 18 gennaio 2014

ROMANZI

Settembre 1938. Nedo Fiano è un tredicenne sereno e felice che vive a Firenze con la sua famiglia. Improvvisamente le leggi razziali cambiano completamente la sua vita: Nedo è costretto a lasciare la scuola e gli amici, mentre il padre e la madre perdono il lavoro. Nel giro di pochi anni la famiglia Fiano è costretta a nascondersi per sfuggire alle retate dei fascisti. Purtroppo, però, una denuncia li fa arrestare. Inizia così la terribile odissea che li conduce ad Auschwitz. La madre viene uccisa all’arrivo e il padre, a breve, subisce la stessa sorte. Nedo si difende con l’ottimismo della giovinezza, le sue doti di cantante, la conoscenza della lingua tedesca imparata dal nonno e con il sostegno morale di un ristretto numero di amici che, come lui, hanno la sola colpa di essere ebrei.Questo libro rappresenta la preziosa testimonianza di un viaggio a ritroso nella memoria, un viaggio doloroso e faticoso, ma per Nedo ricordare è un dovere, un debito alla memoria dei suoi familiari sterminati ad Auschwitz.Accanto alla severa denuncia del razzismo e della barbarie umana si impone su tutto il monito a non dimenticare.

“Il coraggio di vivere” di Nedo Fiano. Monti editore.

Helena Tholstrup è una celebrità. Di origine danese, a capo dell’Opera di Berlino, la donna ha un’unica figlia, Sophie, della quale si è occupata pochissimo, preferendo dedicarsi interamente al lavoro. La sera in cui le viene conferito un prestigioso premio alla carriera, arriva anche la ragazza, che vive a Copenaghen, accompagnata dal fidanzato, un musulmano di nome Khalil. Helena è sorpresa e imbarazzata, in realtà non ha mai saputo gestire il difficile rapporto con la figlia, ma ciò che proprio non si aspetta è che Khalil la prenda in ostaggio insieme a Sophie, minacciando di ucciderla se non chiederà pubblicamente scusa ai musulmani per avere autorizzato in un’opera un riferimento blasfemo a Maometto. Ma non tutto è come sembra e il rapimento diventa l’occasione per tornare indietro nel tempo e ripercorrere l’appassionante storia della famiglia di Helena, che si snoda per tre generazioni dagli anni Quaranta a oggi. Conosciamo così suo nonno Thorvald, un pastore protestante, elemento di spicco della Resistenza durante la Seconda guerra mondiale, che dietro la facciata irreprensibile nasconde un¿esistenza costruita sulla menzogna. Seguiamo il morboso e intrigante triangolo amoroso di cui sono protagonisti i suoi due figli gemelli, Leo e Leif, entrambi ossessionati dalla stessa donna, la capricciosa e infelice Ninni, madre della nostra protagonista, che insegue invano il sogno frustrato di diventare una famosa cantante lirica. Ma chi è davvero il padre di Helena? Anche Ninni, come Helena, trascura la figlia convinta che la sua carriera sia stata rovinata dalla precoce maternità. Attraverso continui flashback tra passato e presente, l’autrice racconta con una scrittura elegante un’emozionante dramma familiare. Un romanzo di grande impatto che trasporta il lettore dalla Danimarca alla Svezia, dalla Germania a Parigi fino alla Russia.

“La madre assente” di Hanne – Vibeke Holst. Mondadori editore.

Inghilterra 1760. Il giovane e avvenente Richard Fenwick è arrivato alla fine del suo «Grand Tour» in giro per l’Europa e, seppur a malincuore, deve far ritorno a Londra. Appena mette piede nella tenuta di Worcester, si accorge che il suo vecchio tutore, James Gilbert, è invecchiato parecchio durante la sua assenza: conduce una vita tranquilla, senza privazioni, ma pensa sempre al passato con un misto di nostalgia e rancore. Un giorno, mentre sono da soli, Gilbert gli propone un patto: lui gli fornirà tutto quello di cui ha bisogno – soldi, amicizie, contatti – ma Richard dovrà andare a trovarlo e raccontargli tutte le sue esperienze. In questo modo, pur restando tra le mura della sua camera, potrà tornare a provare l’amore, la passione e la paura di quando era giovane, e si sentirà di nuovo vivo. Nonostante il piano gli sembri bizzarro, Richard accetta senza fare troppe domande. Del resto, quale altro modo migliore per rendere eterno il suo Grand Tour? Richard in-contra donne misteriose, frequenta persone pericolose, viene raggirato nelle vie più malfamate della città, e poi racconta le sue avventure a Gilbert, finché non viene assalito da un terribile dubbio: qualcuno sta influenzando gli avvenimenti? E se fosse il suo stesso tutor a guidarli, come un novello Frankenstein con la sua creatura? Dovrà scoprirlo in fretta, perché quando si innamora di una delle «vittime» di Gilbert e minaccia di rompere il patto, una serie di tradimenti e di morti gli si stringe attorno come un vortice, mettendo in pericolo la sua stessa vita. Già paragonato a Le relazioni pericolose e a Il ritratto di Dorian Gray, Il teschio e l’usignolo di Michael Irwin è uno splendido romanzo nero d’atmosfera che, tra feste in maschera, cene eleganti e postriboli notturni, parla di manipolazioni, intrighi e seduzioni nell’Inghilterra del diciottesimo secolo. Una storia che, grazie a uno stile impeccabile e a una trama coinvolgente, racconta l’antico duello tra giusto e sbagliato, tra Bene e Male.

 “Il teschio e l’usignolo” di Michael Irwin. Neri Pozza.

Nel 1929, Edgar è un irresistibile bambino viziato che vive in Grillparzer Strasse, a Monaco: la madre è pianista, il padre editore, casa sua è abitualmente frequentata da Thomas Mann, Carl Schmitt, Richard Strauss. Di fronte a lui abita un uomo il cui volto comincia allora a comparire sulle pagine dei giornali: Edgar lo osserva salire e scendere dalla sua Mercedes nera, senza sapere nulla di lui e senza curarsene troppo. Fino al 1933, quando quel suo vicino, Adolf Hitler, viene nominato cancelliere del Reich e la sua vita, così com’era prima, finisce: i Feuchtwanger sono ebrei. Ciò che all’inizio sembra a Edgar un’avventura si trasforma in un incubo, tra rappresaglie, arresti ed esecuzioni. Solo anni dopo, nel 1939, Edgar fuggirà a Londra insieme alla sua famiglia. In questo libro, insieme romanzo di formazione e documento storico, l’autore ripercorre la sua infanzia dorata vissuta nel pieno del fervore culturale e artistico della Germania di Weimar, fino all’incubo del nazismo e delle persecuzioni razziali. E lo sguardo innocente e corruttibile di un bambino riesce a dare la misura del caos e dell’insensatezza in cui il nazismo avrebbe fatto sprofondare la Germania e l’Europa.

 “Hitler, il mio vicino. Ricordi di un’infanzia ebrea” di Edgar Feuchtwanger. Rizzoli editore.

Nata a Domremy o a Parigi? Morta sul rogo nel 1431 o nel suo letto nel 1450? Pastora o principessa, santa o indemoniata? La vicenda di Jeanne d’Arc è un gioco di specchi, in cui ognuno può vedere ciò che vuole: la guerriera che spezzò l’assedio di Orléans; la contadina inviata da Dio a spianare a Carlo di Valois la strada verso il trono; la pazza di cui la Chiesa seppe neutralizzare le pericolose visioni; la martire bruciata dagli inglesi; la bastarda reale manovrata come una pedina dalla corte di Francia nell’epoca cupa della guerra dei cent’anni. Sono tanti i volti di Jeanne, forse troppi: è per questo che il tempo ha fatto di lei un archetipo femminile, in bilico tra identità e stereotipi, tra dovere e passione. Sottraendole, però, la sua umanità e schiacciandola sull’immagine suggestiva ma sterile dell’eroina che «precedeva le fiamme cavalcando». Sulle tracce di una comprensione non meno epica, ma più profonda, della vita e della leggenda di Jeanne si pone Marta Morazzoni, con questa vivida ricostruzione che è anche la storia di una ricerca personale, quasi intima. Dalla corte di Chinon all’esilio di Jaulny, da una Loira sfolgorante a una tempestosa Rouen, l’autrice e il suo personaggio sembrano procedere affiancate in una narrazione che unisce il fascino del racconto storico e la passione dell’indagine, componendo il romanzo moderno di una vicenda senza tempo.

“Il fuoco di Jeanne” di Marta Morazzoni. Guanda editore.

È l’1 aprile a bordo del Fidele, un battello che naviga in direzione New Orleans lungo il corso del Mississippi. Mentre commercianti, dame, agenti di cambio, ambulanti, studenti, avvocati e vecchi avari svolgono i propri affari e chiacchierano passeggiando nei saloni e sul ponte, nella folla si aggira un uomo misterioso: nessuno sa chi sia né cosa voglia, e uno dopo l’altro mette alla prova i passeggeri e la loro fiducia, travestendosi e mascherandosi, approfittando della loro credulità. Che sia un diavolo tentatore? O solo un uomo deciso a dimostrare sul campo la profondità dei nostri pregiudizi? L’uomo di fiducia è il romanzo più oscuro, satirico e divertente di Melville: una critica feroce dell’ottimismo del sogno americano, una visione del mondo moderna e disincantata, e una commedia del travestimento dal profondo significato simbolico in cui niente è davvero come sembra. Pubblicato nel 1857, L’uomo di fiducia è l’ultima opera che Herman Melville diede alle stampe nella sua vita.

“L’uomo di fiducia” di Herman Melville. Edizioni E/O.

La paura è un capolavoro assoluto. E’ una storia semplicissima e proprio per questo una devastante accusa contro la guerra. Un gruppo di soldati italiani provenienti da varie regioni è bloccato in una trincea sotto il tiro micidiale di un cecchino austriaco che impedisce loro di uscire allo scoperto. L’ufficiale, un uomo sensibile ai sentimenti e alle paure dei suoi soldati, deve però mandarne fuori uno alla volta per raggiungere un posto di vedetta sguarnito. Vediamo così sfilare e morire uno ad uno i suoi uomini. Ognuno di loro racconta in dialetto il proprio terrore. Nel Rifugio la storia di un disertore e della sua fucilazione viene raccontata da un ufficiale che casualmente viene ospitato e rifocillato dai genitori del soldato fucilato. La retata è invece una divertente parodia delle agiografie belliche. Un soldato racconta in romanesco (tutti i fanti dei racconti di de Roberto parlano in dialetto, dando realismo e vivacità alle vicende raccontate) di come, caduto nelle mani del nemico, riuscì a sua volta a catturare un intero plotone austriaco inventando decine di manicaretti che avrebbero costituito, secondo lui, il “rancio” delle truppe italiane. Gli austriaci, increduli all’inizio, si fanno via via sedurre dal racconto straordinario dell’italiano, fino a decidere di disertare e di seguirlo. Nell’Ultimo voto il capitano Tancredi ha per missione di informare una bella contessa del decesso del suo eroico marito. Dopo solo poche settimane apprenderà con amarezza del matrimonio tra la vedova allegra e un imboscato. Questo racconto ben rappresenta la contraddizione, evidenziata da De Roberto, tra etica del sacrificio e opportunismo.

“La paura e altri racconti della Grande Guerra” di Federico De Roberto. Edizioni E/O.

Marco Magini, l’autore di questo romanzo, era un ragazzo durante l’ultima guerra di Jugoslavia, quando i telegiornali raccontavano un conflitto di violenza indicibile, quando, per la prima volta, sentì pronunciare il nome di Dražen Erdemovic. A sua volta solo un giovane uomo. Più precisamente, un ventenne costretto a combattere una guerra voluta da un’altra generazione, messo davanti alla storia o Storia: quella che cambia i confini, le politiche e le possibilità. Quella che, certe volte, ti porta a dovere prendere una scelta, comunque dolorosa, come in un’antica tragedia greca. Da qui, da un incontro doloroso, nasce la vicenda di questo romanzo che racconta il più grave dei fatti storici seguiti in Europa alla conclusione della seconda guerra mondiale: la strage di Srebrenica. E, naturalmente, il dramma di molte coscienze costrette a rinunciare a un cammino di giustizia. La scelta di uno dei più drammatici momenti della storia europea recente, insieme al modo emotivamente coinvolgente di raccontarlo, fanno di questo testo un testo speciale. La rievocazione del massacro e del successivo processo presso il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia è affidata a tre voci che si alternano in una partitura ben scandita. La voce del magistrato spagnolo Romeo González che rievoca lo svolgersi del processo seguito, evidenziando le motivazioni non sempre etiche e limpide che determinano una sentenza. Nell’eterno dibattersi tra ubbidire a leggi fratricide o ribellarsi appellandosi ai diritti inviolabili dell’uomo, viene fuori solo un’immagine povera e burocratica dell’esercizio della legge. Al giudice González si affiancano le voci di Dirk, casco blu olandese di stanza a Srebrenica, rappresentante del contingente Onu colpevole di non avere impedito la strage, e quella del soldato serbo-croato Dražen Erdemović, vero protagonista della storia, volontario nell’esercito serbo, che fu l’unico a confessare di avere partecipato al massacro, l’unico processato e condannato. Per innamorarsi ancora del futuro le nuove generazioni dovranno fare i conti con il passato scomodo di anni a noi vicini.

“Come fossi solo” di Marco Magini. Giunti Editore.

Si sono dati alla macchia per combattere le ingiustizie di cui erano state vittime le loro famiglie, le comunità contadine che li ospitavano o loro stessi. Sono diventati criminali per caso, non per vocazione. Hanno fatto un fardello delle proprie illusioni e, da veri romantici, si sono rintanati nei boschi, convinti di poter combattere con le armi un mondo che ritenevano ingiusto. Qualcuno li chiamava criminali e banditi, altri briganti. Spesso, tuttavia, anche se molti di loro si dichiaravano anarchici, erano pover’uomini, analfabeti che non avevano fatto altro che reagire d’impulso ai torti di cui erano stati vittime; disperati che progettavano di far cadere tutti i potenti del paese, chiunque essi fossero. Questo libro racconta cinque storie di criminali, dal Seicento alla fine dell’Ottocento, che mai avrebbero pensato di darsi alla macchia se le loro vite non fossero state sconvolte da qualcosa di inatteso e irreparabile. Persone come Giovanni Beatrice (detto Zanzanù) che diventò bandito per vendicarsi della fazione rivale che aveva barbaramente giustiziato suo padre nella piazza del paese; come Antonio Tosolini (detto Menotto), friulano, che imbracciò l’archibugio per punire il conte che lo aveva licenziato e che pagava troppo poco i braccianti. E ancora briganti come Michelina Di Cesare, di Caspoli, nel Casertano, che raggiunse nei boschi un ex sergente borbonico di cui si era innamorata; come Giuseppe Mayno, fuggito per colpa della sparatoria da lui innescata in cui morirono due gendarmi, o Francesco De Michelis (detto il Biondìn) arrestato per omicidio volontario, dopo aver ucciso un rapinatore per eccesso di legittima difesa. Scritte col piglio del racconto d’avventura ma arricchite dalle splendide e rigorose ricostruzioni storiche a cui Silvino Gonzato ci ha ormai abituato, Criminali romantici è un affresco che, dal Seicento all’Ottocento, ritrae gendarmi e soldati, sicari e spie, vagabondi e generali, e quelle persone che, costrette da un destino sfortunato o mosse da un’indole rivoluzionaria, sarebbero passati alla storia come briganti.

 “Briganti romantici” di Silvino Gonzato. Neri Pozza.

Da New York a Parigi a Istanbul, un meraviglioso libro di cucina unisce tre persone alla ricerca della ricetta magica per ottenere un soufflé quantomeno presentabile. Prigioniera di un matrimonio senza amore, Lilia è costretta all’improvviso a prendersi cura del marito colpito da un ictus e ritrova inaspettatamente leggerezza e allegria nel preparare elaborati e gustosi piatti esotici ai suoi inquilini. Dall’altra parte dell’Oceano, intanto, Marc ha appena perso la moglie ed è incapace di sostenere la vista di una cucina vuota. Eppure, quasi senza rendersene conto, si ritrova a imparare l’inafferrabile arte di cui sua moglie era regina. E Ferda, madre e moglie affettuosa, nonché cuoca appassionata, dedicandosi alle mille ricette della sua città alle porte dell’Oriente cerca di distrarsi da una madre irrimediabilmente ipocondriaca. Da ognuna di queste cucine ai tre angoli del mondo giunge un invito seducente, capace di allontanare il dolore e la solitudine e di far ritrovare il sorriso a chi pensava non fosse più possibile. Un richiamo potente che spinge a scoprire come la sfida racchiusa in una ricetta e il piacere del cibo possano bastare per sentirsi di nuovo vivi.

 “Soufflé” di Asli Perker. Sonzogno.

 

Un romanzo impetuoso ambientato in Pakistan e Afghanistan nei mesi immediatamente successivi all’11 settembre: una storia di guerra e di perdite, che racconta gli impulsi umani più semplici e più pervicaci, come l’amore. Le tribolate vicende di questo romanzo, ambientato tra il Pakistan e l’Afghanistan invaso dagli americani dopo l’11 settembre, si snodano sullo sfondo di un giardino incantato, come ad assorbire la violenza di ciò che accade intorno, contrapponendo l’innocenza della natura alla crudeltà degli uomini e alle loro guerre insensate. Il giardino appartiene al vecchio Rohan, saggio e devoto musulmano che ha costruito un’oasi di pace nella città pachistana di Heer – una scuola aperta ad allievi di ogni credo religioso – nel tentativo di allargare gli orizzonti di giovani altrimenti facili prede del fondamentalismo islamico nelle madrasse. Ma le speranze di Rohan di porre un freno alle violenze della guerra che infuria oltreconfine saranno tragicamente deluse: i suoi stessi figli, Jeo e Mikal – partiti in segreto per l’Afghanistan per contribuire alla liberazione del paese dalla tirannia talebana –, vengono rapiti dai fondamentalisti e costretti a partecipare alla jihad, a combattere contro il popolo che avrebbero voluto difendere. Mentre Rohan pota le rose del giardino, Jeo viene ucciso e Mikal è venduto agli americani dal signore della guerra che lo ha catturato. Dopo essere stato internato in un campo di prigionia americano, il giovane cercherà di fuggire attraverso il deserto afghano. Note a margine di una sconfitta è soprattutto la lotta fra due mali: da una parte, il fondamentalismo di ogni credo; dall’altra, l’imperialismo camuffato da democrazia. Nessun bene trionfa, alla fine. C’è solo una condanna senza appello in un panorama di crudeltà diffusa, dove l’unica vittima è il popolo afghano e tutti gli altri, dai talebani agli americani, ai signori della guerra, sono carnefici.

 

SAGGI

Da qualche anno il 27 gennaio è la data universalmente nota come Giornata della memoria, un giorno in cui si ricorda la tragedia della Shoah. Da anni si organizzano eventi, momenti di dialogo e di riflessioni, soprattutto dedicati ai più giovani, con la speranza che il mondo ricordi ciò che l’uomo ha compiuto. Ma che cosa sta diventando questa celebrazione? Una giornata da “dedicare” agli ebrei, rendere loro omaggio, diffondere informazione? Questo significa “traslare” la memoria: da se stessi ad altro, scaricarla. Per un verso, si è creato un modo di essere ebrei banalizzante che avvita l’identità intorno alla persecuzione. Si è ebrei solo in quanto figli di chi ha subìto la Shoah. L’altro pericolo, che ne è specularmente il rischio, è sentirsi rinfacciare l’industria della Shoah: gli ebrei alimentano questa industria della memoria per ottenere pietà dal mondo contemporaneo. Non è più il tempo di queste commemorazioni, ma il lavoro sulla memoria deve essere altro, deve essere quello di riportarla nei confini giusti, cioè invitando l’Europa, la società civile a riappropriarsene, a far guidare la commemorazione dalla consapevolezza che è memoria propria, non degli ebrei e delle loro famiglie che sono state perseguitate. Contro il giorno della memoria è un pamphlet che molto farà discutere e che sarà in grado, grazie anche all’autorevolezza dell’autrice, di far nascere un interessante dibattito su temi importanti come la memoria collettiva, il ricordo, il senso della Storia.

 “Contro il giorno della memoria” di Elena Loewenthal. Add Editore.

“Ci stiamo liberando del superfluo per riconquistare l’essenziale… Un cespo di sedano cresciuto bene ci sembrerà un successo personale più auspicabile di una promozione sul lavoro. Sarà la volta buona che impareremo finalmente qualcosa, o la storia continuerà a scivolarci addosso senza lasciare traccia?”. Una controstoria italiana, dal varo della Costituzione alla fine della Seconda Repubblica. Una lettura strabiliante, una scrittura effervescente, gustosissima, strabordante di aneddoti, personaggi, fatti, mode e tic. Una cavalcata di decennio in decennio, dalla fine della fame del dopoguerra alla scoperta del cibo sano e leggero complice la crisi economica di oggi, su e giù sull’ottovolante Italia che ci ha regalato emozioni a non finire tra alta cucina e bassa politica. Lo sguardo obliquo di una affermata critica gastronomica e appassionata cittadina, attenta alle ideologie, di tutti i tipi, ci regala un’Italia mai vista così, un po’ a tavola, in casa e al ristorante, e un po’ tra i banchi del parlamento e al supermercato. Dal primo Autogrill all’ultima ossessione culinaria, ecco il ritratto sorprendente dell’italiano medio. Di come siamo e da dove veniamo. Comprese le ricette che hanno fatto epoca, sarebbe un peccato dimenticarle.

 “La repubblica del maiale” di Roberta Corradin. Chiarelettere editore.

Quanta “plastica” può tollerare il nostro organismo? Quanto mercurio c’è nel pesce che mangiamo? L’Adriatico è una discarica di tritolo? Perché meduse e alghe aliene invadono i nostri mari? A queste domande pochi sanno rispondere, non vi è coscienza di quanto oggi accade nel mare, come e perché il Mediterraneo e gli oceani stiano mutando rapidamente sotto i nostri occhi inconsapevoli. Da qui nascono tre reportage che Carnimeo ha scritto navigando oltre le rotte convenzionali nel mare di plastica, nel mare di mercurio e nel mare di tritolo: un’immensa discarica, fotografia e conseguenza del modo in cui abbiamo scelto di vivere. C’è però chi non ci sta a lasciare questa pesante eredità alle generazioni future. Un libro che è denuncia e racconto insieme.

 “Come è profondo il mare” di Nicolò Carnimeo. Chiarelettere editore.

Anne Frank (1929-1945) è diventata celebre grazie al suo diario, che ha commosso e continua a commuovere lettori di tutte le età. Mirjam Pressler ne fa un ritratto biografico a tutto tondo, soffermandosi sulle contraddizioni e facendo emergere i talenti e le aspirazioni di questa giovane ebrea nata in Germania. Partendo da numerosi documenti e testimonianze, e anche grazie all’inserto fotografico, la storia di Anne prende vita davanti ai nostri occhi, nella prima biografia ufficiale e senza censure della vittima del nazismo più famosa al mondo. La storia sconvolgente di una ragazzina diventata donna nel periodo più cupo della storia dell’umanità e che Mirjam Pressler ha avuto il coraggio di trasformare in un romanzo avvincente.

 “Io voglio vivere. La vera storia di Anna Frank” di Mirjam Pressler. Edizioni Sonda.

Da tempo è in atto un attacco ai giovani. Sotto forme diverse – mercificazione, infantilizzazione, patologizzazione, criminalizzazione, sfruttamento… – bambini, adolescenti e giovani sono entrati nelle mire degli adulti, mire spesso camuffate da preoccupazione, sensibilità educativa, protezione dei valori sociali e della tradizioni. Quasi senza reagire i giovani sono tenuti in ostaggio di un discorso pubblico fortemente ipocrita, in cui si invoca la loro autonomia senza concedere la possibilità di esercizio, la loro partecipazione ma solo in finte istituzioni, il loro lavoro ma solo nelle posizioni peggiori, il loro talento ma dentro una scuola a pezzi. Il prezzo è altissimo, perché la società è ferma, giovanofila nell’immaginario ma gerontocratica nella realtà. I giovani non passano, le istituzioni restano impermeabili al beneficio di nuove forme di pensiero e pratiche. Dei giovani si continua a parlare, ma con parole corrotte, che finiranno per disinteressarli definitivamente dai discorsi pubblici. Perché l’ossessiva domanda – chi sono i giovani? come sono diventati? – cade nella trappola di un gioco di definizioni e interpretazioni che non serve ai giovani ma assolve solo chi parla. Il problema non sono i giovani, ma gli adulti. I giovani sono l’alibi di adulti in crisi, disorientati di fronte alla perdita di controllo del mondo che li circonda, increduli di fronte agli effetti di una società dei consumi da loro edificata, o meno innocentemente votati loro a “consumare” i giovani nei propri ambiti professionali, nell’universo delle proprie fantasie anti-età o ansie di ruolo. Quando, serenamente o conflittualmente, si avrà l’onestà e il coraggio di ammetterlo, si potrà cominciare a cambiare.

“La congiura contro i giovani” di Stefano Laffi. Feltrinelli editore.

«Sono nato due volte. Alla mia prima nascita non c’ero. Il mio corpo è venuto al mondo il 26 luglio 1937 a Bordeaux. Me l’hanno detto. E devo crederlo poiché non ne ho alcun ricordo. La mia seconda nascita, invece, è fissa nella mia memoria. Una notte, sono stato arrestato da alcuni uomini armati che circondavano il mio letto. Mi stavano cercando per uccidermi. La mia storia è nata quella notte.» Boris Cyrulnik, celebre psichiatra francese, ha un passato tormentato alle spalle: i genitori, di origine ebraica, sono stati rinchiusi e assassinati nel campo di concentramento di Auschwitz quando lui era ancora un bambino. Rimasto solo, è caduto prigioniero dei nazisti ma è riuscito a salvarsi per miracolo nascondendosi nel bagno della sinagoga della sua città. Dopo aver trascorso l’infanzia come un fuggitivo, in casa di famiglie che lo ospitavano e in orfanotrofio, terminata la guerra ha scelto di diventare psichiatra. Pur lavorando ogni giorno con traumi e sofferenze da superare, soltanto di recente è riuscito ad affrontare il proprio passato, per testimoniare a voce alta l’orrore vissuto e le conseguenze dolorose che ha dovuto affrontare crescendo. La vita dopo Auschwitz è un viaggio nella memoria, un’esplorazione profonda dei ricordi di un passato che emerge dopo un lungo silenzio. La memoria, ci dice Cyrulnik, non racconta la verità storica dei fatti, ma un’altra verità, soggettiva ma non per questo meno reale: un meccanismo dal potere salvifico che cancella, seleziona e modifica quello che è accaduto e che nel tempo ha plasmato i nostri ricordi per rendere il dolore accettabile aiutandoci a superare i traumi vissuti. Attraverso la sua storia, Cyrulnik si rivolge a tutti coloro che cercano di scappare da un passato difficile: un lavoro paziente, in cui l’autore si è messo in gioco, accettando di essere per la prima volta soggetto e oggetto della propria ricerca. Un saggio che unisce le emozioni e la sofferenza di un sopravvissuto a una rigorosa analisi sulla costruzione della memoria, da cui emergono i segni di un’infanzia stravolta dalla guerra e, al tempo stesso, il desiderio di superare l’infelicità per rispondere con forza alla chiamata della vita.

“La vita dopo Auschwitz” di Boris Cyrulnik. Mondadori editore.

Quante volte, di fronte alle immancabili difficoltà nei rapporti umani, tentiamo soluzioni che ci appaiono adeguate, ma che in realtà non fanno che aggravare la situazione? Quante volte, nella convinzione che ci salvino, siamo proprio noi a innescare e alimentare veri e propri meccanismi infernali che di fatto ci «incasinano» ancora di più l’esistenza? Attingendo alla rappresentazione letteraria più illustre di una vita di indicibili tormenti, quella dei dannati dell’Inferno di Dante, Matteo Rampin riprende i peccati capitali – Lussuria, Ira, Accidia, Superbia, Invidia, Avarizia e Gola, a cui aggiunge Malinconia e Menzogna – e li declina in base ai «malesseri» che affliggono i giorni nostri, descrivendone per ognuno genesi e «inviluppo». Poiché, però, a differenza dell’inferno dantesco, una salvezza è possibile, Rampin non ci abbandona nella selva oscura dei nostri affanni, ma ci suggerisce con estrema leggerezza e grande ironia soluzioni che sono a portata di mano e, guidandoci lungo l’aspro sentiero, ci indica la via d’uscita che ci condurrà (finalmente) a rimirar le stelle.

 “Nel mezzo del casin di nostra vita? Indizi e tracce per trovar la via d’uscita” di Matteo Rampin. Ponte alle Grazie editore.

GIALLI, NOIR E THRILLER

Ambra Negri Della Valle – la collega carogna per antonomasia, la ragazza perfetta che non fa che mettere la pasticciona e simpaticissima Alice Allevi di fronte ai suoi numerosi limiti – è scomparsa. Alice e Claudio Conforti (il perfido e affascinante ricercatore in medicina legale, ex di Ambra e legato ad Alice da un complicato e sfuggente rapporto) temono il peggio quando vengono chiamati dalla procura per esaminare un cadavere ritrovato in un campo. Per fortuna non si tratta di Ambra, ma di una giovane archeologa scomparsa anni prima, mentre stava per partire per una missione di scavo nei territori palestinesi. Chi l’ha uccisa e sepolta come in un rituale con accanto una coroncina di plastica?

“Le ossa della principessa” di Alessia Gazzola. Longanesi.

Questa volta il sostituto procuratore Alvise Guarnieri e il suo team di investigatori affrontano il mistero di un delitto consumato nell’alta società della piccola provincia di Ardese: la vittima è un noto farmacista, trovato morto nella sua villa. Apparentemente il crimine sembra di facile interpretazione: il corpo torturato e mutilato, gli ambienti depredati con feroce determinazione, un caso analogo avvenuto poche settimane prima sull’altra sponda del lago… tutto sembra indirizzare le indagini verso la criminalità organizzata di origine straniera. Ma spesso le apparenze ingannano, e così l’indagine si addentra fra ombre e misteri della vita della vittima, in una ragnatela gotica di relazioni inconfessabili e drammatici segreti. Intanto, nell’ambiente naturalmente accidentato della Procura di Ardese, una serie di personaggi minori è protagonista di storie minori, ma non meno incisive: il maresciallo Alfano, dopo la disperazione seguita alla morte della figlia, si interessa di nuovo alla vita, e alle donne; l’ispettore della Squadra mobile Manlio De Oliveira scandaglia il pozzo nero della vecchiaia abbandonata negli istituti per anziani; il sostituto procuratore Agostina Arcais si misura con un delicato caso di obiezione di coscienza; e la collega Silvana Grimaldi affronta una giornata professionale di ordinaria follia…

“Doppia ombra” di Roberta Gallego. Tea editore.

Spinòsa è un piccolo paese arroccato sulla Murgia pugliese, circondato dal nulla, fuori dal tempo, con pochi contatti col mondo esterno. Qui, nel giugno del 1986, si abbatte una serie di eventi in apparenza scollegati tra loro: un’ondata di terribile siccità che mette in ginocchio il paese, un’inspiegabile invasione di corvi, l’improvviso collasso di un bambino che pare vittima di possessione diabolica e infine un efferato omicidio che sprofonda gli abitanti in un clima di terrore e sospetto, ma soprattutto riporta alla luce le vicende di un passato che molti avrebbero preferito rimanesse sepolto. Mentre gli investigatori si dibattono in un vicolo cieco, gli abitanti di Spinòsa scoprono con orrore che proprio nel cuore della comunità si annidano i germi di un male che si credeva estirpato da tempo e che invece ha attraversato le generazioni per tornare a colpire ancora. Pagina dopo pagina, Sorrenti avvince irresistibilmente il lettore in una spirale di tensione e turbamento che si sprigiona in un finale di indimenticabile intensità, che getta una luce inquietante nelle pieghe più oscure dell’animo umano.

“Immagina i corvi” di Luigi Sorrenti. Tre60 editore.

Era il miglior poliziotto di Milano. Ora, dieci anni dopo, Marco Tanzi è un clochard, un barbone che vive nei parchi e agli angoli delle strade, mimetizzandosi con il degrado di una città che non ha spazio per gli sconfitti. Capelli lunghi, barba incolta, vestiti sporchi, dell’uomo di un tempo rimane ben poco: un gigante di un metro e novantotto che annega nell’alcol il suo male di vivere. Nella sua discesa all’inferno ha abbandonato moglie e figlia, ha tradito il suo ex collega ed ex migliore amico Luca Betti e ha disonorato il distintivo, macchiandosi di reati che gli sono costati sette anni di carcere. Eppure, una sera, quella vita che sembrava ormai segnata da un inesorabile declino viene scossa da un evento inatteso: Giulia, la figlia che Tanzi non vede da anni, scompare misteriosamente. Mettendo da parte gli antichi dissapori, Betti decide di rintracciare il vecchio collega per informarlo dell’accaduto e d’un tratto, nell’azzurro glaciale degli occhi di Tanzi, passa un lampo, un barlume di umanità che riaffiora dal passato e sfugge al dominio delle ombre. Ora ha una missione: ritrovare Giulia. A ogni costo. Inizia così una caccia mortale che, in un crescendo di tensione e violenza, catapulterà Tanzi e Betti nel giro del porno clandestino e della tratta delle bianche. Un mondo parallelo e sconosciuto, nel quale solo chi ha già visto in faccia i propri incubi peggiori può riuscire a sopravvivere. Un giallo dal ritmo spietato e travolgente, primo di una serie ambientata a Milano. La nuova, grande voce del giallo italiano.

 “Io la troverò” di Romano De Marco. Feltrinelli editore.

Lilian Edinet, vent’anni appena, figlia di un imprenditore moldavo e studentessa in Inghilterra è scomparsa nel nulla da una settimana. Un caso come un altro, una delle migliaia di persone che ogni giorno vengono inghiottite nel nulla, a volte per sempre… Ma questo caso sembra interessare in maniera particolare i servizi segreti britannici. Perché? Che cosa nasconde questa scomparsa per differenziarsi così da tutte le altre? C’è una sola persona che può ritrovare Lilian, ed è Nick Stone, l’ex SAS pluridecorato, sempre pronto a nuove missioni, anche non convenzionali. Ma per la prima volta Stone non vuole scendere in campo…

 “Ora zero” di Andy McNab. Longanesi.

RAGAZZI

Fadi inizia una nuova vita a Fremont, California, migliaia di chilometri lontano dall’Afghanistan e dalla sua sorellina di sei anni, Mariam, persa mentre lui e la sua famiglia tentavano di sfuggire dalla brutalità dei Talebani passando il confine con il Pakistan per andare negli Stati Uniti. Ricominciare a vivere in una realtà nuova e complessa non è facile, specie dopo l’11 settembre, quando lo scoppio della guerra rende più remote le speranze di ritrovare la bambina. Per Fadi, che a undici anni si sente responsabile per aver perso la sorellina (affidata a lui in quel terribile momento), guardare il mondo da dietro l’obiettivo di una macchina fotografica è l’unico modo per renderlo sopportabile. Quando un concorso fotografico mette in palio un viaggio in India, però, Fadi intravede la possibilità di tornare in Afghanistan e ritrovare Mariam…

“La strada per Kabul” di N. H. Senzai. Edizioni Piemme.

VARI

Ha trent’anni, un lavoro più che instabile (lo scrittore), il conto in rosso e la fidanzata l’ha lasciato. Perché mai Michele dovrebbe decidere di comprare casa? Per di più a Napoli, da cui molti fuggono visto che non c’è lavoro. Il fatto è che ogni italiano, come una sorta di orologio biologico, porta in sé una terribile inclinazione all’immobile, che ci spinge ad accendere mutui pressoché infiniti, a lottare contro le macchie di muffa sulle pareti e a presenziare a grottesche riunioni di condominio. Per fortuna ci penseranno un produttore americano, passato con disinvoltura dal porno a un film su Padre Pio, e una splendida ballerina, determinata a sconvolgere la solitudine del neoproprietario…

 “Arredo casa e poi mi impicco” di Massimiliano Virgilio. Rizzoli editore.

C’era una volta un re, direte tutti in coro, con il mantello rosso e l’armatura d’oro. C’era una volta un re che agendo con stoltezza, si perse la corona, lo scettro e la fortezza. Mario Pennacchio scrive filastrocche per il rito della buonanotte. Smetterà di farlo quando riuscirà a trovare una parola che faccia rima con “fegato”.

“Quaderno delle filastrocche” di Mario Pennacchio. Kellermann editore.

«Quando si decide di vivere una vita spericolata, sempre di corsa, quando si vuole avere tutto e subito, quando si riescono a ottenere facilmente le cose che hai sempre desiderato e la tua preoccupazione è cercare di avere ancora di più, quando sei “drogato” di adrenalina e non riesci ad ascoltare niente e nessuno perché metti te stesso sempre avanti a tutto, quando scegli di sacrificare i tuoi affetti per i successi personali, quando ti ami troppo e ti senti onnipotente e decidi di camminare sempre su un cornicione, prima o poi cadi.» Per anni Fabrizio Corona ha condotto una vita sopra le righe, sprezzante di ogni regola e limite, si è imposto come uno dei protagonisti della cronaca e del gossip, ha suscitato l’ammirazione incondizionata di molti, ma anche l’avversione, persino l’odio, di tanti altri. Oggi, condannato a tredici anni di carcere e recluso dal 25 gennaio 2013, il bad boy si trova a fare i conti con il passato e con l’immagine pubblica che lui stesso si è costruito. Fra tentativi di dare un senso alla condanna e moti di ribellione, fra progetti ambiziosi e momenti di sconforto, emerge una semplice verità: finora il personaggio Corona ha soffocato l’uomo Fabrizio. Così, attraverso lettere a uomini pubblici e amici personali, scritte con la sincerità di chi non ha più nulla da nascondere, e squarci della sua tormentata esperienza dietro le sbarre, Fabrizio getta la maschera e mostra il suo vero volto, i valori, i sentimenti e gli affetti – lavoro, orgoglio, amore, coraggio – che sono parte integrante del suo patrimonio familiare. Corona non è «pentito» o «redento»: semplicemente vuole reinventarsi. Al cuore di questo sforzo c’è il figlio Carlos, qualcuno per cui vale davvero la pena di riconoscere i propri errori. È da qui che Fabrizio Corona vuole ripartire, e Mea culpa ne è la sorprendente e impietosa testimonianza.

“Mea culpa” di Fabrizio Corona. Mondadori editore.

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