Erich Maria Remarque, nato Erich Paul Remark a Osnabrüch nel 1898, si arruolò a soli diciotto anni e non per sua volontà, nell’esercito tedesco e combatté durante la Prima Guerra Mondiale restando più volte ferito.
Pubblicò Niente di nuovo sul fronte occidentale nel 1929 cambiando il suo nome in Erich Maria (in onore della madre) Remarque. Nel 1933 i nazisti bruciarono e bandirono le sue opere, ma nel frattempo l’autore si era rifugiato in Svizzera dove rimase fino al 1939 e dove ritornò nel 1948 dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti. La sua tomba si trova nel cimitero di Ronco sopra Ascona dove riposa accanto alla sua seconda moglie, l’attrice e ex-compagna di Charlie Chaplin, Paulette Goddard.
Niente di nuovo sul fronte occidentale non è, come sostiene l’autore, “un atto di accusa né una confessione” bensì un tentativo di “raffigurare una generazione” che “venne distrutta dalla guerra”. È il racconto fatto in prima persona di Paul Bäumer che nella vita avrebbe voluto essere uno scrittore di drammi e che si sente poeta nell’anima. È il resoconto crudo, sereno, tragico e impietoso della vita dentro e fuori dalle trincee di una guerra che fece tra i 15 e i 17 milioni di morti, l’ultima guerra combattuta ‘guardandosi in faccia’ perché, nonostante aerei e mitragliatrici, ancora priva del pesante uso della tecnologia così comune ai nostri giorni. È la storia di un gruppo di studenti diciottenni convinti dal loro professore, Kantorek, che arruolarsi è la cosa giusta da fare per difendere la patria, proteggerla da un nemico che vuole annientarla. Parole come ‘onore’, ‘lealtà ‘, ‘fedeltà’, ‘coraggio’, ‘grandezza nel servire lo Stato’ aprono una facile breccia nel cuore e nella mente di un manipolo di giovanissimi spingendoli a partire come volontari. Quale sarà la loro delusione e il loro disgusto quando scopriranno di essere stati biecamente ingannati!
“La guerra ci ha guastati per sempre…non siamo più giovani, non c’interessa più dare l’assalto al mondo. Siamo dei profughi, fuggiamo da noi stessi. Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo e l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore. Siamo esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non ci crediamo più. Crediamo nella guerra.”
Non c’è alcun onore nel fango e nella polvere delle trincee; nella morte orribile e sovente lunga e piena di tormento di tanti compagni; nella fame costante, nelle malattie e negli insetti che tormentano i poveri soldati; nell’assistere impotenti a ingiustizie e soprusi da parte dei superiori. E persino la lenta e crudele agonia dei cavalli del reggimento colpiti dal fuoco nemico e lasciati morire nella terra di nessuno fra le due trincee, provoca nell’autore una devastante angoscia.
Ma su tutto ha il sopravvento l’estrema giovinezza dei protagonisti. È sufficiente un buon pasto racimolato con l’inganno e l’astuzia o l’incontro, in un momento di pausa dalle ostilità, con un gruppo di giovani e allegre contadine francesi, a mettere di buon umore i nostri soldati, a far loro dimenticare per qualche ora gli orrori della guerra e riportarli in una parvenza di normalità dove le parole speranza e futuro possono ancora essere pronunciate. Momenti fugaci, ben presto sepolti sotto il massacro quotidiano.
Paul Bäumer, alter ego di Remarque, parla costantemente ai nostri cuori: racconta di come sia in fondo facile colpire un nemico al quale ci rifiutiamo di conferire un aspetto umano, in tutto e per tutto identico a noi; di come dovrebbe bastare a chi ha scatenato questo conflitto, ma vive protetto nei palazzi del potere, visitare un ospedale dietro la linea del fuoco, unico luogo dove cos’è una guerra si vede e si capisce davvero. Si chiede di continuo cosa ne sarà della sua generazione una volta finite le ostilità:
“Per anni e anni la nostra occupazione è stata quella di uccidere; è stata la nostra prima professione nella vita. Il nostro sapere della vita si limita alla morte. Che accadrà dopo? Che ne sarà di noi?”
È interessante notare come nello stesso anno in cui Remarque dava alle stampe il suo libro, il 1929, un altro autore ne scrivesse uno per molti versi simile. Parliamo dell’inglese Robert Graves e del suo Addio a tutto questo. Lati opposti della trincea, storie quasi identiche e stessa età dei protagonisti. Libri che andrebbero letti insieme per meditare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, sull’inutilità, lo spreco e la follia di ogni guerra. Passata, presente o futura.