New York, ore 8.45 La tragedia delle torri gemelle raccontata dai Premi Pulitzer a cura di Simone Barillari

Titolo: New York, ore 8.45 La tragedia delle torri gemelle raccontata dai Premi Pulitzer
Autore: Barillari Simone
Casa Editrice: Minimum fax editore
Genere: Politica Internazionale, Saggi
Pagine: 180
Prezzo: 12,50

Questo libro è una raccolta di articoli, una galleria delle ricerche e delle scoperte, anche precedenti all’attacco, di una intera classe di giornalisti intorno all’evento più traumatico di quest’inizio di secolo. I 103 minuti che intercorsero tra l’impatto del primo aereo contro il World Trade Center e il collasso della seconda torre, bastarono per far tornare gran parte dei giornalisti americani in semplici cittadini, far loro accettare la benda del patriottismo, annullare la giusta distanza dal potere, retrocedere al ruolo di embedded, associati, arruolati e in definitiva complici, nelle conferenze stampa e sui carri armati. Dopo l’attacco alle torri, …
l’informazione risulta incredibilmente appiattita, e pare che la semplice, granitica Regola delle Cinque W -who? what? when? where? why?- salti nell’ultimo e fondamentale segmento (perchè?) prima ancora di essere applicata. Robert Fisk, il più famoso e accreditato tra i correspondent che ci raccontano il medioriente, scrive per l’Independent. Egli sostiene che il giornalismo è davvero indipendente se ha la capacità di “tenere sotto controllo i centri di potere”. Il problema è che “molti giornalisti, soprattutto quelli americani, hanno smesso di farlo. Queste persone sono diventate poco più che dei portavoce, mendicanti del potere che pietiscono le informazioni, sono semplici rappresentanti dei centri di potere.”

Per Victor Navasky, docente alla Columbia University Graduate School of Journalism (che, fondata nel 1912 da Joesph Pulitzer, assegna i premi a lui intitolati) sostiene che la vera tragedia stia nel riciclaggio e nell’omogeneizzazione a tappeto del messaggio mediatico che proviene dai centri di potere politici e finanziari. Secondo Robert McChesney “ciò che più colpisce dell’informazione americana post 11 settembre è che non è mai esistito un dibattito sull’utilità di andare in guerra e sulla risposta migliore da dare”. Avverte Victor Navasky: “se i cani da guardia del funzionamento istituzionale diventano cani da passeggio, se il processo mediatico si riduce a semplice cinghia di trasmissione passiva delle attività e delle affermazioni di chi è al potere, il giornalista abdica al proprio ruolo e come ricaduta la cosiddetta opposizione leale perde la sua voce”.
Tutto da buttare, dunque? No, non tutto. Qualcuno ha continuato a domandarsi Why? Ad esempio, se ci fosse un nesso tra il crack di Enron e la contestuale sovrapposizione della faccia di Saddam Hussein a quella di Osama Bin Laden nell’immaginario collettivo di nemico numero uno dell’America, operazione mediatica che poi spianò la strada alla guerra in Iraq. E qualcuno, un po’ alla volta, ha cominciato ad indagare anche sui retroscena dell’attacco alle torri. A cominciare dal web, quel serbatoio di riserva fatto di un giornalismo senza mezzi nè regole ma che negli anni difficili del post 11 settembre ha aiutato a preservare la libertà d’informazione nonostante Guantanamo e Abu Ghraib. Questa raccolta di articoli scritti dai Premi Pulitzer sono la testimonianza che qualche giornalista ha continuato a chiedersi why? in modo tanto più ostinato quanto più il muro di gomma dell’informazione gestita dai centri di potere sembrava erigersi dempre più alto e opprimente. E così possiamo udire la voce di Stephen Engelberg, che già nel 2001 denunciava il pericolo di un Bin Laden libero e attivo, e che sempre nel 2001 scopriva l’esistenza di un fondo di ricerca segreto per delle sperimentazioni militari sui virus negli Stati Uniti ben oltre i limiti degli accordi internazionali. e spicca anche la voce di Amy Goldstein, che, dopo l’attentato, accusava gli organi investigativi del governo di intollerabili violazioni alle libertà civili ed evidenziava il rischio di un’ondata di odio razziale. Altri giornalisti compongono quetsa circoscritta ma forte schiera: Steven Erlanger, Chris L. Hedges, Judith Miller, Clare Ansberry, Christina Binkley, Thomas E. Ricks, Robert Woodward, David E. Rosenbaum, Christopher John Chivers, Clay Bennett e altri ancora.
In questa raccolta si possono riconoscere angosce, dubbi e questioni di fondo ancora sul tappeto, irrisolte, con la speranza che tutto ciò possa contribuire a ri-formare una nuova coscienza del modo di far giornalismo e una nuova, sana distanza dal potere.

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