
Autore: Baricco Alessandro
Data di pubbl.: 2011
Casa Editrice: Feltrinelli editore
Genere: Romanzo
Pagine: 158
Prezzo: 14
Qualcuno dice che Alessandro Baricco o si odia o si ama. Io faccio parte dei “fulminati” della prima ora, quelli che da sempre ritrovano il proprio ritmo interiore nel “sound” delle sue pagine. Pensavo che avrei assaporato “Mr. Gwyn”, l’ultimo romanzo dello scrittore, a poco a poco, come si fa con il vino buono e con i libri che si leggono nei periodi di festa quando il tempo a disposizione è generoso. E invece no, non sono riuscita a fermarmi. Terminato in due giorni. E senza indigestione. Non è un giallo, eppure già il titolo è un’incognita: Mr. Gwyn. Sei lettere che pagina dopo pagina prendono la forma di un personaggio bizzarro, lo scrittore Jasper Gwyn.
Baricco su questo protagonista costruisce un’ enigma affascinante che dura e cattura per tutta la vita del libro. All’origine una scelta radicale: Jasper smette di scrivere e non perché abbia la classica crisi da pagina bianca; semplicemente non lo ritiene più un mestiere adatto a lui. Ed è così che, dopo aver lasciato al giornale The Guardian di Londra le sue ultime volontà espresse in una lista di 52 cose che si ripromette di non fare mai più- compresa quella di scrivere libri-, si ritrova inaspettatamente perso, in preda al panico.
“Tuttavia l’inverno gli sembrò inutilmente lungo, quell’anno, e il fatto di svegliarsi insonne al mattino presto, il buio ai vetri, prese a ferirlo” .
Scrivere non è una professione, non è una scelta, è un obbligo per quelli come Mr. Gwyn che scrittori ci nascono. E allora pur mettendo l’arte in un angolo, il protagonista si ritrova al centro di un attacco continuo di parole da limare, rifinire, coordinare e mettere in ordine mentalmente nelle più svariate situazioni. Non riesce a non costruire storie. Perfino in lavanderia, uno dei suoi luoghi preferiti, continua a scrivere, anche se solo nella sua testa. Scrivere per lui è un modo di regolamentare la vita tra punti, virgole, frasi da accordare, quasi a fissare la giusta distanza tra sé e il mondo, ma anche tra sé e sé.
“… e così Jasper Gwyn dovette ammettere con se stesso che l’abbandono dei libri aveva generato un vuoto a cui non sapeva ovviare se non allestendo liturgie sostitutive imperfette e provvisorie come il mettere insieme frasi nella sua mente o allacciarsi le scarpe con una lentezza da idiota”.
Mr. Gwyn capisce che deve trovarsi un altro mestiere, più adatto, e decide di trasformarsi in un copista, senza per altro sapere davvero cosa voglia dire. Ma l’idea gli piace e tant’è.
Baricco vola, nel suo classico mood, tra aperture di senso, abissali profondità, folate di ironia, inseguendo alternativamente discorsi e personaggi, senza stancare mai, quasi sapesse quando è il momento giusto per spegnere una voce e accendere una pausa. Il lettore sonda il mistero di Mr. Gwyn che si chiarifica e paradossalmente si complica passo dopo passo tenendo viva l’attenzione. Sarà la visita ad una galleria d’arte a illuminare Mr. Gwyn sul suo nuovo lavoro di copista perché, proprio in quel luogo, capirà che anche uno scrittore può fare “ritratti” esattamente come un pittore, con tanto di modelli e studio professionale. Semplicemente non dipinge, scrive. Tra le perplessità del suo burbero e simpatico agente letterario, nonché migliore amico, Tom Bruce Shepperd e grazie alla collaborazione della stagista Rebecca, Jasper Gwyn inizierà la sua nuova attività. Toccherà poi proprio a Rebecca dal volto bellissimo, ma talmente grassa da essere “incoerente”, secondo il Mr. Gwyn-pensiero, con tutto il resto, chiudere il cerchio e risolvere il mistero. Cosa contengono veramente i ritratti di Mr. Gwyn? Perché si è inventato quel mestiere? Posso solo dirvi che
“Mr. Gwyn mi ha insegnato che non siamo personaggi, siamo storie”.
E cerchiamo qualcuno che ci racconti.