Masterpiece, il talent in onda su Rai 3, ha generato un acceso dibattito tra chi ne condivide il progetto e chi invece ne prende le distanze. È interessante tuttavia osservare come il programma abbia attirato l’attenzione anche della stampa internazionale.
Il primo a parlarne è stato il New York Times, seguito dall’inglese The Guardian, che ha ospitato un dibattito sulla validità dell’idea proposta, poi Le Figaro , il Liberation, lo spagnolo El Mundo, il giornale polacco NaTemat, il sito d’informazione greco TO BHMA. Masterpiece ha davvero attirato l’attenzione del mondo della comunicazione.
Primo punto di interesse è sicuramente la novità del contenuto, un’idea che non trova riscontro in nessun altro paese.
Va però sottolineato che, come fa notare Edward Nawotka su Publishing Perspectives, esistono almeno altre due trasmissioni nate con l’obiettivo di portare sullo schermo degli scrittori, Poets Million (Emirati Arabi Uniti) e LuchaLibro (Perù).
Poets Million risale al 2008 ed ottenne un grande successo. Gli scrittori (separati tra uomini e donne) competono enunciando componimenti di poesia Nabati, la poesia nomade, colloquiale, davanti ad una giuria composta da tre giudici (secondo il modello dell’americano American Idol, uno burbero, uno amichevole e uno di bell’aspetto). Nota di merito fu la presenza di un elemento rivoluzionario grazie alla poetessa Hissal Hilal, che nel 2010 lesse un componimento nel quale criticava pesantemente i sacerdoti integralisti che approfittavano della loro posizione per seminare l’odio e la paura.
LuchaLibro è invece un vero e proprio live-show, dove gli aspiranti scrittori si affrontano nella redazione di racconti brevi celando la propria identità dietro a maschere di wrestlers messicani.
Tornando a Masterpiece le critiche maggiori riguardano l’idea stessa di portare la scrittura, un atto solitamente intimo e solitario, sullo schermo. Ai concorrenti inoltre non è consentito rivedere le proprie opere, snaturando in tal modo il processo di scrittura abituale per uno scrittore, abituato a rivedere e correggere i propri scritti più e più volte.
Chi lo ha apprezzato ha trovato nel programma un tentativo di avvicinare gli spettatori all’atto della scrittura (e quindi della lettura) attraverso un mezzo, la televisione, capace di raggiunge anche chi di solito non vi si dedica, a cui si affiancano le critiche mosse al contenitore televisivo, incapace di mantenere viva l’attenzione per tuta la durata della trasmissione (ben riuscita la seconda parte, meno la parte iniziale).
Non è poi mancata l’ironia, come appare per esempio dall’articolo 11 potential reality television shows about writing (Los Angeles Times). Nonostante ciò sembra che all’estero vi sia un senso generale di curiosità e aspettativa.