Autore: Konatè Moussa
Data di pubbl.: 2011
Casa Editrice: Del Vecchio
Genere: Giallo & Thriller
Traduttore: Ondina Granato
Pagine: 121
Prezzo: 12
Moussa Konaté, scrittore originario del Mali considerato uno dei più significativi autori africani del nostro tempo, torna, dopo “L’assassino di Banconi”, con il suo nuovo romanzo, pubblicato anche questa volta da Del Vecchio Editore.
Ancora un romanzo poliziesco ed ancora gli straordinari protagonisti della prima avventura. Il commissario Habib, uomo dall’incredibile acume e dai solidi principi, svela in questa produzione il suo lato umano e familiare. “Quella mattina il commissario Habib si era sicuramente alzato con il piede sbagliato […]Sua moglie, dopo tanti anni di vita comune, aveva imparato a conoscere suo marito e quegli sbalzi d’umore non la toccavano più di tanto. Alla Squadra Anticrimine, in compenso, quando il capo aveva un diavolo per capello che lo faceva sbraitare al minimo errore come quel giorno, si viveva nel terrore”.
Anche il giovane e inesperto ispettore Sosso è cresciuto, ma conserva l’istintività e la naturale scaltrezza che lo porteranno, questa volta, ad essere l’artefice della risoluzione del caso ed a trovare, niente di meno che, la terribile arma del delitto. Un terrificante strumento di tortura, un’imitazione in acciaio delle fauci di un coccodrillo sulle quali ancora rimangono tracce di sangue coagulato, è stato usato per uccidere un uomo trovato cadavere nella vasca di un cantiere. Chi è costui, il cui volto appare mostruosamente trasfigurato ed il cui corpo è devastato e mutilato? Perché il suo cadavere si trova lì?
Come nella migliore tradizione del noir, il romanzo si apre proprio con la scoperta di questo omicidio la cui risoluzione, in rispetto del genere, è sicuramente lontana da quella che pare essere l’interpretazione più scontata. La verità deve essere scoperta e Habib e Sosso si vedranno costretti a risalire il corso del fiume Niger per arrivare al piccolo villaggio di Nagadji, ostile agli stranieri e all’arrivo dei poliziotti, dominato dalla nobile stirpe dei Kéita di cui il morto è un affiliato. L’intrico familiare dei Kéita risulta fitto e complesso; molti sono i segreti che si nascondono e molti saranno i colpi di scena. L’onore della casta è stato più volte violato, ora è in estremo pericolo e per difenderlo i suoi detentori sono disposti a sacrificare vite.
“La polizia non è una scienza esatta; ci sono la logica, l’intuizione, la fortuna” e servirà tutto questo perché commissario ed ispettore riescano a trovare il bandolo dell’intricata matassa.”
Con una scrittura semplice e distesa, Moussa Konaté confeziona un giallo di buona fattura, ma quello che forse più colpisce e che caratterizza questo romanzo è sicuramente la volontà dell’autore di condurci, man mano che la vicenda si delinea, nel cuore delle tradizioni e delle leggi non scritte della cultura africana. Quasi un’analisi sociologica la sua di un mondo che va a scomparire diviso fra antichi rituali e spiritualità animista da una parte e modernità dall’altra. Un popolo nei cui modi di vita affiora di continuo il rapporto magico con il mondo, ma contemporaneamente teso al progresso come portatore di libertà individuali e collettive.