Lo specchio incrinato – Katherine Anne Porter

Titolo: Lo specchio incrinato
Autore: Katherine Anne Porter
Data di pubbl.: 2017
Casa Editrice: Bompiani
Genere: Raccolta di racconti, romanzo breve
Traduttore: Giovanna Granato
Pagine: 640
Prezzo: € 30,00

Scrittrice americana tra le più grandi del secolo scorso, vincitrice del Premio Pulitzer e candidata per tre volte al Nobel, Katherine Anne Porter (1890 – 1980) è un’autrice quasi sconosciuta in Italia, fatta eccezione per il romanzo La nave dei folli. A Bompiani si deve questa encomiabile operazione editoriale, con nota di merito per la traduttrice Giovanna Granato: una collezione di racconti brevi e lunghi, e di alcuni ‘cicli’ narrativi, chiamati a comporre ‘romanzi’ di lunghezza variabile. Gioielli narrativi imbevuti di folklore, sporchi di polvere e di sudore, illuminati da un sole che batte a picco su ingrate terre di frontiera. Il titolo del volume è dato da uno dei racconti più significativi.

Perché Lo specchio incrinato? Rosaleen, una donna ancora giovane, è sposata a Dennis, un uomo molto più anziano di lei, conosciuto a New York City, dove lavoravano entrambi in un albergo. Si rintanano nel Connecticut: vita di campagna dura, monotona, sferzata da inverni glaciali. Nei dintorni, solo ubriaconi e donne rinsecchite dalla vecchiaia, allenate alla maldicenza. Rosaleen crede alla verità dei propri sogni, aperture oniriche oltre la condizione di prigionia autoimposta, fantasmi che periodicamente vanno a trovarla. O sono pure invenzioni? Il marito, uomo abbruttito dal declino fisico e morale, declassa le sue convinzioni a fandonie, ma la donna desidera crederci. Così, l’irruzione nei suoi sogni della sorella Honora, costretta a letto e moribonda, è per Rosaleen motivo, o pretesto, per andare a Boston a sincerarsi delle sue condizioni, passando da New York City. Quali meraviglie della moda e della tecnica si aspetta di trovare Rosaleen nella grande città, quante occasioni da cogliere al volo! L’acquisto di un nuovo cappotto, una scorpacciata di film al cinematografo e magari la sostituzione di quello specchio incrinato appeso alla parete, che le rimanda un riflesso sfregiato di sé… Ed è qui che la penna della Porter diventa incisiva e affilata. L’arrivo a Boston coincide con un incontro sgradevole, un ragazzo, irlandese come lei, che ne travisa le intenzioni. O forse ne indovina l’umana aura di trasgressione, un formicolio di istinti sepolti? Niente è al riparo dal rischio. Kevin, amico fuggito a seguito di un dissapore, era innamorato di lei? E lei lo amava? L’incrinatura è nella stessa scrittura della Porter, nell’architettura narrativa delle sue trame, storie appese alle corde dell’amarezza e della disillusione, una cura della parola sfumata da un’ironia compassionevole ed empatica. Non c’è altra soluzione, per la protagonista, che tornare da Dennis, in attesa del nulla, rinunciando a vedere il suo vero volto.

In un romanzo breve pubblicato in coda a questa raccolta, L’ordine antico, una bambina di nome Miranda dimostra la sua pietà allestendo sepolture per tutti i piccoli animali morti che incontra sul suo cammino. È il caso di un pulcino, avvolto nella carta velina presa da una scatola contenente le sue scarpe nuove, e delicatamente deposto in una buca. In quel momento il padre, la nonna e i servitori negri (con la g, siamo nel sud rurale degli Stati Uniti, tra Ottocento e Novecento, e il razzismo è la normalità) la chiamano a gran voce per salire in carrozza: è tempo di trasferirsi nella tenuta di Halifax. Dalla terra proviene un «uip, uip». Gli adulti, che non si accorgono di nulla, scalpitano per partire. Miranda scoppia a piangere, vorrebbe tornare indietro, ma si vergogna di rivelare il vero motivo della sua resistenza: salvare il pulcino. Non la accontentano. Miranda convive con questo dubbio: era vivo? Dalla prozia Eliza, più tardi, viene a sapere che quel pigolio è in realtà un canto di rane. Tormento finito? Scarto temporale, nuovo scenario: Miranda perlustra le tombe del cimitero di famiglia, ormai dismesso, insieme al fratello Paul. Sulla strada per tornare a casa, Paul spara a un coniglio. Avvicinatosi per scuoiarlo, scopre che l’animale è una femmina incinta, prossima al parto. La vista dei minuscoli feti sconvolge Miranda. Nella visione si nasconde una promessa di orrore, un’irrequietezza indefinita, che l’accompagnerà negli anni a venire. La scrittura di Katherine Anne Porter, come in questo caso paradigmatico, insegue le inquietudini dell’esistenza nel contesto di un mondo in trasformazione, sospeso tra un passato spesso idealizzato e un futuro incerto.

Alcuni racconti sono incastonati nella cornice del ribollente Messico rivoluzionario, come L’albero di Giuda in fiore, o del Messico colgono le contraddizioni attraverso una magistrale messa in scena di finzioni, Hacienda, altri affrontano i temi del tradimento e della vendetta sanguinaria, in particolare María Concepción, o, ancora, indagano il disgregamento delle relazioni di coppia, nello spassoso e superbo La corda. Vi sono, poi, delle perle nere, macchine narrative perfette e autentici capolavori di crudeltà. In Lui, K.A. Porter esibisce il suo enorme talento nella descrizione chirurgica di un meccanismo familiare meschino, in Nonna Weatherall mollata sull’altare, racconto di lucida, lancinante bellezza, l’agonia di un’anziana donna è lo spunto per denunciare la violenza perturbante di un’offesa senza ritorno, tanto dirompente da riverberarsi, come un’onda, fino alla soglia ultima dell’esistenza, mescolandosi, intrusa irresistibile, ai pensieri finali della persona morente, comunque vittoriosa per dignità e fierezza. Ne Il vino di mezzogiorno, il signor Thompson commette un omicidio, davanti agli occhi della moglie, per salvare la vita a Helton, il suo imperscrutabile uomo di fatica, all’apparenza un instancabile e onesto tuttofare, in realtà un soggetto maniacale con una macchia terribile sulla coscienza. Scagionato dall’accusa, il signor Thompson, intimamente smarrito, destabilizzato dal gesto assassino, fallirà tragicamente nel tentativo di ricucire lo strappo tra sé, la famiglia e la società. La presenza dell’irrimediabile, segno indelebile di natura psicologica, o evento improvviso e implacabile, è una caratteristica di questi racconti. La scrittrice americana, dalla prosa sempre limpida, tratteggia i profili di uomini detronizzati dalle proprie certezze e di donne alla ricerca di un’autonomia impossibile. Anche quando la rivalsa si realizza, resta un fondo di ruggine, un attrito che impedisce la pienezza del riscatto.

Oh, che cos’è la vita, si chiese con una serietà disperata, con quelle parole infantili che non hanno risposta, e che cosa ne farò? È una cosa mia, pensò in un impeto di gelosia possessiva, che cosa ne farò? Non sapeva che se lo chiedeva perché tutta la sua precedente formazione aveva sostenuto che la vita è una sostanza, una materia da usare, che prende una forma, un indirizzo e un significato soltanto se il possessore la guida e la lavora; che vivere è un susseguirsi di atti della volontà continui e diversi indirizzati verso un fine preciso. Le avevano assicurato che esistono fini buoni e cattivi, che bisogna scegliere. Ma che cosa era buono, che cosa cattivo? Odio l’amore, pensò, come se fosse quella la risposta, odio amare ed essere amata, lo odio. E il crollo improvviso di una vecchia e dolorosa struttura di immagini distorte e convinzioni errate diede una scossa consolatoria alla sua mente turbata e fremente di rabbia” (da Fato comune).

L’ipocrisia sociale, le differenze di classe, le catene familiari, i retaggi patriarcali, il cattolicesimo moralistico, il marchio sessuale sono i fattori che determinano i rapporti tra i protagonisti delle storie qui presentate e ne scandiscono, come un pendolo invisibile, il percorso individuale di dolorosa maturazione. K. A. Porter è una scrittrice affine ad altre importanti autrici, Eudora Welty, Flannery O’Connor e Angela Carter, un’esploratrice di mondi non troppo lontana dal genio di William Faulkner. Il suo tocco resta impresso nel cuore come una sentenza.

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Salentino nato "per errore" a Como (anche per ammissione di chi lo conosce), si laurea in Filosofia a Milano, con una tesi sul concetto di guerra umanitaria. Vive a Bari con Mariluna. Adora il Mediterraneo, ama Lecce, Parigi e Roma. Sue passioni, a parte la buona tavola, sono la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Un tempo, troppo lontano, anche la politica. Suo obiettivo è difendere, e diffondere, la pratica della buona lettura. Recensisce i libri meritevoli di essere considerati tali, quelli che diventano Letteratura, con la L maiuscola, e che gli lasciano un segno. Alessandro scrive con regolarità su Zona di Disagio, il blog del poeta e critico Nicola Vacca, collabora con la rivista Satisfiction, anima il blog di economia e di politica Capethicalism, e scrive di serie TV su Stanze di Cinema.

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