Autore: Biagio Praticò
Data di pubbl.: 2016
Casa Editrice: Edizioni Orizzonti Meridionali
Genere: letteratura contemporanea
Pagine: 145
Prezzo: 13,00 €
Anche la Calabria ha i suoi scrittori di qualità. Anche questa regione sa esprimersi secondo il nuovo linguaggio della letteratura, utilizzando medium moderni. Biagio Praticò lo testimonia attraverso questo libro che parla di un argomento difficile: lo scontro tra nuovi e vecchi valori. Al centro due giovani, Pietro e Claudio. Il primo parte per Roma da un piccolo borgo montano calabrese con il sogno di cambiare la propria vita; il secondo è invece un ragazzo delle borgate della Capitale. Entrambi si incontrano nel carcere di Regina Coeli. Sono detenuti, sono assassini. Hanno ucciso due donne, ma soprattutto hanno mortificato loro stessi e i propri valori.
Nulla di moralistico, niente che possa indurre a una frettolosa lettura maschilista dell’opera in questione. Ciò che salta subito all’occhio è la complessità dell’intero romanzo che, nonostante le sue 145 pagine, penetra zone d’ombra oggi solo accarezzate dagli addetti ai lavori. Claudio e Pietro, infatti, si completano. Sono testimoni del bene e del male. Sono soprattutto convinti che la propria “legge morale” sia inscalfibile, ma sarà proprio la delusione per l’aver tradito se stessi che li porterà a macchiarsi di due efferati omicidi.
Per Pietro la delusione è ancora più cocente. Proprio lui originario di un paesino calabrese, nato e cresciuto in una famiglia di onesti contadini, allevato secondo principi sacri che echeggeranno sempre nel suo animo, cade non in una ma in mille tentazioni. La sua incapacità di gestire il violento passaggio dalla “moralità” alla “amoralità”, da una “libertà etica” a una “libertà anarchica”, concepisce un trauma che sfocia nella crudeltà e nel nichilismo.
Claudio invece è il frutto di una vita di privazioni, di una situazione familiare difficile che si scatena all’improvviso. Nonostante abiti in una borgata di Roma, il suo nucleo è stato portatore di valori sani. L’improvviso incidente sul lavoro del padre, il trauma che ne consegue e l’inizio di una vita all’insegna della dissolutezza e delle violenze sulla moglie, segnano per Claudio la perdita della figura paterna e l’inizio di un disincanto che sfocia nel sangue.
A disilludere i due giovani sono proprio due donne che traghetteranno Pietro e Claudio verso la follia, in quella terra sconosciuta dove i buoni si trasformano in cattivi. Per Pietro l’esperienza sarà diretta, perché cadrà vittima delle lusinghe di una donna molto più grande di lui; per Claudio invece sarà indiretta, è infatti l’amante del padre che spingerà il ragazzo nel baratro.
Le due donne hanno meritato la morte? Praticò vuole rievocare l’immagine della megera tanto in voga nelle società contadine? Certo che no, ed è bene approfondire questo punto. In sottofondo rimangono sempre l’amore, l’onesta e la mitezza. Sentimenti che non appartengono solo a Claudio e Pietro ma a tutti i personaggi che costellano il romanzo. La vittoria del disincanto e del nichilismo e, viceversa, la morte della speranza e dell’amore sono conseguenziali a una società che travolge chi non riesce a starle dietro.
Praticò ne fa più che altro una questione di ruoli e cela dietro le parole di questo libro la delusione per una emancipazione mancata e solo annunciata.
In questo breve affresco, cui partecipa con una dettagliata prefazione anche Francesco D’Episcopo, professore di Lettere classiche presso l’Università di Napoli, Praticò ha toccato un tasto dolente che merita attenzione.