L’ElzeMìro – Terzo idillio fiorentino

04 – Telemaco Signorini

                    Telemaco Signorini (1835-1901) – Piazza di Settignano coll. privata

Schermata 2017-05-09 alle 10.58.19

Gli oggetti prima di noi, gli oggetti dopo di noi, ancora essenti, mentre noi ci saremo dissolti nello spazio e nel tempo. Questo è straziante, questo è il Dasein. “Tempo è persino materia che non siamo ma dove ci siamo”. A confermare l’unità del tutto, il Tempio.                                                                     

              Alberto Giovanni Biuso in commenti a La scatola del tempo https://biuso.eu

I ragazzini, quello dalla testa rasata e quello dalle chiome alessandrineª non sono ancora ragazzini ma, nell’immagine in bianco e nero, all’epoca della loro pallida infanzia. Veste l’uno, il più piccino, sopra la camicia bianca una salopette scozzese, di lana per assunto, l’altro, più alto, è pure in camicia, un maglione sopra e calzoni d’un colore che chissà, difficile inventarlo dalla foto.

Così non si può credere d’avere visto Firenze se non vi si è stati a Natale, e in una città tuttavia tuttavai che non c’è più. Del resto non c’è più Natale, non come si poteva intenderlo, sacro e pagano, modesto e spazzato dal vento pei chiassi di Firenze al tremolio delle fiammelle nelle edicole di santi, cristi e immacolate vergini. Ma, alla pari dei pochi pagani che ancora oltre l’alone dei lumi e delle candele intravedono l’oscurità del mito, dei Saturnalia, del Sol invictus, contro la propaganda dai e dai di un avvento storico, razionale e disumano, il bambinetto in scozzese avrebbe potuto credere che a Firenze, i semafori appesi nel vento a’ crocicchi, fossero molteplici occhi di Èrmes che, dalle otto di sera in avanti, dismessi dal loro impiego comunale, sui bivi deserti prendessero a lampeggiare di giallo in giallo, come fossero lì a mettere sull’avviso, di qualcosa, i viandanti che la benevolenza di quel dio appunto riconoscessero. Era l’ora in cui la città volgeva a sonnecchiare di desìo; osterie, alberghetti dai neon verdolini, la stazione della ferrovia per i quanti che d’ogni parte del mondo cadevano da un sogno per assimilarsi a una città pigra, industriosa, sonnacchiosa, desta, avvocata, notàra, pizzicagnola, mesticàia e trippàra, si sarebbe detto una Gianna  Schicca che li avrebbe esclusi per associarli a un limbo d’arte e di artifici imperituri; Firenze sembrava un luogo di nulla profumato di tutto. Firenze alla sua prima apparizione, secoli fa per il picciottello in salopette scozzese, fu la sottana rotonda e immensa e luccicante di una signora piena di sorrisi e di accoglienti braccia, nel corridoio di una casa vastissima in cima alla collina di Settignano. Le luci erano splendenti e calde, nitidi i vetri. Fuori il freddo gelido, la neve copriva gli ulivi, si crollava dai cipressi, mormorando. Laggiù in basso, distesa lungo il suo fiume invisibile al buio Firenze, una via lattea. Poi, come una bufera cessando rivela un paesaggio sconvolto, tutto questo di colpo non fu più. Ma una foto.

ª cfr. ivi Primo e Secondo idillio fiorentino

Schermata 2017-05-09 alle 10.58.19

Giacomo Puccini, Gioacchino Forzano – Gianni Schicchi – 1918 – https://www.youtube.com/watch?v=5ZaUxGYX1wM – Mario Monicelli

Ivano Fossati – Una notte in Italiahttps://www.youtube.com/watch?v=IZPXya0vbzU

BA 10

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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