L’ElzeMìro – Temi e variazioni 9/4a

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                                                                                                              Will Eisner 1917- 2005

 

                                                         L’anàmnesi

                                                                       da la Metamorfosi di Franz Kafka

                                                      Quarta puntata

Fiabe. C’era un volta come se si trattasse di una volta sola… Inaspettata e imprevedibile comincia  così la lettera che il maestro M. mi ha fatto recapitare. Recapitare viene a dire che mi è arrivata per un messo in bicicletta, un ragazzino qui del paese, come in un racconto di Conan Doyle. Nel lungo periodo di nulla che l’ha preceduta M. non aveva dato nessun segno di quello che vorremmo sempre si avverasse, uno scatto al meglio di qualunque paziente. Ho continuato a seguirlo ma sempre di più la distanza tra me e lui di fronte a me, si andava allungando in incontri per lo più dominati dal mutismo. Tuttavia, concepita come pastiche linguistico ma con un ritorno cogente, molto significativo, al dialetto, la lettera che accludo se sia prova di quello scatto o nuovo sintomo, non saprei dire. Eccola

Fiabe. C’era un volta come se si trattasse di una volta sola, caro dotor, iera una volta Piero se volta, mi canticchiava la me nona de Trieste. E volontieri mi le gavesi scrito ‘sta carta, ‘sta letaraza in triestin, se no’l fussi che lo gò olvidà. La badi, olvidà viene da olvidar e xe spagnolo una delle lingue con que fazo confusioni. Veda quando se ne parlano alquante si finisce per mescolar le parole di questa con quella, le più tacade al pensar in corso. E a pensarghe xe questo un proceso compagno al de una lingua madre che attinge e irora se stessa con strutture e modi e parole d’un’altra e un’altra ancora. La badi sior dotor, mi son nassudo in una famiglia picia picia, de borghesi small size, ma co la camiseta de cagamiràcoli. Un artista mi, sa a tutto tondo. Co’ iera impero i iera benestanti po’ se sa, comme ci comme ça. Studiar però musica iera obligo, la viola per via del sàntolo orchestrale, po’l pianoforte, po’… mi gavarìa preferido piturar ma no iera question in famiglia. O’l scritor che sempre go scrito comme il faut, a scuola e non, che tutti mi dicevano devi fare il scritor, che ti te scrivi come Stephan Zweig. Morale direttore d’orchestra. Ho fatto un carrierone, la badi, la moglie contessa conta, che m’ha insegnato i particolari del savoir vivre al francese e dell’usare le posate all’inglese… gran bella signora isn’t she, vera mula ungara nata Varaždin; trapiantati in Triest i conti, tempi di Horthy e beffe di Buccari. Lo que me gustava de ela iera che bela iera bela da non più dirsi e aristocratica, ga visto, clase no babézi, fin nei genoci, fin nelle mani ignude, fin nei malleoli, nelle ciglia nere, nei freschi pensieri e còcòla aulente. Dovrei finalmente trovarmi un nome per ser che non son più, esempio Stefan Stacìto, Stépan Schweigt, perché no; rispetto la musica che ha  però strutture imbalsamate, non parliamo delle serie e di tutti quei fufignezi tecnici, ed è totalmente incapace di umorismo ma anche di tragico, non può dire eppur dice. Colpisce là dove fa male, sconsola, stordisce… legga del Tolstoj la Kreutzer. Dà libertà come la danza che non riesce a raccontar altro che sé stessa. Mi piace, mi piacque sai sai, ma ora l’ukaze xe scampar a tuto esto architetar. Mudar voria in scritor come che no go podù. Sa i De Chirico, i do fradèi, eran di tutto un più di qualcos’altro. Mi farò scoprire da lei. Servus. 

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                                                      Fine della quarta puntata. Le puntate precedenti  sono apparse il 30/04, il 7 e 14/05

BARTURO 10

 

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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