L’ElzeMìro – Temi e variazioni 2

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                                                                         Cagnaccio di San Pietro (1897 – 1946) Donna nello specchio, 1930

                      2. Senza scomporsi. Variazioni su un tema di Cioran  

                                                                              da Émile Cioran Précis de décomposition Gallimard pg. 39

… C’était dans la salle d’attente d’un hôpital, une vieille m’expliquait ses maux… je ne peux pas manger… je ne peux pas dormir… j’ai peur… il doit y avoir du pus (pausa, la vecchia pare cercarsi intorno) Ou bien pour sur qu’il y a n’a* et (traduciamo) mi si forma di notte e i medici non vogliono credere che al mattino è sparito… ma vedesse di notte… una pattóna grigioverde… a cucchiai… per fortuna sono vedova altrimenti hmmm (sogghigna impudica -succede alle persone modeste e persino pie che il luogo pubblico, latrina o giardinetto, l’impulsi a sbottonar la patta alla favella, del resto è porno l’abito dei tempi- poi seguita) Ma la cosa peggiore è la rivolta delle cose… le mele via che dal piatto sul pavimento mi capìtolano (con l’aiuto di alcune erre e della lingua che dentro e fuor di labbra guizza, tenta di rendere sonora l’idea di quel capitolare) Trldrl… ah e con il riso non c’è verso… mi costringe a usare un dito (pausa in attesa d’una reazione o no alla parola dito; si riprende) Per imbarcarlo sulla forchetta su sui suoi cosi lì (rebbi signora si direbbe rebbi ma ricordarglielo perché mai, capace ch’al catalogo degli ammutinamenti giunti un elenco di cellule cadute nel vocabolario) Sa che le noci aprirsi mai … il guscio o mi si sbriciola o non si rompe… schiaccia schiaccia schiaccianoci ma quelle rinfrognàte s’aprono a metà soltanto… lei che l’è giovane saprà … morire che mòllino… il… il (gheriglio signora, pensiamo e non diciamo -gheriglio parte commestibile della noce, formata da due cotiledoni carnosi e ricchi d’olio, si veda in Treccani- suggeriamo frutto) Il frutto ecco… ma veda le mie povere mani… mi fanno male… mammàle e poi friggono non ha idea (mostra la scomposizione delle dita antiche, diabete, artrosi, bah) Sa alla mia età più che altro s’ha paura …  Gesù ci manda tutti questi mali così capiamo che la nera santa crisantèma alla fine ci leverà di torno… i mali e noi per sempre… dovrei esserne contenta dirà lei… e invece no… vorrei che s’aprissero le noci… anche le mie scarpe… le guardi guardi se non ho sciolti i lacci… li lego stretti stretti… niente da fare… faccio quattordici passi e uno dopo l’altro loro…  il destro sempre prima … il sinistro poi… si sciolgono e io nel mezzo della strada a riannodarli mi dice come faccio… senza mostrare le gambe a qualcheduno… veda che mai io porto pantaloni (vediamo) Del resto l’è la memoria che di più tradisce  (sorniona, sottovoce) Puttana sa (sappiamo. Verde e viola nella sua divisa, un medico appare sulla porta del suo ambulatorio e domanda se c’è, fa il nome oh cielo che di noi s’impadronì a suo tempo; improvvisiamo assenza, il medico, perplesso, interroga altri occhi) C’è (la domanda vàgola e decade come particella; non cediamo; non ci siamo; la vecchia cicinguétta) E io che pensavo che toccav’a lei (il medico le fa un cenno dal valore d’un allora-venga-lei, ma si direbbe lui il paziente; è già all’impiedi lei e inciampa, dove, mah, poi senza scomporsi via che la trotta via nell’ambulatorio. Da tutto ciò ci dimettiamo)

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* Tema: Era nella sala d’attesa di un ospedale che una vecchia mi spiegava i suoi mali… non posso mangiare… non posso dormire… ho paura… deve esserci del pus. Qui inizia la variazione Anzi è chiaro che ce n’è. Indi a seguire

BARTURO 10

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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