L’ElzeMìro – Olio di lino – Prima puntata

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Senza fermate senza controlli, s’aprono i polmoni al varcar la frontiera; si scioglie il differenziale alla corriera come le zampe ai cavalli, narravano, all’approssimarsi di casa… chi mai più si muove a cavallo tranne i rancheros pamperos gaucheros di qualche landa dove las toyotas non abbiano del tutto sostituito pèdes et pedàles di chiunque, anche del fighettàme sellato Ouitòn Çacoûte… bah, come la maggior parte delle asserzioni date per verità è solo un’impressione, un trasferimento di affetti, un’impressione transizionale; al percepire che tutto salendo sembra farsi più bello, le luci, la metéorologìa che oblitera l’apocalisse dell’aria per l’uomo che respirando ne gode al solo ricordarla, pare che girino anche le ruote in maggiore, le bielle, i sei allineati cilindri della corriera; nemmeno come cavalla, la dogana avesse distinto dalle bandiere, la che si lascia di qua, l’attesa di là. È un pensiero che rallegra Ph, l’assai premiato e ricco scrittore, sovrumano nel sedile il suo ingombro di carne disarmata cui pure ha sentito animarsi le piume di un inatteso benessere, allo snasare dal finestrino un vento che sa non solo di jäger, di bündner, di chiarefresche dolci birre, hmma profuma d’erbe, di fieni; sa di guarnigione alla salute. Ormai da tempo la mattina non è l’ora del risveglio per Ph, nulla che si risvegli, grippa tutta la trippa, il cuore che ciuccia sangue come una zecca, si gonfia, lo pompa, poi dentro un’idraulica da villa in rovina con tubature da mezzo pollice che pìsciolano acqua rosina, si sa com’è il bradisismo di una casa decotta che schiaccia, taglia talvolta la rete dei tubi. Ph annusa la sconfitta da tempo nel pieno della battaglia e di più, un nonsoché, un oscurarsi il pensiero della sua vita così al centro di molte metafore da preludere l’abbandonarsi delle armi nel campo, la resa insomma; che suona bizzarro magari per uno che si è conquistata la fama di espressionista, chirurgo, nihilista; sul ceppo di una persona intesa dal fine intelletto, un semicupio di cazzoni che se la pensano addosso, sprizzano istici in abbondanza. Via via Ph da libri e scrittura… da ultimo non gli riesciva che per distillati minuti, nel suo studio oramai brefotrofio di mali, 10 gcc. di tramadòlo e sdraiarsi ogni pochino su d’un tatami di preziosa fattura; impossibile leggere e fare nient’altro che aspettare la remissione dai dolori. Non era tipo da avvilirsi Ph, ha superato bizze, strozzi, carogne dell’editoria, ha finto, accettato, ma oggi la differenza tra gli anni vinti alla lotteria e questi di resto in vista della luna mortale, questa malattia di nome mistero, i dolori l’han trasformato in un monumento di marmo alla pietà per sé stesso; paraplegico dell’intelletto, slìnzega, carne fatto d’accademia e furbate o Beirut, Napoli… mica credere ha girati certi inferni dove in un tempore illo ha temperato la sensiblerìa con l’indifferenza. Così via, via per petrolchimiche di mari e foreste, via a sbirciare qui queste vette, a respirare … gli han detto fa bene non solo alle brocche polmonari… Una certa dose di pittoresco se l’ha sempre bevuta, Ph tuttavia non sospettava che, giunta la corriera a un passo che già i romani questi giramondo, ecco che una valle di smisurata bellezza si svolge sotto gli pneumatici continentàl;  un lago, due laghi, e poi vele quassù, pensionati in cammino, loro, trampoliere ragazze dalle caviglie svettanti dentro scarponi d’ogni colore… fin dove s’infila l’eterno femminino ahi nol credea mirarne Ph, la varietà di rossetti, shorts, reggipetti, e desiderio… apre la termica dei medicinali, ne cava una boccetta d’olio di lino e giù una fresca sorsata di omega3… Segantini salute.

                                                       Fine della prima puntata

BARTURO 10

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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