Al lazo delle sue consuetudini, anche quella mattina di primavera Bergomasco, Bergomasco la cui co finale fu imposta cento anni fa all’originale familiare Bergomas durante l’italianizzazione sforzata delle terre orientali da parte del beneducente truce Buce di tutte le battaglie, Bergomasco prese a fare la sua passeggiatina con il suo cane, un cane lungo dalle zampe corte, un bassotto a pelo ruvido di qualche anno, il cane tutto compreso non il pelo in particolare, un animaletto simpatico, baffuto e dal pelo disordinato, ruvido appunto ; in un certo senso simile a quello di una spazzola strinata con l’uso. Il cane ora procedeva da solo, tuffandosi tra i rovi e emergendone trapuntato di lappole, ora per ciò legato al guinzaglio, fatto questo che ai cani non piace, così come non piace loro nemmeno che degli umani da cui dipendono già abbastanza, si dica che sono i loro padroni. Ai cani non piace questa dizione, puoi dartelo per certo o almeno sospettarlo ; basta osservarli quando, se riescono da sé a strapparsi al laccio, poi trottano allegri con il guinzaglio strasciconi di coda ; ma ai padroni invece piace essere considerati tali e nominati di conseguenza, fatto che pare li faccia subito sentire coi piedi infilati in stivaloni neri e coi pugni sui fianchi, sai di che si parla. Forse non è il caso di uno come Bergomasco, noto inetto alle rudezze campagnole e in genere a ogni situazione che non sia di tepore, pulizia e confort e infine di discreto lusso, ma ti capitasse, osserva i proprietari, ossia in quel caso proprio i padroni di certi scagnazzi bavosi e torvi, osserva con che aria goduta li tengono, in pugno appunto, e ne strattonano la catena o la doppia cinghia di cuoio rinforzata, che le crocifigge alla loro deteriore volontà le povere bestie ; spiace chiamarle così, ma non si può invocare una correttezza politica per dei cani dalle evidenti attitudini di squadristi, sicari, assassini. Selezionati per essere tali. Che sia noto d’altra parte, nessuno, nemmeno Thomas Mann ha trovato una parola più adatta di padrone per definire il convivente umano di un cane. Questa storia però non riguarda direttamente il bassotto a pelo ruvido, ti dico il suo nome olimpico, Pelèo – sposo di Tèti e padre di Achille, quello non il cane – e a guardare, nemmeno per via diretta Bergomasco, un tipo sgraziato, grassoccio, alto mah, alticcio all’occasione, un tipo dell’est diresti, anzi anche un bel pochino più a est di Bergamo per sicuro.
Dunque la passeggiata. In quel momento della mattinata Bergomasco era piuttosto allegro perché sul suo conto corrente erano stati appena accreditati dodicimila euro di royalties da una delle sue case editrici ; royalties che perlopiù derivavano dalla vendita dei suoi libri in Turchia, Corea del Sud e Taiwan, tradotti ovviamente negli idiomi conseguenti. Bergomasco dunque era/è uno scrittore e tra gli scrittori, uno di quelli ben pagati, fatto questo non così usuale, e autore esclusivo di storie per ragazzi ; scrittore prolifico, un tipo da due volumi per anno e per lo più intesi a indagare – interrogato Bergomasco diceva indagare di tutto ciò che scriveva – qualche aspetto della realtà in modo da offrirlo opportunamente lavato e stirato e moralizzato, metaforizzato al suo pubblico, che abbondava. La specialità di Bergomasco erano le parafrasi, faccio come Brecht, diceva Bergomasco del proprio lavoro. Paragonarsi gli piaceva molto… stare per così dire al guinzaglio di una personalità letteraria esemplare, nota e preclara, copiandone dopo averli travestiti i tratti essenziali, senza esasperarlo stuzzicava molto di piume la pianta dei piedi all’ego di Bergomasco ; insomma in quel momento era e non era lui a stare al guinzaglio di Peleo e con ciò sai tutto quello che è interessante sapere di lui, di Bergomasco non di Peleo che di suo ora sta ringhiando a qualcosa che lui ha visto in una fratta o previsto più oltre e il pad… Bergomasco no. Ovviamente.
La stradina che percorrono insieme, cane e padrone, per curve, salite e girigogoli nel bosco, viene e va a una bella casa che per tutto l’anno Bergomasco ha in affitto nella contrada medievale di Castanelli, rinnovata da un conte locale con non poco gusto e spesa ; una località sperduta un po’ come un frammento di spina sotto la pelle ovvero nel triangolo di terre selvagge tra Siena, San Quirico d’Orcia e Roccastrada; di preciso è difficile da individuare su una carta, anzi ; né di preciso è un paese, ovvero sì ma fortificato, dalla pianta circolare e appeso più che disteso su un poggio fitto di castagni, kastina nell’arabo pare dei pirati che a volte osavano pirateggiare ben oltre le coste che abbordavano ; al centro del borgo di vicoli e casette ristrutturate e ammodernate e affittate per breve o, come nel caso di Bergomasco, lungo termine, c’è una torre più alta di quella che sovrasta la porta principale delle mura con un ponticello di ferro, fisso oggi, che attraversa le vestigia di un fossato : nelle mura però sono visibili gli scassi per le travi di levata, bolzoni, del precedente ponte levatoio ; la torre sovrasta come un occhio la foresta intorno e vede la strada sterrata lungo la quale va Bergomasco. Ah il luogo non ha niente di rustico, anche se potrebbe sembrarlo. Le casine rimesse a posto per intero o le stanze di più modeste pretese hanno tutto ciò che piace non al turista ma alla versione economicamente più consona al ruolo di viaggiatore che uno interpreti.
Allora, Bergomasco passeggiava e il cane anche. Tra le cose gradevoli che gli erano capitate da ultimo, oltre al bonifico di quella mattina, il giorno avanti v’era che aveva trovato, e comprato a un prezzo per la verità piuttosto alto, un acciarino. Occorre adesso che ti faccia fare una piccola escursione sul termine e le sue connessioni con il prima e con l’adesso. Troverai la voce acciarino in Wikipedia, acciarino in Treccani, acciarini in Amazon e fire-strikers altrove ; e miriadi di tutorial illustrati da quei tipi, sai finti, quei che massimo massimo in aprile si calano in mimetica e anfibi o clarks, camicia e gilet tattico da subcomandante pluviale e così via che vanno per boschi e riviere ad accendere fuochi alla maniera delle loro antenate valligiane, vuoi perché sono per il ritorno alla sem pli ci tà, o alla natura, Natura NATURA – dittelo in crescendo – vuoi perché passano il loro tempo utile, cioè finché gli camminano le gambe ad aspettarsi e quindi a prepararsi alla catastrofe… e quasi ad augurasene una qualunque tra quelle possibili nel breve termine, cui loro, nella loro fantasia scamperanno perché sapranno come mungere una capra, fare il formaggio, seminare il grano, fabbricarsi la birra, riparare una tubatura anzi predisporla, giocare a scopa nei trani di paese e infine, guarda un po’ usare gli acciarini.
Un acciarino si compone, inutile dirlo, di due pezzetti di acciaio, acciarino uguale d’acciaio, ad alto titolo di carbonio ; lo sapevano produrre in un’antichità già piuttosto antica, tu sfreghi i due pezzi uno sull’altro e ne sprizzano scintille copiose, ossia tali da prendersi a esche di carta, paglia, foglie secche, trucioli, quel che ti pare purché secco, leggero e combustibile. Al contrario dei fiammiferi e persino degli Anzünder, o accendigas, l’acciarino funziona che piova o sventoli, non ha bisogno di niente, non va caricato e ricaricato, non si consuma o forse sì ma meno che poco. Dunque Bergomasco lo aveva trovato su un banchetto di antichità al mercato del sabato di Grève. E, nel va e vieni di ciabattoni/e co’petti e cosce infiammate dal sole di aprile e cappello di paglia, tra i richiami pittoresques dei venditori di erbaggi e le chiacchiere delle mercantesse di mutande sloggy e trine di sansepolcro, a colpire la sua immaginazione sonnolenta e blasé di semi-rentier culturale, fu la forma aggraziata di quell’oggetto inattuale, così simile per forma e ghirigori alla guardia o al paramano di una spada cinquecentesca, cioè alla parte che per traverso disegna una croce con l’impugnatura. Il mercante però gli aveva fatto subito la rivelazione, La lo guardi questo l’è un acciarino si’uro dill’otto e forze forze dil settecènto, e gliene aveva mostrato il funzionamento. Bergomasco fu entusiasta dalle scintille scaturite da quel ferro antico sicché poi, a casa, lo aveva provato nel gran camino del soggiorno : con un pezzo di ovatta da idraulico aveva innescato l’incendio a dei lacerti di scorza di pino marittimo assai molto resinosa ; senza nemmeno faticare troppo di polmoni per ossigenarla, la fiammella si era mutata in fiamma e propagata con baldanza prima alla superficie poi alle interiora di un ciocco di cipresso e via di seguito così da eccetera eccetera : fuochi di gioia, in sintesi, senza fiammiferi, accendigas, e senza l’uso di benzina o diavolina. Era primavera e nella casa dalle spesse mura di pietra, ma anche fuori da quelle, faceva un certo freddino. L’indomani dunque era a passeggio Bergomasco, catafratto nel suo bel pile comprato su Temu in barba al fatto che ogni oggetto che lì si ritrova è frutto di espropriazione del lavoro altrui, cioè dell’abuso dell’uomo sull’uomo, vecchia rangaine di risentimento sociale che il capitalismo comunista cinese ha travasato al sistema dell’economia globale : per dire che nulla si crea nulla si distrugge, tutto si ricicla al suo proprio indefettibile vantaggio di una qualche categoria di padroni e con ciò ti ritorno al tema iniziale, che cioè il padrone non si perita di cambiare il proprio nome e il cane non ha mezzi per cambiare il proprio ruolo di impadronito, di servo in altre parole.
Bergomasco svoltò su per una larga ed erta curva desideroso di prendere fiato, ti ho detto che era grassoccio, camminava per smaltire calorie e trigliceridi e poi mangiava con voluttà per riacquistarne, mentre a Peleo di correre sulle sue corte zampine non pareva vero. Dopo la curva la strada proseguiva in falso piano per un bel tratto lineare, costeggiato da cipressi, ginestre in fiore e e e, agevole dunque e lì, su uno dei cigli, posate o rotolate non si sa da chi – forse da un ciclope – né da dove né come né quando, stavano quattro, anzi sei pietrone ; lì vicino c’era stata una cava di tufo è vero ma quelle pietrone non si spiegano. Bergomasco aveva tutte le intenzioni di fermarsi a prender fiato ma una cosa però lo disturbò. Col tempo si era abituato a considerarsi e non poco il padrone di quelle terre aspre, sicché la vista di persone estranee alla cerchia degli ospiti nel borgo, incontrare qualcuno sulla, in senso quasi proprio, propria strada gli toccava la corda antisociale che vibrava in lui con costanza. Ebbene, su una di quelle pietre era seduta una persona : una signora anziana sì e no, una specie di rigoletta gitana lanzichenecca, sibilò al vederla Bergamasco tra sé e fingendo di parlare a Peleo. La donna sembrava infatti confezionata in una arlecchinata di abiti, velluti, lane, sete, ai lobi dei vistosi orecchini, di foggia più che inusuale, un cencio di velluto cremisi in capo. Il cencio in capo ci stava perché in effetti caldo non faceva. Tutto sembrava ed era consono al sogno di una costumista, sottane ne aveva tre e che sbucavano una da sotto l’altra tutte di colori differenti, più che un vestire, un travestire, incutere un vestimento. Un bambino per esempio, in anni lontani, ne avrebbe avuto se non proprio paura, per lo meno diffidenza ferina, anche senza arrivare a pensarla la strega, metti di una delle fosche fantasie di François Nomé o di Salvator Rosa, sai, la strega che taglia le unghie all’impiccato ; oggi, i bambini non si sa a quali paure possano essere indotti, forse di quelle che farfugliano le prefiche e i babbani, cioè gli idioti delle pubbliche assortite soteriologie, salvezze assortite, e i babbi e i babbei dell’alchimia social. Ti prego di credere che la signora non era affatto una strega, non nei termini con cui siamo abituati familiarmente a definire tale una donna : non aveva il volto affumicato dai fumi dei calderoni, cauldrons, se mai era di suo scura, olivastra di carnagione ma non aveva un bitorzolo peloso, fibroma pendulo, piantato sul naso adunco ; non aveva affatto un naso adunco, anzi al contrario un bel nasino di fanciulla nonostante le evidenti zampe di gallina intorno agli occhi. Inoltre era delicata, lievemente appesantita forse ma con lo sguardo di chi era abituato a una vita attiva, prova ne era il fatto che ai piedi aveva degli scarponi da camminatore, sul malleolo dei quali scarponi spiccava il marchio della fabbrica : Columbia. E inoltre al suo fianco, appoggiato sulla pietra stava un paio di bastoncini da escursione, piuttosto di recente acquistati, tanto che l’etichetta col prezzo non era stata ancora levata ; era intatta, nemmeno un poco grattucchiata. Qui a prendere fiato mi fermo anch’io e a farti riposare le orecchie.