L’ElzeMìro – Mille+infinito-La psicologia del personaggio

Perdi la vita, e non avrai mai più nient’altro da perdere

Graham Green – L’americano tranquillo

Narrare caro mio è andarsene. Good bye so long. Ogni racconto ben architettato, dovrebbe essere straniante – per tua comprensione vuol dire all’incirca l’inverso di immedesimante – e quindi dovrebbe avere per autore un latitante, uno che scrive didascalie per un film muto, o per attore uno che si specchi negli occhi della troupe per il proprio primo-piano. Peraltro anche la consuetudine del tempo passato, benché sia indispensabile a costituirsi in tempo e luogo privato del lettore, è inveterata al punto di estinguerne il presente, ovvero, non si medita che il tempo interroga, il tempo non corrisponde. Il tempo è tutto. È un dado da gioco. Quindi un gioco di dadi.

Il figlio. Quando un giovane medico, meditata la previsione circa il termine di suo padre, lo ricevette nel suo studio e gli disse di prepararsi alla fine, lui si preparò e si mise a immaginare molteplici scenari di addio – addio del passato bei sogni ridenti, le rose del volto già sono pallènti Te lo posso dire per sicuro perché lo so, che da un punto di vista tecnico, il figlio era campione di una specialità per olimpiadi tra fantasmi : precorrere i tempi e persino le condizioni e i luoghi di un fatto, così che per lui di traguardi, con precisione, non se ne poteva parlare. A fare attenzione, nella sua mente fioriva di tutto in caratteri di brezza come fiori di ciliegio. Sicché, sul punto di rivederlo, il padre, o per l’ultima o in una delle ultime volte, tutto uno sbocciare di se lui dice io dico, di se lui fa io fo, di e se però quando sarò. E avanti così. Fiori di ciliegio persino sulla camicia, sulla cravatta da indossare, e al funerale sulle scarpe da lucidare. Su in autobus, in uno dei suoi ritorni a casa, puoi scommettere senza rischiare un centesimo che stava arzigogolando se sì o no gli altri passeggeri capissero, vedessero che lui era in preda a un preventivo di lutto. E cambiava di continuo posizione del braccio appeso alla barra di sostegno e si alzava e sedeva di nuovo un paio o tre volte, eguale a un filodrammatico di provincia che, fatto un corso di recitazione osi dirsi attore, e in una nuova lettura di… metti Amleto, cerchi dovunque, anche al banco del bar, il suo mood, e il suo feeling e la sua motivation e la corretta maniera di reggere la spada – e il pensiero? il pensiero dove corre ? a quando giocavi con papà sul bordo degli spalti di Elsinore ? – Gli Amleti, come categoria, hanno sempre una spada e delle motivations.

Suo padre. Di età adatta per l’evento e steso nel letto dell’ospedale dove è ricoverato per un male terminatore. Messo sull’avviso dal respiro senza regola del vicino di sventura – il respiro di Cheyne-Stokes – il padre esausto lo avresti paragonato a un pugile che ne ha prese tante, ma tante tante così che abbia deciso di utilizzare il residuo delle forze che lo stanno lasciando – e lo sa e lo sa eccome e vedi che non a caso la chiamano agonìa da agone, lotta – per buttarsi al tappeto da sé e fa’ di me quel che ti par basta che la finiamo qui ; prendere l’evidenza per quello che è, evidenza, niente da capire, pare tuttavia sottintendere nel sentimento comune una resa o l’aspirazione a un assoluto, all’eroismo, al mistero. Domandarsi perché a Fort Alamo i texani non se ne andarono zitti zitti piano piano a notte fonda mentre i messicani ronfàvano : Santa Ana che cosa avrebbe conquistato il mattino dopo se non quattro muri di paglia e fango ; la sua sconfitta gli sarebbe arrivata con regolarità poco dopo. Tempo. Se ci pensi, c’è un misto di sadismo di andata e ritorno e ammirazione di ventura per chi, tormentato a morte, non molla, simula la lotta con il proprio male, alla pari appunto con lo sventurato che non cede subito alla tenaglia del carnefice. Il quale conta molto e conosce questa ostinazione a vivere della propria vittima. Altrimenti che gusto ci sarebbe nel violentare in tutti i modi che sai, e se ancora non ne sai abbi il coraggio di documentarti : se la vittima, al solo vedere gli strumenti del suo annunciato supplizio – come il Galilei al  vedere quelli del santo uffizio – abiurasse, rinnegasse in un soffio, dicesse quello che sa e quello che non sa lo inventasse a sufficienza perché lo lascino in pace, figurati, fine, tortura abolita da sé nel mondo, rivelazione della sua inefficacia. Trionfo dell’astuzia e dell’inganno. Quanto al ring, il letto d’ospedale gli somigliava moltissimo. Il vecchio uomo che, si può dire era, era suo padre, era ridotto a un sacchetto d’aria, a un’ipotesi di movimento delle mani per cercare il contatto con almeno una delle due del figlio, a un’estenuazione degli occhi nelle orbite come se questi avessero una loro volontà di carpire tutta la luce possibile e vederci chiaro ; ma chiaro ci vedevano eccome, anche in penombra si sarebbe detto. Il vecchio sussurrò di avere paura di morire : soif d’absolu, soif d’immortalité, donc peur de mourir leggi in Marlaux, La condition humaine. Non si può sapere con esattezza che cosa, però è evidente che la morte non è un’ala di transito aeroportuale, non è un transfer e tantomeno un transfert ; la morte è la morte e basta : per me si va ma da nessuna parte… ahi poveri babalóni senz’arte. Altro che absolu. Tuttavia sul bordo del letto, tra lenzuola ben tese, il vecchio abbozzò un sorriso e dunque, nonostante la mano cui la malattia impediva di andare dritta al punto, si sforzò di stenderne due dita in un segnale ambìguo, la vivì di victory : cioè sono vinto ma ti faccio credere il contrario, così te la racconti.

Farla breve, alle due dopo pranzo, dopopranzo per i vivi cioè e per una certa percentuale del personale ospedaliero, tutto era finito.

Molto a lungo, prima e dopo essere stato ricoverato, suo padre gli ha telefonato, al figlio, tutti i giorni, non fosse che per pochi istanti, nonostante la fatica da tempo di parlare senza inciampi e nonostante ogni tanto una coltellata nel fianco a levargli il fiato ; fatti che contrastavano con l’istinto della conversazione che pare a tutti – visitatori e visitati, basta aver frequentato qualche moribondo – un modo per distrarsi dall’adesso, lì, lì dove una persona di sempre si rincorre com’era, magari un po’ rompicoglioni, un po’ pignola e noiosa, e la si trova invece com’è, un interrogativo privo di parole e di senso. Al telefono lui, il figlio rispondeva spesso a monosillabi con il tono che, se ci fai caso, hanno in linea di principio gli adolescenti ; e anche una percentuale non pesata di figli finché non interviene la sorte, una disfatta, un orrore a dar loro quattro schiaffoni e a mettergli in mano le forbici per tagliare il cordone ombelicale con cui molti si sono legati a sé stessi. E forse non lo sanno. La condizione di figli è una questione di fede, in equilibrio instabile tra il calvario e il knock knock diverse volte alla porta delle tue trascuratezze, delle tue incertezze, del tuo qualcosa di troppo. È così che friggi per anni fino a rimanere carbonizzato nella padella. La morte è un postino che porta consiglio, si suppone, ma si suppone tanto per fare.

Quindi quando nel suo studio un giovane medico senza dire una parola di più di quelle che sarebbe stato superfluo dire, gli disse, È meglio se si prepara, non saprei dirti quanti istanti prima di prepararsi, lui, prima, ad alta voce commentò con queste quattro sillabe, So-no mor-to. Quattro, con un niente di hesitation. Suo padre è morto con i conforti della medicina cioè di mani in guanti azzurri che hanno sfilato aghi, cateteri e spento il monitor multiparametrico. Poi più tardi lui, il figlio si è documentato sulle pratiche mortuarie, accolta con sollievo la notizia che non doveva occuparsi di niente, sì giusto a volere che l’atto di morte andava e va portato al comune per la procedura funeraria fino alla prevista cremazione. Peraltro, con qualche spesa in più, le pompe funebri. Ogni istante di un vivente ha la sua burocrazia. Curiosità di cronaca : che lui, il figlio zoppicava, sì all’uscita dall’ospedale si accorse di zoppicare eppure non era inciampato in nulla di più consistente che un sospiro. Andò così.

A casa, il minore dei suoi due figli, un piccolo biondo di anni quattro, era intento a giocare con una statuina di legno del Buddha che il nonno, il morto, aveva portato in dono da un viaggio a Singapore – prendi nota : perché il nonno era cultore di glorie inglesi e Singapore fu nota per l’assalto dei Nippo e la sua difesa strenua WW2 –  viaggio deciso per le nozze d’argento con la nonna, morta per tempo anche lei. Un Buddha vai a sapere il perché, un bambolotto a gambe incrociate senza relazione necessaria con qualcosa di coltivato dal nonno insieme con le sue preclarità britanniche. Ma al bimbo piace la statuina che pare prenda per astronauta o viaggiatore marziano, tale che lo ha messo a sedere, cioè è già seduto ma per dire, su un piccolo vassoio tondo di acciaio tirato a specchio di cui il bimbo simula il volo, come di un piatto volante. Appunto : il vassoio è stato fatto atterrare ai piedi di lui che ha ereditato ora in pieno il ruolo di padre. Senza sollevare il capo, del Buddha il bimbo dice, Lo vedi… si specchia.

Non c’è niente da capire, bada che si tratta qui di un Ersatz, di un sostitutivo mentale del fatto nudo e crudo, del contraddirsi e contraddire. E tanti saluti.

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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