L’ElzeMìro – Mille+infinito-Adelfo e il negozio

In fondo, Lear è un semplice nome, un centro per qualcosa di sconfinatoOswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, II.12

1.

Hegel stellte sich vom Standpunkt der modernen politischen Ökonomie her. Er begreift die Arbeit als das Wesen, als das wahrwerdende Wesen des Menschen; er sieht nur die positive Seite des Jobs, nicht die negative Seite. Adelfo, che suonicchia il violino e legge il tedesco abbastanza bene per via che ha vissuto a Zurigo da piccolo, chiude la pagina dei manoscritti economico-filosofici di Marx con l’intento di tornarci e medita se sia o no il caso anche di infarinarsi di Hegel di cui poco ha appreso a scuola, meno di Marx, ma lo intriga che, secondo Karlo, il Georg Willhelm Friedrich si situasse nell’ottica dell’economia politica moderna, nel 1844, e che avesse afferrato la coincidenza tra natura in divenire dell’uomo e lavoro, di cui vedeva solo il lato positivo, non il negativo. Adelfo ha un po’ sonno, infila, con cura, il segnalibro con la riproduzione di uno degli affreschi di Palazzo Schifanoia nel  volume, lo chiude e si appisola. Ora, che il successo, l’esito di una vita ben vissuta si misuri in quattrini guadagnati, spesi, investiti e capitalizzati è un dato di fatto così scontato che non vale la pena soffermarsi ad esaminarne i particolari. Per sgomberare il campo, il signor Adelfo è di modeste origini ma non è uno sfigato nel senso scientifico del termine ; viveva modestamente ma con dignità, si dice così delle situazioni senza sbocco, da ragioniere ; finché non gli arrivò la scòppola del licenziamento. Di successo ne ebbe poi poco per poco, non nel settore del capitale e non nell’ambito monetario. In anni di sperpero e in cui l’occidentale medio ha(veva) del tutto dimenticato la solennità di un’arancia in dono al viaggiatore borghese dall’emigrante in treno, la sua impresa supposta oculata fu l’apertura di un negozio di bric à brac, di articoli da regalo, come se esistessero specifici oggetti con questa funzione iscritta nel loro destino e cioè cornicette, vasetti, profumatori d’ambiente, soprammobili, saponette colorate, portavasi da appartamento, bigiotteria artigianale e paralumi multicolori ovvero, come sarebbe stato utile dire per incantarne le clienti, di complementi d’arredo. Era tuttavia un concentrato di efficienza amministrativa il signor Adelfo, che era nato ragioniere e mai mai mai gli era successo che un’inesattezza o un errore gli sfuggisse ; ma l’imperizia totale e lo scarso fiuto nel marketing, ossia nelle bizzarrie del gusto fino alla sua negazione, fecero sì che il negozio non avesse nessuna fisionomia, nessuna specifica attrattiva, che non evocasse nel passante orizzonti e prospettive. Da Adelfo – cioè dalla grassa moglie di Adelfo ma poi vedremo – un eventuale avventore avrebbe trovato quello che non cercava di trovare e quello che avesse cercato non si sarebbe trovato, non facilmente, perché nascosto ovvero confuso in un ginepraio di cose rinvenute un giorno da un’artigiana dell’ottone, un altro da un candelàio, non nel senso di Giordano Bruno, ma di una manifattura tedesca di candele contundenti e di quel gusto germanico per la rocaille. A Natale sì, per molti Natali, a contare i versamenti di cassa in banca, era anche vero che gli incassi volavano. Per poi planare ripidi, nel mesi seguenti fino ai languori estivi. È noto che in quel periodo dell’anno, Natale, molte persone che possano contare su un certo portafoglio si aggirano per la città in cerca dell’obbligo inutile, per il papà che l’anno ( senz’acca davanti) scorso gli abbiamo regalato, per la suocera che nemmeno di un trapano saprebbe che farsene, per la nipote che manco aprirà il pacchetto con il braccialetto di filo o ne dimenticherà il contenuto, anzi forse lo troverà orribile e ringraziare, oìmoi, nada. Una candela tedesca sì ci sta, starà sul cassettone ottocento dell’ingresso oscuro e senza finestre e per un po’ verrà accesa, sbrodolerà, indi si coprirà di polvere, verrà chissà poi se si o no accesa per tre quarti d’ora in caso di black-out, e infine per fortuna offerta in voto all’indifferenziato. Migliore utilizzo hanno le candele profumate. Per un po’ si troverà buono il loro aroma ma capita che al percettore di un dono siffatto, paia dopo un po’ un orribile puzzitèrio, quindi via trash. La fenomenologia del dono è complessa e non meno complessa lo è quella della vendita il cui successo dipende in esclusiva certo dal che si vende, ma soprattutto dal chi vende chi. E allora, è la domanda. E allora la risposta è che Adelfo sapeva calcolare le perdite e i profitti, il ricarico e lo sconto ma non sapeva affatto vendere che è una delle forme libere del teatro.

2.

Come Adelfo ebbe ad aprire il negozio è un bell’argomento. Nel periodo centrale della sua vita, Adelfo aveva lavorato in una ditta che stampava monografie di pittori e riproduzioni dei capolavori d’arte antica su tela, seta e cartoncino del tipo bristol, satinato di almeno centosettanta grammi. Tutte cose che finivano nelle cartolerie di lusso, metti Pineider a Firenze dove dicono proprio àider. Poi questo mercato fiorente e di gusto salotto subì una battuta d’arresto anche se è vero che una parte di quelle cose, oggidì magari stampate in un remoto angolo della PRC or, People’s Republic of China, si vende oggi nei bookshop di ogni museo nazionale o comunale. Quella ditta fu, dopo anni di onorato etc., prossima a chiudere i battenti ma prima, per salvarsi non si sa come, prese a licenziare. Cioè a indurre certi dipendenti a licenziarsi. Adelfo fu tra quelli. Prese una liquidazione di non poco conto visti gli anni di servizio e con la liquidazione, fatti i suoi conti, vide che sarebbe sopravvissuto abbastanza, due anni, finché non avesse trovato un altro impiego. Ma l’impiego non si trovava da nessuna parte perché Adelfo non era più un capitale umano, un terreno su cui investire, non troppo vecchio ma nemmeno giovane ; nell’ambito dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo insomma, Adelfo era uno scarto ; non lo trovava il lavoro nuovo e i quattrini, abituati come sono ad evaporare in banca a un tasso minimo di interesse, evaporavano, interesse e tutto incluso. Così ebbe l’oculata intuizione Adelfo di sondare il terreno tra amici e parenti. Vendette loro l’idea che, gli avessero anticipato il capitale indispensabile, avrebbe aperto una sua piccola impresa remunerativa per lui, un investimento per loro cui il capitale sarebbe stato reso, garantito, con un onesto interesse. Adelfo non riuscì a convincerli e l’idea o miraggio del negozio vibrava in un deserto di opportunità mancanti. Perché Adelfo non optasse ad esempio, gli fu fatto notare da un cognato farmacista, per una più modesta agenzia di paghe e contributi che era la sua partita, doppia, ché sapeva di numeri, di ricevute e fatture, di acconti e tratte a trenta, sessanta, novanta, di bene fondi e castelletti, di magazzino e inventario. Adelfo niente, lo stuzzicava un malinteso che tocca ogni altra umana creatura, circa il farsi avanti con le proprie forze, l’investire, il profitto ; gettare il cuore oltre l’ostacolo, vincere e vinceremo. Succede e non è così raro che le persone meno prevedibili vengano infatti prese da questo desiderio del mi-faccio-da-me, ballo-da-solo, edifico a perpetua memoria, compro nei seculi dei saeculorum. Posseggo per possedermi. Niente casette in Canadà, auto nuova, l’appartamento al mare. Macché, il vizio mentale è quello di avviare un’impresa propria, un bar ristorante pizzeria, la gelateria artigianale di gelati industriali, un negozio. Spesso questo desiderio è in molti del tutto sprovvisti delle conoscenze indispensabili per i compiti previsti, per esempio di cucina o di logistica, ma anche di gelateria, i quali hanno fiducia nell’opinione  che anche i principi del Galles mica sanno come si regge un regno, lo ereditano in culla e tant’è ; poi tra regni, acciaierie e negozi di bric à brac che differenza c’è, non si domandano. Così progettò con estrema precisione quanto gli sarebbe servito per affittare uno spazio commerciale si dice, in una zona né troppo né troppo poco centrale o di scarso traffico, non tanto cara e soprattutto non troppo residenziale ché non è con i residenti che si fanno i quattrini, era stato avvisato e mezzo salvato, ma con le folle a passeggio per strada il sabato pomeriggio o la sera dopo le cinque. Il negozio è un finestra sul mondo, gli aveva ripetuto fin da quando era piccolo la zia Cava che, in seguito  alla fuga dall’Egitto degli europei, si era piazzata alla guida di un negozio  seminterrato di tappeti fino alla morte senza eredi molti anni fa. Quindi finestra sul mondo decise Adelfo che la liquidazione avrebbe mantenuto in vita lui e in vita la famiglia, poca di numero, la grassa signora Adelfo –  attenzione che Adelfo è il cognome non il nome – e i ragazzi Adelfo, Rita la brutta e Giovanni il bello entrambi indirizzati lungo l’asse di equilibrio della loro impudica adolescenza. Di tutt’e due non vale la pena occupare spazio a raccontarne tanto sarebbe scarso il discorso intorno alle loro fortune. Degli inutili al racconto, uno a Londra a fare il cuoco, l’altra a Montreal, ha imparato il francese e a non far niente ma in dote a un violinista italiano che la trovò bellissima a dispetto del mondo e della sorte, così come scrisse Lorenzo da Ponte che di Canadà se ne intese. I prestiti però nix.

2b.

… La nobilità
ha dipinta negli occhi l’onestà.
Orsù, non perdiam tempo; in questo istante
io ti voglio sposar…
Adelfo era per natura bigamo. Adelfo è il fenotipo del seduttore. Per necessità perché gli piace la vagina, le vagine di tutte che, con opinione discorde da quella corrente,  trova diversissime l’una dall’altre e per questo motivo ne è sempre andato in caccia. Non è vero – dice – che sono tutte uguali… chi lo dice – dice – è in malafede o è un prete che  sono sinonimi… e non date retta al discorso che… Potrebbe insistere e saltando tra il ruolo di Don Giovanni e quel di Leporello canticchia spesso sul tema, C’è la stretta – ei bada alla metrica – come una guaina e la larga da esplorare… poi la secca da attizzare e la dolce che accarezza… la severa che s’impone e la molle come brezza. Ognuna di quelle che ha infilato con l’abilità del sarto che passa il filo inumidito nella cruna dell’ago non ha fatto che eccitare la sua fantasia invece che suscitare noia, e la curiosità da antico navigatore alla ricerca del passaggio tra i  fiordi e gli iceberg, tra stretti e arcipelaghi in oceani di mistero. E, nell’esplorare con la lingua di ogni fiore i petali, cioè le grandi e piccole labbra e le pliche inguinali e gli annessi, Adelfo si aspetta di raggiungere apici di letizia che poi durerebbe fatica a descrivere, se mai uno glielo chiedesse ma, interrogato in merito, lo vedi che gli occhi gli si fanno umidi e non come all’attore instillati di glicerina, ma proprio nel modo in cui umidi diventano gli occhi di chi non resiste all’assalto del ricordo dolce o amaro sia come sia. Adelfo è un generoso oltre che bìgamo o trìgamo o plurìgamo, dipende, benché virtuale a tutte ha chiesto, chiedeva, chiede un là ci darem’ la mano là mi dirai di sì. Proposta che non corrisponde a un’intenzione di matrimonio nemmeno segreto e per carità non inteso in nessun modo o momento come tale. Per Adelfo si tratta di credere lui per primo e far credere alle seconde che la scopata richiesta è una sacra congiunzione. Adelfo è ragioniere ma anche affabulatore, sicché tra le prescelte c’era quella che lo ascoltava rapita in estasi quanto nemmeno Lucia di  Lamermoor, e quella che rallegrata sì ma attenta alla voce di un proprio spirito sornione, mica credergli honey shhì acchiappa e dopo, basta gambe all’aria ma gambe in spalla tesoro… sans un plissé.

3.

Però ci fu un però. Adelfo aveva incontrato l’Angó. A una maratona afro-cubana al Calypso. Adelfo non si è mia levato il vizio, ama il cha cha, il mambo e soprattutto la rumba cubana. Cuba è nel suo cuore, perché è un’isola e l’isola è una delle aspirazioni umane – c’è da pensare che dalle isole, così ad arte circoscritte, i Greci trassero l’ispirazione per istituire le loro città stato, isolate, fiere ed altezzose ; i Romani non poterono che essere imperialisti, infognati com’erano lì tra le canne del Tevere – e, insieme con Fidel benché sia morto e sepolto lui e il suo progetto barbudo, ha un patrimonio Cuba di bellezze, spesso care ma che meritano da sole il viaggio. A Cuba è stato un mese Adelfo una volta tutto da solo e allora señor venga let’s dance. Il Calypso qui invece, sotto il sole intubato e terminale in cielo, è un postribolo per polpacci preagonici nascosto nella ristretta parte borghese del quartiere cinese dove ogni giovedì e sabato anche di pomeriggio Adelfo va per abitudine a ballare con chi trova. Qualche volta si esibisce in una buona imitazione di rumba Columbia che gli riesce benino e che gli dà la soddisfazione del solismo. L’Angó dunque, che tutti nel suo ambientino ritenevano fosse una contrazione di ancora quando era semplificazione del francese Angot, vecchia aristocrazia napoleonica trapiantata, scoprì Adelfo al Calypso. Coppia da subito perché di Adelfo la moglie oltre che grassa di ballare macché, mai avuto voglia e, s’ha da dire, talento. Sicché. Angó aveva il naso a becco che spuntava da sotto lunghi capelli lisci e sciolti, lunghi beh mezza lunghezza mezza bellezza, al tempo in cui incontrò Adelfo di molte tinture sovrapposte ; portava gli occhiali per vezzo e di un tipo che si potrebbe definire da sessuologa in film porno. Apparteneva a una classe e a una categoria molto distante da quella dei ragionieri, che anche a chiamarli accountant(s) sempre ragionieri sono; lei da sposata con l’architetto*** abita al piano più alto di un block parallelepipedale e perso per aria a pochi passi dalla prefettura, per dire, ascensore padronale dritto su all’appartamento,  per dire, ascensore fornitori dritto su in cucina, tutta attrezzata con mobili disegnati dal marito, architetto sì di nessuna fama ma piedi delicati in scarpette di chevreau su misura e una fortuna familiare di proporzioni quasi americane. Un matrimonio dinastico, perché anche lei quanto a fortuna eh bè da Napoleone in poi, signorina via Sant’Andrea Cappuccini prima della torre, Angó tessuti d’arredamento de luxe da sempre. L’Angó, dalla sonora risata, indifferente al formalismo dei circoli che frequenta per abitudine e dovere di classe, là dove, dagli uomini, è sempre stata considerata non capire niente di quello che le si diceva addosso ma rideva e bastava poi che uno via le si buttasse addosso che lei con un risata avrebbe dimostrato a un osservatore neutrale, posto a una distanza panoramica, di avere afferrato il senso del discorso e decretato così la sua fine. Eguali accorte risate usava con le donne specie le coetanee, sempre pronte a sputarle in faccia veleno vuoi molto vuoi poco mortale. Invidie. Rancori per uno smalto da unghie o una figlia ingravidata di traverso. Ella rideva, loro credevano che non avesse capito nulla e di più s’incazzavano, inette a trovare dopo il veleno un dardo che almeno la ferisse. Niente da fare, meglio di una santa-bastiana l’Angó offriva il petto antiproiettile alle frecciate e sorrideva serafica. Daje. Aveva l’attitudine della regina, l’ape. E a letto. Per sua stessa ammissione l’Angó godeva a letto come una trottola –  testuale – solo all’idea di farsi infilare, come la perla che si credeva, da pescatori diversi dal marito, che peraltro infilava una perla diversa da quella della moglie, la cognata in verità, architetto anche lei e di grazie effimere con cui condivideva lo studio. L’Angó trovò Adelfo irresistibile soprattutto per via della lingua lunga, e nel sedurre a parole e nell’avvincere insinuandosi senza parole tra la plica delle pliche. Lo presentò senza vergogna al marito, il marito intese, fece buon viso a un gioco noto, l’Angó decise finanziare quasi in toto il negozio con tutta la fornitura di inizio e l’architetto ne disegnò gli interni nel mentre che Adelfo infilava l’Angó a farla godere fin oltre le porte del suo Orione lassù in vista del muso di tinca. Adelfo a trombare si dilettava fin da quando aveva scoperto le sue prime erezioni ; le lunghe trasferte nei motel di provincia gli costavano poca fatica e tanto diletto, gli abili sotterfugi con la sua grassa signora nulla, le richieste di una camera alle due del pomeriggio in inverno in qualche albergo con laghetto artificiale sul retro non lo deprimevano. Era la solida attrezzatura dell’Angó a interessarlo e basta. Ma non basta.

4.

Lei, l’Angó la degustatrice che lo fa ballare l’Adelfo e lo porta a letto, ma adesso con giudizio, che ha il fiuto e non solo la vocazione del capitalista per lo sfruttamento delle risorse, finanziò interamente il commercio per, non di, Adelfo ; e fu lei a indirizzarne i destini verso lidi imprevedibili. Il talento di Adelfo, oltre la ragioneria che non rende, è nascosto tra le sue cosce, costa relativamente poco ma era un capitale da mobilizzare. L’Angò decise di metterlo a frutto con il ricco corteggio di amiche. Adelfo è insaziabile, non si stanca e ha tempi di ricarica che nemmeno un mitragliere su dall’alto di chopper celesti, gli piace l’iniziativa, una cortina di fumo sollevata dall’Angó lo distrae e illude di essere l’artefice della propria fortuna, si presta al mercato ma ci guadagna poco, a parte un godimento relativo trasformato in obbligo e il due per cento sui profitti al netto delle tasse non pagate, delle viste mediche e del viagra che, comunque, in qualsiasi pornografia è lo sprinter e la valvola di sicurezza. Non saprà mai a che cifra lo vende l’Angó. Esterno al proprio lavoro, è un alienato… il lavoro è esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito. (Karl Marx – Manoscritti economico-filosofici 1844)

E il negozio, ti verrà in mente di chiedere. Ah il negozio, per volere istesso dell’Angó, lo tiene in piedi la grassa moglie di Adelfo. L’Angó che ha mobilitato golosità e quattrini per farlo aprire e che di fatto e, a spulciare il contratto di affitto, anche de jure lo possiede, l’Angó se ne intende di tante cose e ha letto e interpretato nella grassa signora Adelfo il sogno della sua ingordigia, e ne ha spostato l’indirizzo, dalla pastasciutta al denaro ; un desiderio mediocre beninteso ma non meno corretto come propellente di vendita. Lei, la grassa che fa il grosso del lavoro, apre e chiude, spolvera, spazza e passa lo straccio ai pavimenti, come a casa perché non ha mai avuto una domestica, lei ora controlla e rifà gli ordini, consulta i cataloghi, sceglie gli articoli in base a giudizi del suo gusto di Barbie al rovescio ; e chiama i fornitori, bacchetta i fattorini con lo stesso spirito di una brava massaia : a volte chiude prima per andare a fare un po’ di spesa o per comprarsi un abito nuovo e più adatto al suo ruolo di negoziante. Adelfo, lui ci va ogni tanto in negozio, nei riposi che concorda col benevolo assenso dell’Angó ; fa i suoi conti, controlla i libri, è meticoloso, l’amministrazione è impeccabile, compila con cura le dichiarazioni dei redditi, perché qualcosa di regolare occorre che ci sia. C’è una poltrona nel retro dove Adelfo appunto legge e gli capita di appisolarsi. L’Angó lo passa a prendere in macchina per portarlo dove lui sa e suona il clacson, lui si desta, se dorme, appena un attimo prima che lei suoni. La voce del padrone. Allora esce e partono. So ist es im Leben.

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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