Pietropietrigno, tablado per voce sola e chitarre
La punteggiatura qui a seguire è assente o diradata o indicata da una maiuscola; chi legge, meglio se ad alta voce, immagini e prenda le pause e i fiati che gli servono: salvo specifica indicazione. Dunque…
Palcoscenico di un teatrino di provincia. Si accendono le luci, fisse, forti ma non abbaglianti, solari. Tre seggiole, due vicine in secondo piano a destra, una eventuale in primo a sinistra del centro. Entrano due chitarristi, siedono sulle loro sedie. Poco dopo entra la voce con incedere tranquillo e con una sua chitarra, la posa per ritto dove gli comoda e subito attacca senza effetto. Dizione ritmica, chiara, variata, sostenuta e molto attenta alle rime occasionali.
Benché il mito si sia rivelato falso è raro che un barilottino di grassino pancino beante in un cullino gneck gneck (imita il movimento di un passeggino supermolleggiato) o peggio che un faccino bocchino (ignora il doppio senso) musino devastato da un qualche morbo afro africano di quei che basterebbe un aspirina (rapido un broncio) non susciti un madrigale fatale flamenco ah ahi ahi (strappate in minore dei chitarristi) l’affetto giusto O, la tendenza a sottoscrivere un abbonamento a (canticchiando tanticchia sul tema del god save the queen) god save the children now lì seduta oppur ritta stante (pausa poi senza fermarsi se non per rubare fiati) Il bambino è la speranza dell’umanità si azzardano a dire le più pie tra le donne inclinate al presepe e i più commossi tra gli omassi che sostano dietro una qualche barriera spinata prontissimi a scannarsi senza sapere cos’ha di preciso lo scannamento da offrire mica pro patria mori por dios (fiato) ché ci vanno di mezzo la bella divisa subito al primo spritz de la batalla e poi le trippe (fiato) tripperia a volontà e fratture del coxo femoro crick crack patatrack (parodia un dolore intenso, zoppica prende la sua chitarra per stampella, i chitarristi fanno accordi di marcia funebre in maggiore) nel caso (sul tema della 5a del Beethoven) màma mamààà (singhiozzo, impugna la sua chitarra e accordo di chiusura) a natale a natale gli occhi si fanno (con accento veneziano) dò bèle bale rose e le panse grose grose de la bile a mile per smaltire le razioni di credensa in eccedensa pa’ servirla ecelensa (inchino) Fatta quest’indebita premessa saltiamo, piccioli piccioli picciriddri, alla parte succosa qui della messa (pausa misteriosa, sorniona, lazzo a piacere) Dunque (altra pausa con meno intenzione, afferra la chitarra, la accarezza e ne trae un accordo per l’intonazione, indi imitando il prologo de I Pagliacci stentoreo) Incominciàààmo (chitarristi ad libitum a chiudere. Poi, da qui a seguire marcando ritmo e rime di preciso come per un melòlogo o per un recitativo accompagnato o infine giocando a dialogare con la voce come in un flamenco)
C’era una volta e due e tre pietropietrigno così piccigno che maiuscolo in lettere farebbe ridere ridere a piovere e allora pietropietrigno per darvi l’idea di una statura più che bambino era topolino adatto a sfuggire alla catture Viveva pietropietrigno su un isolino canarigno o maiorchigno in mezzo al mare e vennero soldati da lontano su un barcone ché anche i soldati tendono a migrare ma mai una volta che affoghino e scesero a terra e anzi piantarono una bandiera di tre colori ma erano tutti vestiti di nero e stonavano marciando certe canzoni Li vedeva dai pertusi delle cantine pietropietrigno scannare gli isolani che non déssero dàssero loro il passo o che con loro non cantassero o che per soffiarsi la narice cavassero di tasca un fazzoletto rosso per caso oppure oppure che con loro non si unissero ai cin cin cin in onore di questa o quella per lor pari sono cioè tutte da violare Tutto questo vedeva spaurito pietropietrigno e non diceva gnente di gnente nemmeno quando toccò a sua madre di essere violata La guardò pietropietrigno negli occhi e mentre quelli le zompavano per sopra per davanti e per sotto e punf punf punf ahi ahi ahi Lei con gli stessi suoi occhi gli gridava scappa scappa pietropetrigno e non guardare perché se guardi questo mai potrai più guardar quello. Che cosa volesse dire la madre pietropietrigno non capì. Aspettò un anno non di più e quando la mamma sfinita dall’orrore gli morì (fa il gesto di chi culla) diciamo tra le braccine (serio) egli pietropietrigno che ormai aveva imparato a bastanza degli usi e costumi scostumati dei soldati assoldati lì lì per fare quell’isola feconda di nuovi neonati egli Egli prese la nave e partì per l’oltremare orizzonte ad oriente laggiù per la città di Gaudì. (pausa pensosa, forse accenna dei passi tra sé, proprio tra sé, come stesse ripassando, i chitarristi lo seguono)
Nella città di Gaudì c’era la guerra una guerra nuova. Confronto tra risentimenti infiniti e incarogniti sentimenti e altri soldati non neri non bianchi non verdi erano lì a scarrocciare per strada in città come fossero vele nel vento del golfo e i soldati erano belli e belle di una bella fascia color del più bel tramonto annodata sui fianchi o sul collo e gridavano no pasarán coi pugni levati per paura e per scàra (ruba un fiato) manzìa Li trovò belli e sfrontati pietropietrigno. Volle arruolarsi pietropietrigno e imparò questa parola arruolarsi per andare con loro alla battaglia (accenna il Barbiere di Siviglia) Bella cosa una battaglia ve la voglio or or mostrar (riprende) aveva sentito cantare una volta al paese un tenorino tenorio del teatro popolare e così si presentò all’arruolamento ma siccome lo dice il nome pietropietrigno era davvero troppo piccino per tenere in mano un bastone, una spada, un fucile nemmeno parlarne così tanto per farne un bel soldato gli diedero un berretto con una bella stella in fronte e gli rivelarono i segreti di una pistola cecoslovacca ma poi lo misero su un carro pieno di pentole in una cucina da campo La comandava quella carretta un omone pieno di barba e pelato e che parlava piuttosto serbocroato ma era gentile così tanto da ricordargli a pietropietrigno la mammina sempre assorta in cucina Partirono così a migliaia verso il fronte e pietropietrigno nel suo cucinigno con l’omone vide dal suo carro piovere le bombe a vedersi magnifiche rapide ed invisibili però orecchiabili ma la cucina non si fermava e l’omone fumava tagliava cucinava e gli parlava come si parla ad un gatto per lo tranquillare e la cucina a tutte l’ore bolliva per dar da mangiare ai bei soldati dalla fascia bella color del più bel tramonto. La battaglia mica per scherzo durò dei mesi infuriò si chetò poi di nuovo infuriò pietropietrigno passò del tempo sotto il suo carro ad aspettare che il fuoco e la furia fischiassero meno per mettersi a fare da mangiare L’omone gli contava ridendo Non avere troppa paura ché questa è solo una prova per vedere l’orrore fin dove che può arrivare e per non farsi fraintèndere non glielo disse in serbocroato Venne così il tempo in cui fu tutto perduto tranne l’onore si intende e sul suo carro pietropietrigno e l’omone via via con altri tanti tutti via via verso il confine mentre alle loro spalle i soldati quei neri e quei tricolorati gli correvano appresso ed era chiaro che da scherzare c’era né un poco né nulla Dalla faccia del suo omone pietropietrigno capì che a volere per tutti il destino era di essere ammazzati. Al confine arrivarono tirando il carretto ché almeno il mulo si riposasse ché gli animali sono sinceri anche nel faticare e morire e l’omone aveva dipinto sui fianchi e sul tetto del carro rossa lampante una bella croce rossa Così vide pietropietrigno per la sua prima volta com’era fatta una frontiera. Alla frontiera stavano altri soldati vestiti di blu e con una parlata diversa detta franca ma che di franco avere non aveva che poco o niente mentre i fucili e le baionette quelli sì sembravano pronti a cantare e l’aria e la canzone del tornatevene indietro. E sentire che male parole. Ma a pietropietrigno andò bene ché il suo omone caricò sul carro e chi zoppicasse e chi avesse la testa o una mano fasciata benché per un niente e a tutti levò la fascia bella color del più bel tramonto e si mise un camice bianco quasi sporco di sangue Si bendò la testa anche lui e la bendò a pietropietrigno e non provò nemmeno a rallentare mentre affrontava col carro la sbarra del confine continuando a sbraitare incantesimi in serbocroato I soldati blu con le baionette poggiarono a terra i fucili e fecero segno di passare A pietropietrigno sembrò che tra loro qualcuno sorridesse tra i più poveri non nei ghingheri dell’ufficiale co’ baffetti in comando Che però tacque al passaggio del carro portandosi la mano alla visiera in saluto (pausa pensosa, accenna dei passi tra sé come stesse ripassando un progetto, i chitarristi lo seguono dandogli l’ando, segue un piccolo intermezzo di bàile incisivo ma trasognato)
Passo passo il tempo passò tra un anno e un altro e pietropietrigno e il suo omone stavano nascosti in un paesino dove nessuno faceva caso se parlavano male la lingua locale perché tra i paesani quasi tutti la parlavano ahinói. Imparò pietropietrigno sotto padrone a fare col suo omone un mestiere strano che allora si diceva lo stampista cioè uno che sa fare gli stampi per fonderci i metalli più strani da farne per i motori coppe e cilindri e bielle e ruote dentate. A pietropietrigno il lavoro piaceva e più lavorava più dimenticava l’esatte parole quelle che la madre gli aveva dette Poi un giorno capitò che il terreno sussultò il cielo si infiammò il rivo che passava pel paese si arrossò ed era sangue. Capì al volo pietropietrigno che era in mezzo a una altra guerra. Di lì a poco presero a passare i carri armati che armati erano davvero e dietro pieni di soldati che cantavano in file ordinati certe canzoni battenti uno due e dette in una lingua irta di guglie e garguglie sottili come aghi da cucire o punte per tornire Il suo omone prese pietropietrigno in spalla e in una notte negra negra come una strega partirono per le montagne e su e su finché sentirono un fischio poi due e tre e capirono di si dovere fermare. L’omone scese pietropietrigno dalle sue spalle e uomini tre apparvero dal nulla del bosco indifferente alla lotta poi presero in silenzio a salire di nuovo salire fino a una casa a una stalla a un fienile cose nuove che pietropietrigno sapeva per sentito dire soltanto ché il suo era stato un paese di pescatori L’omone parlò con gli uomini ci furono smorfie e risate qualcuno diede a pietropietrigno una giacca e un bel fucile ben ingrassato e di pallottole grasso. Gli fu spiegato a pietropietrigno non al fucile che Guarda e impara così caricare, così mirare e sparare e Guarda di non sbagliare e i colpi a non sprecare. Così petropietrigno fu arruolato di nuovo e alla fine sparò che sparò a volontà per albe e tramonti sempre correndo e scappando e sbanfando per tutte le valli e foreste e pianure e altri monti e colline e fiumi e ruscelli e l’omone sempre appresso a parlargli dolcemente serbocroato finché non arrivarono in vista della ville lumiera dell’eifelle l’omino nella torre. Spuntarono carri armati e soldati da ogni parte e parlavano così da sembrare che masticassero o che sotto la pioggia stessero cantando e che diedero a pietropietrigno e all’omone cioccolata e biscotti e scatolette e ruvide pacche finché fu il momento di entrare in città per périferie e fùmisterie e gran fèrrovie e ponti e binari e altri spari in abbondanza (a piacere senza fermarsi) L’omone parlante serbocroato zing zing ad esempio cascò e morì lo si capì da come i suoi occhi volarono in aria a non guardare più niente di niente e pianse pietropietrigno. Ma poi quella guerra finì (i chitarristi suonano con vigore mentre l’attore cava di tasca una bandierina rossa ma pian piano, timidamente, senza levarla per aria a sventolarla e prende pian piano a ballare usandola come fosse mantiglia)
In quei dì di festa per caso pietropietrigno trovò una sartina guardò indietro intravide qualcosa un ricordo ma la chiese per moglie e la sartina disse che sì e andarono al municipio e trovarono un appartamentino vicino vicino in dove pietropietrigno trovò un buon lavoro a stampare ruote dentate bielle e coppe per i motori. Ce n’era un gran bisogno e dall’orizzonte smisero i rumori di guerra e le cose presero in apparenza la piega che tutti si attendono sia quella che va per la via giusta e tranquilla. Così che arrivò una bambina una bambina che di nome fece irina. Chiamala irina come la mia ma ma ma se avrai una figlia gli aveva detto morendo l’omone serbocroato. E pietropietrigno irina la chiamò non sapendo capacitarsi di quella strana avventura di una natura creatura che su dai suoi testicoli blandi tremanti su su su per le tube tubarum della sartina aveva prodotto un’irina. Guadagnava benino pietropietrigno da paparino viveva come poteva la moglie cuciva irina cresceva (si interrompe bruscamente poi tra sé domanda) Ohi ohi che sia questa un’happy ending (rallentando accentua il tono interrogativo) la conclusione felice. (riattacca come se niente fosse) Da una all’altra parte della gran ville lumiera d’eifelle tutto seni e golfi scorreva un fiume largo e panciuto come niente fosse successo e andava e andava senza mai voltarsi e non sembrava avesse voglia di fermarsi a guardare quello che cresceva sulle sue rive e fabbriche e nuovi palazzi e prefetture di polizia. A pietropietrigno piaceva in riva andarci a pescare. Uscì così di casa una sera pietropietrigno e con canna e con lenza sembrò strano alla sartina ma decise di non ci far caso e nessuno di quanti vivono d’uso sotto i ponti e lungo il fiume che così l’è più comodo per farci pipì capì come mai quell’omigno pietropietrigno in riva al fiume volesse pescare che cosa nel buio dell’acqua giù verde buio. Dopo alcuni secondi di attesa tutti videro pietropietrigno posare lenta la lenza e la canna poi di colpo buttarsi di sotto e benché sapesse nuotare egli non mosse né un dito né una mano né una gamba nemmeno la testa affondò aprì la bocca come per parlare ma solitario solo un pesce lo vide e non capì che cosa volesse gli dire. Così pietropietrigno morì.
Buio di colpo. Le chitarre si spengono
Eventuali applausi: si usa.
In testa illustrazione di Jean Cocteau per Les enfats terribles-1929