Ahi ahi ahi i nomi i nomi, Il mio nome per un cavallo di metallo… E che cosa mai se non una visione di sé stessi in bronzo su un cavallo di bronzo, oppure il desiderio di fare del nome un incantesimo, spinge dei cari genitori a incastonare in capo ai neonati nomi d’argento e avorio, Monaldo, Matilda, Atena, ma che al contrario del nero non vanno su tutto. Quando un Mario, una Maria, un Giuseppe, ne converrete più o meno simili a un codice a barre, non faranno però danni alla personalità del nascituro, non lo impegneranno a nessuna vetta del futuro, a nessun paragone se non con la bottega di parrucchiere o di fornaio, con la pizzeria per famiglie, facilitando così all’adulto in fieri l’ingresso en el mundo laboral: Mario pizzeria e pesce, Maria parruchiera donna-uomo, da Giuseppe pane fresco. Monaldo fashionable hair, Athena’s pizzas o Da Matilda pane e altro, squillano più come trombe di Gerico che inviti.
Pertanto quando i genitori-cari affibbiarono alla glaucòpide (→cfr.Wikipedia) neonata il nome Minerva, subito questa denominazione suonò di malaugurio a tutti nel contorno parentale, un eccesso, una contromisura come l’affrancare una busta con tanti di quei francobolli da coprire l’indirizzo e quindi impedirne la spedizione. Dunque piano piano sulla scia dei nonnini e zietti e vicini-cari di condominio, Minerva molto prima che a qualcuno venisse in mente di chiamarla cerino, divenne per tutti Minervina; e passarono gli anni. Poi ci fu l’incidente del termosifone.
Accadde in una cupa mattina di gennaio sul finire delle feste di Natale quando incombono non finiti i compiti per le vacanze e la necessità di tornare alle aule stonate e fredde si scontra con il desiderio di vivere per sempre nel tepore di casa come un gatto sul termosifone, anzi con un gatto come termosifone. Questo per chi ha tepore di casa, di gatti e di termosifoni. Morale, la mattina del rientro a scuola Minervina si destò con la miracolosa sensazione della febbre e di un groppo alla gola che annunciava al suo desiderio per lo meno una tonsillite. Ma per non destare i soliti sospetti non si abbandonò all’entusiasmo del lettino tiepido; si trascinò anzi in bagno, si lavò e vestì in fretta comme d’habitude, passò in cucina per la colazione e qui, attaccandosi il suo tazzone, detto mug, di caffellatte, dopo alcuni secondi allestì il teatrino del mi-fa-male-inghiottire; sgranò la voce, la perse quasi, portò la mano alla gola per meglio chiarire le sue intenzioni e poi lasciò che la mammin-cara-e-diffidente scrutasse le sue tonsille. Ahhhhh ah niente, ahhhh ah nessuna placca di pus a confortare la necessità di restare a casa ma un, Misuriamo la temperatura aprì di colpo se non un finestra un oblò alla speranza a Minervina. Passò vari strati di vestiti per cacciarsi ben bene il termometro sotto l’ascella e con l’intenzione di dar a intendere che il freddo e i brividi di febbre l’attanagliavano, si strascinò su una seggiolina accanto al termosifone di cucina e vi si accoccolò; in un attimo le fu chiaro che, espressione dell’inconscio, la sonda del termometro da sotto l’ascella, da sotto maglie e magliette e maglioni spuntava dritta contro il metallo caldo. Dopo cinque minuti il termometro segnò 38 e di loro volontà i bronchi diedero segni di tosse: fu chiamata la pediatra. Minervina fu rimessa a letto e concessa di sonnecchiare ancora e di miagolare come una malatìna, e di tenere mammina-cara a casa dal suo lavoro all’ufficio anagrafe comunale; coccolata infine in ogni maniera con biscottini imburrati e miele e teìni caldi in bustina. La pediatra meditò e prescrisse cinque giorni di malattia e diede un nome a quel malessere: broncotracheìte. Babbino-caro, come spesso succede, dal frangente fu eclissato e allora qui non se ne parla.
Da quell’esperienza a Minervina parve di trarre un insegnamento utile e imprevisto: al bisogno e con un po’ di sagacia e qualche po’ di esperienza avrebbe potuto imbastire insieme sintomi semplici e tali da ingannare persino la pediatra. Salvo che questa non avesse capito tutto e prescritto l’atteso prolungamento di vacanza. Minervina si concentrò sull’efficacia del sortilegio che era riuscita a improvvisare con una minima fatica per non dire con incoscienza: si accorse di poter produrre ottimi colpi di tosse e a sera la natura la aiutò provvedendola di catarro. Il mattino dopo non fu necessario il trucco del termosifone per lasciare che le febbre si manifestasse al termometro: 38 38.3 38.1. 37.9 che con quel 9 decimale fece piuttosto colpo sulla benevolenza di mammina-cara. Due giorni dopo in casa fu pronunciato il nome feticcio, Antibiotico; e l’accorta pediatra decise per altri cinque giorni di riposo e terapia. Mi farò mandare i compiti da… annunciò Minervina attenta a mostrare il distintivo dell’amore per il dovere.
Passa un giorno passa l’altro, recita un vecchio poema ridicolo, e infatti un giorno dopo l’altro Minervina passò per diverse fasi e opzioni terapeutiche; oltre gli antibiotici furono messi in opera prima i suffumigi di bicarbonato sul pentolino, poi l’aerosol di acetilcisteina e glucocorticoide, poi il complesso multivitaminico, poi le tisane di echinàcea; nella preparazione del cibo, visto che era lei la cuoca di casa, mammina-cara decise di abbondare con aglio e cipolla. Minervina fu costretta pertanto a rinunciare all’idea di potersi trasformare in gatto e, per quanto a quel punto trimpellante sulle sue magre gambine, in una brutta mattina dovette rifare i conti con l’attesa alla fermata dell’autobus per la scuola, poi con l’odore di arancia sbucciata e candeggina della scuola, poi con i compagni, molti dei quali starnutivano e tossivano e forse chissà avevano qualche linea di temperatura ma meno babbini-cari. Come gli dèi volsero, l’anno scolastico giunse alla fine.
Ma riprese. Con implacabile determinazione nel giro di una breve quanto torrida e secca estate, il settembre fu plumbeo talvolta ma raro di pioggia; genitori-cari si lamentavano delle giornate in cui il barometro tentava di scendere sotto i 1013 ettopascal nel timore che il cielo si sgravasse dando luogo a quello che per tutti nel condominio era bruttotempo. Nei rari casi di pioggia tiepida, fina ma breve, ad esorcizzare la possibilità di un cambio di temperatura e la sorpresa di eventi atmosferici, mammina-cara usciva egualmente con i suoi bei piedi dalla unghie dipinte nei sandali, gli stessi di ordinanza pel mare di ordinanza. Passarono così ottobre e novembre, gli eventi si manifestarono con sporadica fermezza e poi, in men che non si dica Minervina, al paro con quei naufraghi di un sistema tanto più grande di loro come un mare, approdò alle vacanze di Natale, dimenticò i compiti, passò la boa di un altro anno, prese a contare le ore che mancavano al ritorno a scuola senza avere la forza di accettare l’ineluttabile. Ma si ammalò.
Non fu un male imprevisto. Durante un intera giornata Minervina passò il tempo a ricordare i sintomi del passato malessere, dell’anno prima, a definirne con l’immaginazione i contorni a chiamarli con il nome che li evoca: broncotracheite. Passò altro tempo a documentarsi al computer. Imparò i termini necessari e, per l’abilità tutta femminile di essere streghe anche meglio che in una campo di Scozia, li gettò nel calderone – fire burn and cauldron bubble – di un rinnovato incantesimo. Non voleva interrompere l’estasi delle vacanze, voleva essere gatto sul termosifone o meglio ancora, s’è detto, avere un gatto per termosifone. Il gatto non c’era in casa ma a Minervina bastava l’immaginazione per sentirne la presenza accanto a sé con la testina sul cuscino. Un giorno prima del termine delle vacanze, al risveglio percepì un insieme indeciso di malesseri. Uno spillo le passava per la gola, una pinza le stringeva la fronte tra le sopracciglia, un ferro da stiro le pesava sul petto, eppure eppure non fece fatica a bere il caffelatte, non fu presa da starnuti e nemmeno da tosse. In realtà si sentiva piena di forze, decise di misurarsi la temperatura senza trucchi né inganni. Il termometro tacque.
A sera tuttavia arrivò la tosse e con lei uno strano male al petto. Mammina-cara ricorse al termometro che questa volta fu eloquente e denunciò la febbre: 38.5. Minervina ebbe l’impressione di respirare a fatica. Afferrò per i capelli questo sintomo e lo rinfocolò. Lo pregò muta e per quanta forza aveva in corpo di non andarsene, di peggiorare per quanto possibile, senza strafare. Quanto Minervina temeva di ammalarsi sul serio, perché diciamolo ammalarsi è una seccatura se si è troppo malati, tanto lo voleva senza volerlo. La pediatra ordinò però una rx, o radiografia, del torace, C’è qualcosa che non mi piace, Minervina le sentì dire in segreto a mammina-cara. La rx al torace fu fatta con mille accorgimenti contro il freddo e intanto in quel giorno si saltò la scuola. E anche il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Minervina accarezzava il proprio malessere, consultava il computer e si diagnosticava l’asma, la polmonite, la pleurite, la broncopneunopatia ostruttiva o BPCO, la tubercolosi. Ne evocava il nome, appunto come una strega sul calderone, e all’evocarne il nome sentiva crescere in sé il male con una gioia incomunicabile. Poi arrivò l’esito della radiografia: polmonite. Minervina non stava bene ma fu beata quando le fu comunicato che occorrevano antibiotici, riposo, e una non calcolabile vacanza da scuola. Poi a furia di richiamare e nomi e nomi e nomi sul computer successe l’irreparabile: nonostante gli antibiotici la polmonite stentava a guarire. Fu deciso il ricovero, Minervina pensò che poteva benissimo trattarsi di pleurite. E così fu. E la pleurite resistette ai trattamenti e si insinuò nel sangue e, come previsto divenne sepsi. E la sepsi… ma a quel punto Minervina non aveva più nomi da rimescolare nel suo immaginario calderone. E morì.