La mimesi nasconde mimetismo, dissimulazione, simulazione, menzogna infine, nonostante noi tutti si somigli al camaleonte o all’insetto stecco, baccillus rossius, l’ostacolo maggiore in ogni investigazione è la menzogna del travestimento e tutti mentono un po’ : per necessità, per proteggersi o difendersi, un po’ perché è proprio dire il vero, al contrario della bugia, a comportare una sorta di distorsione della lente che ciascuno adatta al reale.
Fu il babbo ad affibbiarle quel nome, Carmilla, come la Carmilla di Le Fanu di cui il babbo, tra gli altri scrittori di mistero e orrore, di Saragozze e miti di Cthulhu, era assiduo lettore. Il babbo non era altro che un beato, ingenuo appassionato di quel genere letterario ed è probabile che quelle letture d’oltretomba fossero il suo modo di sfuggirne o, al contrario di tenersene vicino, come per un si-sa-mai, ovvero per scaramanzia. Per il resto il babbo, il nome non conta ma si può dire, Pioverne, nome impossibile ereditato da chissà quale errore di trascrizione all’anagrafe, e che non fu mai possibile correggere per difetto dell’anagrafe stessa incapace di ritrovarne l’origine sicché Pioverne fu e Pioverne rimase, per il resto, il babbo era un piccolo impresario di sé stesso : partito con un Treruote usato a fare da solo piccoli traslochi e rifornimenti di negozietti paesani su per i bricchi del circondario di colli e monti e passi e forcelle, era arrivato senza concorrenti a una piccola flotta di furgonette e autisti guizzanti per tutte quelle stesse contrade. Pioverne, a non prenderlo sempre per babbo, Pioverne aveva la testa sul collo e senso della misura e degli affari, non desiderava il troppo né il troppo poco e alla famiglia – dalle gite domenicali in Treruote, Carmilla e la moglie ( nota per il suo francese originario) sedute dietro sul pianale, il capo avvolto in grandi fazzoletti – riuscì a offrire via via sempre di più con ponderate economie : vacanze al mare o ai monti, l’acquisto delle scarpe per il solo gusto della novità non del bisogno, concessioni alimentari esotiche, ogni mese e in ogni occasione propizia un pranzo al ristorante, gli studi di Carmilla fino all’Università, i suoi libri, i libri che amava, senza limitazioni di spesa. Con sé stesso Pioverne non aveva indulgenze di nessun tipo. Faticava e guadagnava e capitalizzava come un piccolo signor Buddenbrock. Oltre agli autisti Pioverne aveva a libro paga una segretaria e un amministratore, di fiducia. Così di fiducia che un brutto mattino il tipo non si presentò al lavoro. Lo si cercò, lo si telefonò, lo lo lo, nada, sparito, pare in aeroplano dal nanometrico aeroporto locale, ma è una diceria senza riscontri probatori. Sparito con lui, come parve ovvio, il capitale accumulato con tanta fatica e abnegazione da Pioverne. Sicché pagato il personale con i propri risparmi e con il deposito sul libretto vincolato di Carmilla, al poveretto non rimase che un buco nero sul bordo del quale spencolarsi in attesa di esserne risucchiato.
Carmilla, giorno di diluvio, da allarme della protezione civile, da pericolo di inondazione localizzata ma improbabile lassù, sul colle dove sorge ***, cittadina di mattoni rossi e suo luogo di nascita ; Carmilla , ore 7 e 35, uscì da casa con destinazione edificio dell’Università-dip.to di Filosofia, con ai piedi le sue galosce alte al ginocchio ma senza ombrello, cappuccio della mantella mimetica inalberato contro i venti e la tempesta e, attenzione, al passo col suo gusto per l’acqua, scendesse a secchiate o battesse argentina sui tetti . Di questo gusto, su questo piacere, mistero ; ormai adulta e nel pieno del suo periodo analitico, Carmilla ne approfittò per aggrovigliarsi dentro le interpretazioni, scansando l’unica conclusione plausibile ovvero che si trattasse di una scelta e che realisticamente forse stupida : l’azione di evitare il plausibile ha spesso lo stesso sciocco e banale movente dei delitti; ma l’esecuzione se appena appena uno ne ha il talento, ah l’esecuzione è da leccarsi le dita ; guarda Hitler cosa inventò da un titoletto banale ma di impatto iperbolico, Mein Kampf.
Il capo grondante verso terra come la pioggia e con un accenno dei bei ricci neri scappati da sotto al cappuccio della mantella, Carmilla attraversava la bufera con la calma olimpica di un capitano coraggioso, riparandosi sì ogni tanto sotto i portici, che non mancavano nella cittadina, o altrimenti negli alti androni carrai dei palazzi signorili (non pochi non rari) finché, completando la metafora dei capitani ma anche per dare l’idea di quanta acqua si scaraventasse al suolo in quella mattina, gettò per un poco l’ancora nella piazza dei mercanti, al coperto dell’omonima loggia, proprio in faccia alla torre comunale detta dell’orologio, imponente macchinario zodiacale questo, dal quadrante blu lapislazzuli e con sfere e cifre dorate, tutto in contrasto con il rosso mattone della torre stessa e, come ti ho detto, di tutta la cittadina. Sotto tutti gli strati di lane e cotoni con cui si copriva d’abitudine, lo stesso il freddo toccava, per non dire pungeva, la pelle di Carmilla, ma con lo sguardo che volgeva intorno e col portamento, lei fingeva benissimo di avere il controllo del mondo, quasi meglio dell’orologio; i passanti al vederla così nel suo naturale – fiera ed altezzosa – tuttavia rallentavano, non tutti, alcuni e donne in prevalenza, mossi chissà da qualche intenzione soccorritrice cui non però davano corso ; un tale invece – da segnalare come probabile orco – le offrì un posto sotto il suo enorme ombrello, Vado anch’io nella sua direzione, disse come se potesse aver indovinato o sapere quale fosse la rotta di Carmilla. Ottenne il tipo per risposta, prima un tranciante rifiuto, Aspetto la mia amica, e dopo un intervallo artato di tempo, un’occhiata di… un’occhiata trapanatrice, aggiungere alla quale un grazie di convenienza sarebbe stato inappropriato come rilasciare una licenza di illecito.
Ed ecco, al primo rintocco delle otto, blu nel blu del suo quadrante, si aprirono a scatto due porticine e, a rappresentare l’operosa specie umana, nel vano della prima apparve e prese subito a girare verso l’altra e lungo una mensola alla base dell’orologio, un corteo di meccani : il giullare agitando a scatti un sistro, il contadino simulando la semina a spaglio, il grosso borghese che si scappella (il capo), il re incoronato che leva lo scettro, il guerriero a cavallo alzando la lancia – shaking his speare – il ciompo che dà di martello su un’incudine; la pia donna battendosi il petto in nomine patris et f. et s.s. ; il porporato benedicente e ultimo infine e solitario, uno scheletro ; appena più grande delle altre figurine, il teschio ornato da una corona brillante, spuntava tutto tibie e omeri da un abito di frustoli, e con la falce, suing suang, sfalciando con un colpo a sinistra con un altro a destra : la morte insomma. Carmilla attese che quel portentoso marchingegno cinquecentesco, esemplificazione ecumenica di una società priva di coscienza e dunque della lotta di classe, si fosse ritirato dietro il mistero della seconda porticina e subito dopo avanti marsch, varcò con mentita indifferenza l’immensa pozzanghera che sciaguattava al centro della grande piazza; un’onda le salì su per le galosce, volesse quasi gorgogliarle dentro il gambale ma niente, avanti avanti così; e cammina e cammina la cappuccetta mimetica si ritrovò davanti al portone della facoltà, erano le 8 e quindici minuti. Nel corso della mattina a lezione, Carmilla fu attratta più dall’abilità della pioggia nel cambiare direzione secondo il vento e l’insieme di leggi fisiche che la obbligavano contro i vetri dell’aula in modi regolati dall’irregolarità, più dal fenomeno naturale dunque che dall’evento artefatto del docente intento a citare ampi brani di Heidegger, ora sì ora no direttamente in tedesco, ma storpiando la Ü di Zürich nella IU di iunior. Eh bè. Alle 12 la pioggia battente si trasformò in pioggerella, sempre bella agli occhi di Carmilla che perse tempo in chiacchiere con dei colleghi al caffè di fronte alla facoltà. Chiacchiere di cui poco dopo non avrebbe potuto ricordare né il senso né l’argomento. Carmilla con metodo non dava retta ; le parole in corso le scivolavano via per solito come, da bambina, lasciava con piacere che il mare le scivolasse via tra le dita dei piedi sulla battigia. Ora un aggettivo, ora a un’espressione spersa toccavano per solito la sua sparsa attenzione e si dileguavano come di notte su una strada di campagna i fari altrui ti colpiscono e ti superano. Così in quel caffè affollato di spritz e patatine, a catturarla fu ora una mosca sul bancone plastico del bar, ora la disposizione delle paste non consumate nell’espositore di vetro, ora il triangolo di pelle scura sotto il bianco della camicia aperta sulla gola del barista giovane e bello che la osservava senza pudore, sullo sfondo della grande Faema alle sue spalle. Carmilla non per caso sembrava a tutti sempre a qualche metro di distanza, come in Las Meninas, di Velasquez il proprio ritratto da dietro il cavalletto ; o come un’Euridice sospesa.
Ci deve essere un’elaborata serie di calcoli e riflessioni o al contrario di impulsi istantanei a far scattare la molla di una decisione radicale, forse assai più facile per una balena che per un mammifero dal pollice e dai dubbi opponibili. Insomma delle somme dopo, in quel pomeriggio di pioggia persistente e leggera, Carmilla, chissà avvisata da un presentimento, da un’intuizione, da un’ansia, dal caso, fu lei a ritrovare il babbo strangolato all’un capo di una corda passata all’altro capo pel trave di colmo del solaio, stabile d’epoca nel centro storico. A poca distanza da una seggiola utilizzata come trampolino, i piedi di Pioverno oscillavano lievi da terra a indicare, sapendone leggere il moto, la rotazione di tutto il caseggiato con quella del globo. Ora d’altra parte, occorre proprio evitare di forzarsi a fantasticare, dedurre e dunque a credere che da quello shock funebre in avanti, anche Carmilla avrebbe potuto appendersi a qualcosa, al suo personale spettro del padre, magari non sugli spalti di Helsinore ma sulla terrazza più modesta ma non meno pittoresca col suo giardinetto all’italiana del locale ex palazzo ducale e ora pinacoteca comunale. Perciò e per allontanare il vizio di precipitarsi su una diagnosi amletica quando ancora manca un quadro di sintomi danesi, ecco qui quel che è sicuro, cioè che quella scoperta lasciò a Carmilla le cicatrici dei differenti colpi ricevuti, e poi al riflettere sull’idea dell’impiccarsi e sull’atto e sulla causa. Il poveretto non aveva usato l’antico accorgimento per giustizieri e giustiziati di nascondersi in qualche modo il viso con cagoule o cosa ; una trascuratezza verso la sensibilità degli spettatori, così che a impressionare Carmilla fu per tanto il volto ; il volto che del padre vivo lei riteneva pieno di fascino, da attore inglese, il tratto ossuto, la chioma spigliata e una barbetta tra il voluto e il trascurato di un nero, non mefistofelico ma soave, lo stesso dei soavi e neri e ricci e bei capelli di Carmilla. Così senza maschere, quel volto le parve caricatura senza originale di riferimento ovvero maschera in sé.
Uno spavento, avrebbe scritto molto più avanti e nel francese di sua madre, Toutefois, pas parce qu’il fut horrible ; bien que dans le tableau d’ensemble, il y eût une ambiance terrifiante, lui, il était “morto fresco” et donc… Mais, parce que d’un coup tout cela me flasha comme un instantané de la vérité. (Tuttavia, non perché fosse orribile; anche se nel quadro generale c’era un’atmosfera terrificante, lui era “morto fresco” e quindi… Ma, perché improvvisamente tutto questo mi appassionò come un’istantanea della verità. Carmilla Rossini, Cahiers francs – S.A.éditions pg. 99 Paris 2015). Tra tute bianche e divise blu nel buio del solaio, ci fu da staccarlo il babbo – una deposizione come quella di Rosso Fiorentino a Volterra, ma in blu – e liberarlo dalla robusta fune, l’ormeggio che lo legava alla vita della figlia; lei, che in quel periodo leggeva molto e di tutto, saltabeccando tra Marie Claire e Paul Celan, non indovinò da nessuna letteratura se l’andarsene in quel modo, quell’abbandonare il palcoscenico chiudendosi à tout jamais la porta antincendio alle spalle, fosse stato il gesto perplesso o smarrito di chi, nel bel mezzo di un banchetto lo avesse lasciato chissà se per disgusto, per tedio o sazietà; la domanda non avrebbe potuto ottenere una risposta, non una soltanto. Carmilla mai seppe darsi conto di come lì per lì ebbe la pietà d’assistere ai rilievi giudiziari e replicare alle domande un po’ carta moschicida della polizia, di prender atto dei tira e molla per fissare con cinghie nere alla lettiga il sacco di plastica nera che era diventato suo padre ; e quindi alla lenta, cautelosa discesa per le scale della casa, tra coppie e capannelli di vicini ammutoliti dalla circostanza ma che – si legge ancora ibid. in Carmilla – mi parevano visitatori di un acquario incollati al vetro che li proteggesse da noi squali epitomi, la corsa all’obitorio fu un sollievo. A casa mi schiantai sotto la doccia, consumai una saponetta nuova. Dopo mi deposi da sola nel letto e c’erano tre persone in quella stanza : quella che osservava, quella che faceva, quella che si sarebbe di lì a poco addormentata sotto una coperta scozzesa. In apparenza però tutto mi passò sopra, come da piccina al mare, quando sulla battigia a pelo d’acqua stesa, lasciavo con gusto che gorgogliando mi sommergesse lieve l’onda, prima di ritirarsi da dove era partita; l’onda che mai è la stessa tuttavia. Detto più o meno così e in epoche diverse da Eraclito di Efeso e Franco Battiato.
Molto tempo dopo, dopo un mestiere e benefici di quello acquisiti ma di nessuna importanza ai fini del finale di questa storia, dopo e in un’altra città, città di mare per sicuro e lontana assai da ***, in un mattino di mezzo autunno e con enormi quantità di nuvole che si accumulavano per aria in vista di un temporale che da lì a poco sarebbe scattato, Carmilla uscì senza preavvisarsi di casa, svicolò per le stradette rapide della città vecchia fino ai giardini del quartiere, oltre l’area giochi per i bimbi, oltre una via di belle villette fino al faro immenso che decretava il confine urbano, fino alla scogliera altissima che si ergeva su dall’oceano in tumulto. Cominciò a piovere. Carmilla si fermò lì come un’Euridice sospesa.
L’immagine di apertura è di Nigel van Wieck – Coat-check girl