
Autore: Silvestrin Tiziana
Data di pubbl.: 2011
Casa Editrice: Scrittura e scritture editore
Genere: Giallo & Thriller
Pagine: 293
Prezzo: 14.50
Siamo alla corte dei Gonzaga a Mantova, nel 1585. L’architetto Oreste Vannocci viene trovato disteso sul pavimento, riverso sugli attrezzi e sui colori del mestiere. Non ci sono segni di effrazione, ma il capitano di giustizia Biagio dell’Orso non ha dubbi: si tratta di omicidio. Ma chi mai poteva desiderare la morte del Vannocci, benvoluto a corte ed in città? E, soprattutto, cosa voleva comunicare l’architetto tracciando, negli ultimi istanti di vita, dei segni neri sulla piantina di un palazzo?
La morte dell’uomo porta Biagio dell’Orso ad indagare sui personaggi che ruotano intorno alla corte, muovendosi tra Mantova, Venezia e Firenze; gli avvenimenti fanno riemergere un antico mistero legato al pittore e architetto Giulio Romano, l’autore del Palazzo Te voluto da Federico II Gonzaga.
La vicenda, infatti, si dipana su due filoni temporali differenti seguendo alternativamente le indagini del capitano di giustizia e le vicissitudini dell’artista Giulio Romano, vissuto circa sessant’anni prima.
Intrighi politici, amore per l’arte, fanatismo religioso, alchimia e magia nera: sono molti gli ingredienti del mistero che Biagio, uomo affascinante e di saldi principi, dovrà riuscire a svelare. Il tempo, purtroppo, non è dalla sua parte: mentre indaga, infatti, una giovane fanciulla innocente è accusata di stregoneria, e il capitano dovrà fare di tutto per salvarla dall’Inquisizione.
Un intreccio avvincente, ma soprattutto un’accurata ricostruzione storica che permette al lettore di calarsi nel rinascimento mantovano, facendo la conoscenza di personaggi e artisti dell’epoca, come Giulio Romano che fu il miglior allievo di Raffaello Sanzio . Pittore, architetto e artista poliedrico ci ha lasciato in eredità numerose opere: dal suo difficile rapporto con il prepotente Federico II Gonzaga è nato Palazzo Te, un grandioso edificio protagonista anch’esso del romanzo.
Punto di forza di questo giallo rinascimentale resta, a mio avviso, il connubio tra arte, storia e narrazione. Noti avvenimenti storici quali il sacco di Roma, i difficili rapporti tra l’imperatore Carlo V e il papato, l’Inquisizione, la corruzione e il potere delle grandi casate dei Gonzaga e dei Medici, “ricordati che nel mantovano sono io che comando, giudico, condanno oppure assolvo” (p. 238) ribadisce Federico II, fanno da cornice alle vicende narrate, mentre l’arte, nelle sue diverse forme, occupa un ruolo privilegiato. Le nobili famiglie dell’epoca, infatti, avevano un gusto raffinato, celebrato dall’autrice con le citazioni di opere famose e con la rievocazione dello sfarzo e del gusto di quel periodo.
A questi elementi si aggiungono la vicenda misteriosa che, seppur a cavallo tra due epoche, risulta scorrevole e avvincente, e i personaggi ben delineati, tra i quali spicca il capitano di giustizia Biagio dell’Orso: onesto, solido e affascinante è sicuramente un protagonista al quale affezionarsi.