Autore: Tarashea Nesbit
Data di pubbl.: 2014
Casa Editrice: Ponte Alle Grazie
Genere: Testimonianze
Traduttore: Maurizio Bertocci
Pagine: 235
Prezzo: 15,00
La scrittrice Tarashea Nesbit nativa di Deyton, una delle località meno conosciute del progetto Manhattan, esordisce con questo romanzo in cui da voce a tutte le donne che vissero, nel deserto di Los Alamos, gli anni che portarono alla creazione della bomba atomica.
La storia si svolge nel deserto di Los Alamos durante i tre anni, dal 1943 al 1945, in cui scienziati americani ed europei crearono la bomba atomica, ma il punto di vista non è degli scienziati o dei militari, ovvero di chi fu parte attiva di quegli eventi, ma di tutte le donne che vissero insieme ai loro mariti quegli anni critici e decisivi per la storia del genere umano.
La narrazione parte nel 1943 quando un uomo, probabilmente un emissario del governo americano od un militare, rivolge a molti scienziati la proposta di collaborare ad un progetto segreto. Questi scienziati che provenivano sia dall’America che dall’Europa partirono all’improvviso per un luogo sconosciuto portando con sè le loro mogli le quali erano ignare di tutto. Le uniche cose che queste donne sapevano e che sarebbero andate ad un enigmatico e generico “Ovest” e che durante il loro soggiorno in quella località non avrebbero potuto comunicare nulla nè ai loro parenti nè ai loro amici.
Le protagoniste di questa avventura che per certi versi ricorda i primi pionieri che lasciarono tutto per cominciare una nuova vita nelle terre selvagge dell’Ovest è caratterizzata dalla segretezza. Nelle loro case vigeva il massimo riserbo, i mariti infatti non parlavano quasi mai del loro lavoro, le comunicazioni fra le donne e le loro famiglie erano vagliate dalla censura militare ed infine anche le donne che avevano un certo ruolo nella costruzione della bomba erano a conoscenza appena di una minima parte. Tutto è avvolto nel mistero ed ogni cosa è chiamata con una parola in codice, il progetto è chiamato “Gadget” quasi per dare un’aspetto piacevole alla creazione devastante che i mariti stavano costruendo.
Un altro aspetto è la vita difficile che queste donne hanno vissuto a Los Alamos. Le protagoniste di questa storia hanno dovuto lasciare un lavoro, una casa comoda, gli affetti famigliari, delle relazioni sociali per ripartire da zero nel deserto. In questi tre anni hanno vissuto in case prefabbricate, ogni genere di necessità era razionato e gestito dai militari, mancava spesso l’acqua od era sporca, gli spostamenti erano limitati e le comunicazioni controllate, infine all’inizio mancava qualsiasi tipo di edificio, dalla scuola per i figli, ad un ospedale, ad ogni negozio senza pensare minimamente ai locali che erano soliti frequentare nelle loro città d’origine.
Credo che la bellezza di questo libro sia la freschezza di una narrazione che in poco più di 200 pagine riesce a cogliere ogni aspetto della vita di queste donne nel deserto di Los Alamos. La scrittrice riesce a far parlare chi apparentemente sembra essere dietro le pieghe della storia e la sua narrazione, svolta attraverso un particolare uso dell’io plurale, permette al lettore di vedere le variegate reazioni di queste donne all’esperienza che stavano vivendo.