
Autore: Eichengreen Lucille
Data di pubbl.: 2012
Casa Editrice: Marsilio
Genere: Saggi, Storia, Testimonianze
Traduttore: Enrico Buonanno
Pagine: 147
Prezzo: 14
Pensai spesso a lei, e mi augurai che avesse trovato una vita migliore, una vita più facile, senza fame, senza deportazioni, senza morte.
Lucille ha otto anni quando Hitler sale al potere.
Ne ha venti quando la guerra finisce e gli alleati liberano i prigionieri dai Lager.
Avendo la sfortuna di essere nata ebrea in una città tedesca, Lucille passa dodici anni all’inferno, sopravvivendo miracolosamente al ghetto di Lodz e al campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, e ai campi di concentramento di Neuengamme-Dessauer Ufer e-Sasel e Bergen-Belsen.
In questo libro sono raccolti i ricordi di una ragazza che, a diciassette anni, aveva già visto in faccia la morte innumerevoli volte.
Privata della madre, morta di fame a Lodz, e della sorellina, deportata con altri bambini, Lucille sceglie però non di raccontare ciò che tutti abbiamo visto e letto milioni di volte. O, meglio, l’autrice parla, sì, delle atrocità della politica hitleriana, ma lo fa da un nuovo punto di vista, attraverso occhi che nessuno aveva mai preso in considerazione, attraverso voci che nessuno aveva mai ascoltato. Gli occhi e le voci delle donne dei Lager.
Tutte quelle che sfilano lungo queste pagine cariche di dolore e rabbia sono donne realmente esistite, ebree e tedesche, che hanno provato e causato dolore, che hanno dato e patito la morte.
Una testimonianza viva e vibrante, quella offerta da Lucille Eichengreen in un libro che ogni donna “fortunata” nata nel mondo di oggi dovrebbe leggere. Per capire che, oggi, perdere le speranza sarebbe un affronto e una mancanza di rispetto per quelle donne coraggiose e forti che la loro, di speranza, sono riuscite a conservarla persino all’inferno.
Molti anni dopo, per caso, incontrai la dottoressa Gisa a New York. Ora esercitava presso il reparto maternità di un ospedale. Non parlammo subito del passato.Ci guardammo l’una con l’altra in silenzio, ripensando entrambe ad Auschwitz, a Sasel e a Bergen-Belsen. Fu lei a rompere il silenzio: “Faccio nascere i bambini. Sento che, dopo Auschwitz, Dio mi deve queste vite; dei bambini sani; dei bambini vivi.”