
Autore: Daria Bignardi
Casa Editrice: Mondadori
Genere: Romanzo
Pagine: 252
Prezzo: 18 euro
Una madre, Alma, con un suo segreto di ragazza. Una figlia, Antonia, detta Toni, che solo mentre aspetta un figlio scopre quel mistero che accompagna la sua famiglia. E che, scrittrice di gialli ambientati nella provincia emiliana, da Bologna si sposta a Ferrara, città natale della madre, intenzionata a scoprire che fine ha fatto suo zio. Marco, detto Maio, diventato vittima, negli Anni Settanta, appena adolescente, della droga. E scomparso trent’anni prima. Mentre in giro c’è una partita di eroina tagliata male che miete vittime, lui scompare, non lasciando alcuna traccia di sé.
Il viaggio di Toni per capire qualcosa su questo mistero che ha segnato inesorabile una discesa verso il dolore senza ritorno della famiglia di sua madre, diventa non solo “indagine”. Ma, soprattutto, percorso dentro di sé. E dentro qualcosa che dovrebbe far parte della propria vita e che invece scopre essere un interrogativo aperto e inquietante.
“L’amore che ti meriti” è il quarto libro, terzo romanzo, di Daria Bignardi. Romanzo che, con la storia, ci consegna anche una riflessione forte: l’amore come forza creatrice e distruttrice al tempo stesso.
La narrazione si svolge in prima persona, ma alternando due punti di vista, due racconti nel racconto, affidati ora a Toni, ora ad Alma. Presenti o che si aggrappano a flash back. E che si muovono su una Ferrara che è descritta nitidamente, che si ritrova a ogni passo, a ogni parola, a ogni squarcio. Una Ferrara i cui ritmi, dice Toni, sono “diversi da quelli di Bologna. Qui sembra tutto più lento ma anche più indefinito”. Ma che, a ben guardarla, diventa luogo dove accade tutto. Diventa ritmo che coinvolge Toni sino a trovare la risposta che cerca. Una Ferrara bella e misteriosa, che richiama Bassani, ma anche Ariosto, e che diventa essa stessa protagonista del romanzo. Unendosi a quelle due voci di donna che in realtà, alla fine, sembrano essere una sola. Come se Alma e Antonia, alla fine, fossero davvero un unico io narrante.
C’è il mistero. C’è la famiglia. C’è la memoria della Shoah. C’è il dolore. E c’è l’amore. Per una storia che Toni, scrittrice, dice che non sarebbe capace di scrivere, perché “mi mancherebbe la lucidità”. Ma che riesce a narrare e a rendere viva davanti agli occhi di chi legge. Forse perché, nonostante la lucidità che dice che le mancherebbe, quando racconta, Toni, le cose, le vive. E, dice, “mi rendo conto che non riesco a smettere di elaborare le cose che vivo come se le stessi scrivendo, nemmeno nei momenti più significativi. Soprattutto nei momenti più significativi. Come se fosse un modo per proteggermi, per raffreddare la realtà. Forse scrivere mi serve proprio a questo, ad allontanare la realtà, a contenerla. Prendere le distanze per raccontare aiuta a non farsi ferire o spaventare da quel che accade”.
Raccontano, le donne di questo romanzo. Raccontano o ricordano. Offrendo sempre immagini che si muovono, che mutano, che non si fermano. Alla ricerca della verità. Quella che si deve cercare senza fissare l’attimo. Forse perché è come dice Alma, quando ammette di odiare le istantanee “perché mentono. […]. Le foto di famiglia non mostrano le emozioni reali: le guardi e vedi un albero scintillante, un maglione rosso, un sorriso che evoca un’atmosfera intima e allegra e ti senti struggere di nostalgia. “Com’eravamo felici” pensi. Invece in casa nostra era già entrato il male”.