L’amore all’inizio – Judith Hermann

Titolo: L’amore all’inizio
Autore: Judith Hermann
Data di pubbl.: 2018
Casa Editrice: L'Orma editore
Genere: Romanzo
Traduttore: Teresa Ciuffoletti
Pagine: 204
Prezzo: € 16,00

La lettura di L’amore all’inizio (L’Orma Editore), splendido romanzo d’esordio della berlinese Judith Hermann, mi ha ricordato una recente conversazione con un amico psicologo. L’argomento era il bullismo, e la sua tesi in controtendenza, rispetto alle politiche, anche massmediatiche, di lotta al fenomeno. Lo psicologo, forte della sua esperienza sul campo, sosteneva che il bullismo, esistente da sempre, solo di recente ha subito una torsione, dovuta ad un processo sistematico di stigmatizzazione degli “oppressori”. In sintesi: se il gruppo che si macchia di abusi è giudicato criminale, si convincerà di esserlo, fino a mollare, con le buone e con le cattive, la sua preda. La conseguenza è paradossale: il soggetto bullizzato, fino a quel momento coinvolto in una dinamica di gruppo, seppur in posizione di svantaggio, dopo il processo sommario agli oppressori perde qualsiasi contatto con gli altri. Il punto di arrivo, per molti, è l’isolamento totale. Rinunciare a lavorare sulle relazioni, escludere a priori una ridefinizione degli assetti comunicativi tra le parti, e scommettere tutto, al contrario, sull’istanza repressiva/punitiva, comporta come effetto una disgregazione dei rapporti interpersonali e un aumento del rancore.

La parola chiave di L’amore all’inizio è “stalking”. Stella è un’infermiera di trentasette anni, sposata con Jason e madre di una bambina, Ava. Jason costruisce case ed è spesso lontano dalla moglie e dalla figlia. La famiglia vive nel placido contesto di una periferia, un tranquillo suburb ai margini di una città non specificata, senza particolari attrattive. Una via costellata da villette familiari, vicina a un bosco. Ognuno vive chiuso in mura private, in una bolla di anonimato. Jason e Stella si incontrano anni prima, su un aereo, e si innamorano. Lei è reduce dalla festa di matrimonio della sua migliore amica, Clara, dove ha raccolto al volo il bouquet, lui torna dall’ennesimo cantiere. E’ l’inizio. Piccole percezioni, spiragli, possibilità, evoluzioni appena accennate, l’innamoramento, le nozze, la nascita di Ava, il trasferimento nel quartiere. Judith Hermann adotta una tecnica del racconto metodologicamente fredda, da entomologo, eppure tagliente, bruciante nei suoi esiti narrativi. La sua prosa asciutta, minimale, secondo alcuni critici accostabile allo stile di Raymond Carver, attrae il lettore e lo espone ad una sensazione di minaccia continua, lo lascia in sospensione, senza fiato. Emblematica è la presentazione dello stalker, Mister Pfister, giovane disadattato che abita in fondo alla strada e, un giorno, non atteso, si ferma davanti al cancello di Stella.

Un uomo giovane, sui trenta, forse trentadue. Non è il postino, non è il ragazzo che consegna i giornali, non è un corriere e neanche lo spazzacamino, un uomo senza attrezzatura, senza borsa, senza zaino, senza mazzi di fiori, un uomo con un paio di pantaloni chiari, giacca scura, niente che possa servire a identificarlo. Un’apparizione. Ha le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, la testa piegata da un lato, e guarda verso la casa, guarda la porta, forse la finestra accanto alla porta. Cos’è che la trattiene dall’aprirgli, dall’attraversare il giardino per raggiungerlo e aprire il cancello come farebbe normalmente?”

Cosa la trattiene? La nuda vita dei suoi anziani pazienti, Julia, Walter, Eshter, è affrontabile in veste professionale, le feci, lo sputo, il sangue, il dolore cronico, le richieste infantili, ma che fare con Mister Pfister? Vestito male, dimesso, indecifrabile e bello, è l’unico personaggio del romanzo mai chiamato con il nome di battesimo, bensì evocato con un appellativo estraniante, eccentrico, da fumetto. Non è un malato inserito nei programmi di assistenza municipale. E’ tragicamente, scandalosamente libero, e vorrebbe solo parlare con lei.

Buongiorno, dice l’uomo. Non ci conosciamo. Lei non mi conosce. Io però la conosco di vista e mi piacerebbe fare due chiacchiere con lei. Ce l’ha un po’ di tempo. Non è una vera domanda… Stella si scosta la cornetta dal viso. Sarà uno scherzo?”

Non è uno scherzo. Stella non apre. Mister Pfister comincia un serrato corteggiamento più ad una lei idealizzata, necessaria, che alla Stella reale. Chi è quell’uomo? Un maniaco, uno spostato, o qualcuno che cerca un banale, umanissimo riconoscimento altrui dopo un rovescio esistenziale? Ogni giorno, quando Jason non c’è, Mister Pfister si presenta al cancello di Stella, suona, lascia un messaggio nella buca delle lettere e se ne va. Frasi sconnesse, foto di un’altra vita, CD masterizzati, foglietti riempiti da una grafia lillipuziana. Stella, nascosta dietro le finestre, osserva il giovane e ne compone, tassello dopo tassello, l’identikit, il suo vissuto quotidiano, lo interroga a distanza, lo sottopone, per contrappasso, ad un pedinamento mentale. Più crede di liberarsi la testa, più resta avvinghiata. Si insinua in lei un misterioso desiderio, un demone sotto la pelle, un’insoddisfazione per il presente che si dilata, tracima, fa vacillare le fondamenta del suo matrimonio, rimette in gioco le scelte, fracassa la routine. Cosa separa Stella da un nuovo inizio? Perché ha deciso di raccogliere quelle testimonianze in una scatola, e di mostrarle ad un attonito Jason?

Non c’è scritto niente su Ava, dice Jason… Non c’è niente su Ava e niente su di te. Niente che ti riguardi sul serio. E come suonerebbe una frase su di me? pensa Stella. Una frase su di me che invece lui riconoscerebbe come tale? E l’impossibilità di dare una risposta a questa domanda è evidente e scioccante. Jason mi vede davvero come una creatura delle favole. Non saprebbe dire un bel niente su di me, descrivermi in un modo in cui io possa riconoscermi”.

L’amore all’inizio potrebbe essere la trascrizione letteraria di un film di Michael Haneke. Mister Pfister esaspera i suoi atteggiamenti, poi, colpo di reni e ribaltamento, aiuta Stella a uscire dalle sabbie mobili. E’ lui a suggerire il termine stalker, a identificarsi in una categoria, a sigillare il proprio tormento nel messaggio finale: una criminalizzazione di sé, una confessione di colpa, un sacrificio cercato. Un suicidato dalla società? Un’increspatura intollerabile nell’ordine delle cose? L’amore all’inizio è un romanzo sul tempo che non torna più. Non sappiamo se la parola, magari una sola, uno scambio disinteressato di empatia, avrebbe potuto modificare gli eventi. Perché rischiare? Quando, e fin dove, accettare la sfida dell’ignoto? La paura, nella nostra epoca di sovrana incomunicabilità, è una tenaglia che ci serra la gola.

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Salentino nato "per errore" a Como (anche per ammissione di chi lo conosce), si laurea in Filosofia a Milano, con una tesi sul concetto di guerra umanitaria. Vive a Bari con Mariluna. Adora il Mediterraneo, ama Lecce, Parigi e Roma. Sue passioni, a parte la buona tavola, sono la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Un tempo, troppo lontano, anche la politica. Suo obiettivo è difendere, e diffondere, la pratica della buona lettura. Recensisce i libri meritevoli di essere considerati tali, quelli che diventano Letteratura, con la L maiuscola, e che gli lasciano un segno. Alessandro scrive con regolarità su Zona di Disagio, il blog del poeta e critico Nicola Vacca, collabora con la rivista Satisfiction, anima il blog di economia e di politica Capethicalism, e scrive di serie TV su Stanze di Cinema.

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