Autore: Joyce Maynard
Data di pubbl.: 2022
Casa Editrice: NN editore
Genere: Romanzo, Romanzo d'amore, Romanzo famigliare
Traduttore: Silvia Castoldi
Pagine: 496
Prezzo: euro 20
Eleanor è una giovane illustratrice di libri per bambini piena di talento. Da poco terminati gli studi, rimasta sola al mondo, ancora non sa che larga parte della sua esistenza sarà in un futuro molto prossimo indissolubilmente imperniata sul rapporto con i propri figli: la scostante Alison, Ursula, che tutto accomoda e protegge, avversa a ogni cambiamento, e Toby, il bambino ultraterreno dal piedino palmato, puro genio della musica che dice di parlare con Dio. Sono i tre frutti di un grande amore nato alla fine degli anni Settanta, quello con Cam, spiantato artista produttore di ciotole in legno, conosciuto a un mercatino nel Vermont, bello come una divinità.
Eleanor lo porta nel suo luogo amatissimo, una magnifica, seppur diroccata, fattoria del New Hampshire, in cui le tracce dell’esistenza dei precedenti proprietari le fanno percepire come lì vi abbia vissuto gente felice: la fattoria dominata da un frassino secolare che tutto e tutti abbraccia con le fronde maestose è il punto giusto per costruirvi una propria famiglia piena di amore, su cui riversare le dolorose assenze e lacune patite in un’infanzia di trascuratezze genitoriali.
Con l’arrivo dei figli in successione rapida, pur con una sola entrata fissa, in questo luogo di puro incanto per qualche tempo tutto parla di pace: le giornate trascorrono tra corse al torrente, dove i tre bambini fanno navigare piccoli, teneri omini di sughero che alle volte non resistono ai vortici dell’acqua, qualche partita di softball dove Cam sveste i panni dell’artigiano-artista e cerca di dare il meglio di sé e poche altre occasioni di contatti con vicini di casa e amici stretti.
Non hanno bisogno di cercare nulla al di fuori del cerchio perfetto che hanno creato, non vanno in cerca di niente che possa allargare le crepe che si sono incise nel tempo e che Eleanor percepisce ma nega a sé stessa. L’incrinatura si avverte, però, ed è il linguaggio a svelarla: alludendo a progetti futuri, Cam talvolta parla al singolare, involontariamente lasciando percepire il desiderio sottotraccia di non sentirsi sempre parte di quel nucleo, di volersene liberare almeno per qualche ora. Eleanor coglie la dissonanza ma tiene duro e prosegue nella gestione esclusivamente sulle sue spalle di figli, fattoria e animali domestici. In tutto ciò, imbastisce legami con poche altre persone che torneranno, ciclicamente, in altre fasi della sua vita con diverso ruolo.
Tutto dunque procede per pochi anni, quando un incidente terribile sconvolge la vita di ciascuno, mettendo a pelle scoperta la leggerezza e vacuità del marito, colpevole del dramma per una sua distrazione. Non pago di ciò, mentre Eleanor, perenne roccia e perno, cerca di mantenere saldo quel che rimane, lui trova inopportuno conforto in una relazione con la babysitter, adorata dai bambini.
Da qui la vicenda accelera, in un crescendo di intensità di eventi che si susseguono a precipizio: per proteggere i figli dalla caporetto della sua famiglia Eleanor decide di andarsene, senza rivelare loro che sono stati i comportamenti del padre ad aver causato la disfatta del loro mondo, di lui e della babysitter che i bambini, ignari di tutto, tuttora adorano.
In un eccesso di protezione, per troppo amore, Eleanor cade vittima di un destino che non merita, perdendo la fattoria e la fiducia dei ragazzi, che crescendo le attribuiranno erroneamente per decenni una colpa che mai ha avuto.
Ci vorranno distacchi forzati e non richiesti, dolorosissimi, e silenzi a cui non è più abituata per farla rimettere in piedi e cercare di restituire a tutto un senso.
Passerà del tempo e la famiglia si ritroverà infine sotto il frassino nume tutelare: qui, finalmente, se riscatto ci sarà, sarà tutto nella potenza del perdono.
Con L’albero della nostra vita – pubblicato da NN Editore nella traduzione di Silvia Castoldi – in inglese How do I love thee? Let me count the ways (Come ti amo, lasciamene contare i modi), da un verso di Elisabeth Barrett Browning, Joyce Maynard ci consegna una complessa, splendida saga familiare.
Già autrice di diciassette romanzi, tra cui Il meglio di noi, nota in patria anche per la vicenda personale – a diciannove anni lasciò l’università per seguire il compagno J.D. Salinger che però la abbandonò in modo brutale: lei si vendicò mettendo all’asta le lettere che si erano scambiati in undici mesi – Maynard ha facilità di scrittura che impressiona, si ferma a un passo dal ridondante, dal mieloso.
Tra i personaggi, tutti tecnicamente bilanciati allo stesso modo, nitidi, poetici, indimenticabili, spicca la sua Eleanor, votata al sacrificio come molte donne e tradita da tutti, ammantata di un’aura da tragedia greca.
Maynard è straordinaria nel tenere salda una costruzione ampia, facendo convergere personaggi secondari che alla fine si rivelano fondamentali, in uno schema più grande del nostro sguardo: lo fa con inarrivabile attenzione al dettaglio, nelle descrizioni struggenti, che per nostra fortuna abbondano ma non fanno perdere i fili delle storie personali, minime, che inglobano la Storia, stagliata sullo fondo, dalla tragedia del Challenger, alla rivoluzione tecnologica, ai cambiamenti epocali fra gli anni Settanta e i Duemila.
Cinquecento pagine che si leggono di un solo fiato per risuonarci poi a lungo dentro.
Una scrittura magnifica.